del 10 agosto 2009
di Monica Centofanti
(Giornalista)
“Nei quartieri popolari, nelle enclave dei boss”, il controllo del territorio “serve per reclutare nuove leve, per garantire manovalanza per lo spaccio, per custodire gli stupefacenti. Per allevare i picciotti”.
Ragazzini di otto, nove anni che svolgono il ruolo di vedette per avvisare i pusher dell’arrivo della polizia o ragazzini che chiedono il pizzo. Non accade a Reggio Calabria o a Palermo, ma alla periferia nord di Milano e a raccontarlo è Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio e tra i maggiori esperti di criminalità calabrese.
Al Corriere della Sera, come rivela un articolo pubblicato oggi nell’edizione milanese, Gratteri parla del traffico di cocaina gestito dalle cosche legate a Pasquale Libri e a Carmelo Iamonte, che operano anche nel ghetto milanese di viale Sarca. Come spiega il magistrato, e come emerso da una serie di indagini della distrettuale antimafia, interamente controllato dalle cosche. “In Calabria è più asfissiante – dice - ma il controllo esiste anche a Milano”.
Nei palazzi popolari tra viale Fulvio Testa e viale Sarca, dove abitano quindici pregiudicati, gira la droga più pura e più cara della città. Nessuno osa denunciare e le forze dell’ordine non sono ben accette. In riferimento alle “piccole reclute” della criminalità organizzata Gratteri spiega che l’attività inquirente “può arginare i fenomeni, interrompere i traffici, ma a questi bambini cosa si può dare? Si devono dare delle scuole che non siano fatiscenti, con professori ben pagati, interventi sociali, bisogna fare in modo che stiano il meno possibile con le famiglie, evitare che apprendano i linguaggi mafiosi dei genitori, dei fratelli”. In sostanza, “ci vogliono interventi, educatori, che spieghino ai ragazzini che diventare un boss, uno spacciatore non è conveniente, che se ne pagheranno le conseguenze. Ma le affermazioni devono essere vere anche nei fatti”.
Nella pratica, invece, è chiaro che “le famiglie mafiose che comandano a Milano sono le stesse di vent’anni fa. Ci sono figli e nipoti dei boss in carcere, il legame familiare è fortissimo, il potere si passa da padre in figlio”.
“Fare indagini di mafia – conclude Gratteri - non è facile. Il 416 bis (l'associazione ma fiosa) è difficile da dimostrare quanto il reato di riciclaggio. I tempi sono lunghi. Milano ha magistrati, poliziotti e carabinieri di alto livello, ma le risorse sono poche. Troppo. Le priorità della sicurezza e della politica sono altre”.
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