Dal Quotidiano La Repubblica
del 13 agosto 2009
di Federico Rampini
(Giornalista)
New York. Gli Stati Uniti e il colosso Ubs di Zurigo hanno raggiunto uno storico accordo, che "espugna" il segreto bancario svizzero e consente al fisco americano di recuperare capitali fuggiti all´estero.
È una pietra miliare nella lotta ai paradisi fiscali e bancari, un precedente che può avere conseguenze importanti anche per l´azione dei governi europei. L´intesa annunciata tra il ministero della Giustizia di Washington e la Ubs giunge dopo un´offensiva parallela condotta sia dall´Amministrazione Obama che dall´Unione europea, sottolineata dagli impegni del G20 di aprile a Londra.
Al centro del braccio di ferro tra Stati Uniti e Svizzera c´era il caso di 52.000 cittadini americani facoltosi, clienti della gestione patrimoniale privata di Ubs, sospettati di evasione fiscale in base alle leggi Usa. A febbraio la Ubs, numero uno nel settore creditizio elvetico, aveva già dovuto pagare una multa di 780 milioni di dollari, patteggiata per chiudere una causa giudiziaria in cui la banca era accusata di favoreggiamento dell´evasione. Restava aperto però il nodo più spinoso, cioè la richiesta di Washington di mettere le mani sulla "lista dei 52.000". Una richiesta in aperto conflitto con la legge svizzera sul segreto bancario. La tensione Usa-Svizzera, che ha sfiorato più volte il gelo diplomatico tra i due paesi, vedeva l´Ubs stretta fra due fuochi: da una parte c´è il rischio di perdere il lucroso business delle gestioni patrimoniali private; dall´altra lo spauracchio di pesanti sanzioni in America dove la stessa Ubs ha una presenza storica. Né si può escludere, dopo la "delazione", che i clienti americani consegnati nelle mani del fisco cerchino una rivalsa civile e un indennizo nei tribunali svizzeri accusando l´Ubs di aver tradito precisi impegni contrattuali.
Ma l´Amministrazione Obama, alle strette per i suoi deficit di bilancio e in cerca di gettito, non intendeva mollare la presa. Alla fine la realpolitik e i rapporti di forze hanno indotto le autorità di Berna a cercare il compromesso. L´accordo raggiunto non è ancora noto in tutti i dettagli, ma sembra che l´Ubs "cederà" tra gli 8.000 e i 10.000 nomi più appetiti dall´Internal Revenue Service (il fisco Usa), quelli dei miliardari che nascondevano in Svizzera i patrimoni più consistenti. Nel frattempo mesi di tensione avevano già prodotto un risultato: molti americani hanno rimpatriato volontariamente i capitali, hanno fatto "emergere" i loro conti offshore, approfittando di un condono con tassa al 5% e depenalizzazione per chi collabora con le autorità fiscali.
La vittoria "ai punti" di Washington sarà studiata con attenzione da tutti i governi europei in lotta da anni contro le fughe di capitali verso le piazze offshore. La Svizzera era la posta in gioco più ambita in questo conflitto, la madre di tutti i paradisi bancari, la roccaforte che per anni era stata assediata senza arrendersi. Da sola si stima che la Confederazione custodisca un terzo di tutta la ricchezza clandestina delle famiglie più facoltose del pianeta: 11.000 miliardi di dollari, quasi quattro volte il Pil della Germania. Ancora un anno fa gli "gnomi" si consideravano inattaccabili nelle loro fortezze. Erano determinati a respingere ogni richiesta di trasparenza. In un blitz memorabile, che aveva preceduto l´offensiva di Obama, il cancelliere Angela Merkel nel 2008 aveva messo in campo i servizi segreti per procurarsi la lista dei miliardari tedeschi con i conti cifrati nel Liechtenstein. La reazione del principato di fronte allo spionaggio era stata rabbiosa. Un dirigente di Vaduz parlò di "metodi della Gestapo nazista". Gli svizzeri gli diedero manforte. Il parlamentare di Berna Thomas Mueller evocò "quei tedeschi che marciavano al passo dell´oca, con stivali di cuoio e fascia nera sull´avambraccio".
La pressione tedesca da sola non sarebbe bastata a superare le forti resistenze della Svizzera e del Liechtenstein. E´ stata decisiva l´entrata in campo degli Stati Uniti, con il cambio di Amministrazione che da Bush a Obama ha segnato un tornante contro il lassismo fiscale. Al culmine della tensione tra Washington e Berna alcune "banques privées" di Ginevra hanno dovuto proibire ai loro top manager di viaggiare in America. Sono i gestori di grandi patrimoni che per generazioni hanno custodito al riparo da sguardi indiscreti le fortune delle famiglie capitaliste del pianeta. Di colpo esposti ad arresti e interrogatori al loro arrivo in un aeroporto americano.
All´inizio di quest´anno le offensive parallele degli Stati Uniti e dell´Unione europea hanno trovato una saldatura in seno al G20. Al vertice di Londra ai primi di aprile il premier Gordon Brown lanciò il metodo del "Name and Shane", una "lista dei reietti". Contro i paradisi fiscali e bancari i Grandi hanno deciso di pubblicare le liste dei paesi reprobi compilate dall´Ocse. Con l´intesa che alla "gogna" devono seguire sanzioni concrete.
Tuttavia i successi in questa battaglia sono sempre parziali, e provvisori. Un piccolo incidente emblematico lo dimostrò proprio il G20 di Londra. Dove il presidente cinese Hu Jintao accettò di firmare l´intesa contro i paradisi bancari a una condizione: che nella lista dei "reprobi" non venissero incluse Hong Kong e Macao. Due provincie autonome della Repubblica Popolare, nonché due piazze offshore dove il segreto resta impenetrabile. Il rischio, che a Berna hanno denunciato da tempo, è che i grandi evasori americani ed europei lascino la Svizzera e il Liechtenstein per trasferirsi in Estremo Oriente. La rincorsa tra guardie e ladri non finirà mai. Consiglia la cautela il ritrovare un titolo in prima pagina del New York Times: "Il Congresso sancisce la fine dei paradisi fiscali". E´ una copia d´archivio datata 4 febbraio 1962, quando alla Casa Bianca c´era John Kennedy.
Per ora il dipartimento di Giustizia di Washington si accontenta, pragmaticamente, di portare a casa un consistente recupero di gettito. Più l´effetto-deterrente che accompagna una vittoria di questo tipo: per gli alti redditi negli Stati Uniti c´è la sensazione che il vento sia cambiato, rispetto al permissivismo fiscale dell´èra Bush. La resa spontanea di molti clienti dell´Ubs, rei confessi grazie all´amnistia, può avere un potere pedagogico. In questo girone, la vittoria va all´Internal Revenue Service.
del 13 agosto 2009
di Federico Rampini
(Giornalista)
New York. Gli Stati Uniti e il colosso Ubs di Zurigo hanno raggiunto uno storico accordo, che "espugna" il segreto bancario svizzero e consente al fisco americano di recuperare capitali fuggiti all´estero.
È una pietra miliare nella lotta ai paradisi fiscali e bancari, un precedente che può avere conseguenze importanti anche per l´azione dei governi europei. L´intesa annunciata tra il ministero della Giustizia di Washington e la Ubs giunge dopo un´offensiva parallela condotta sia dall´Amministrazione Obama che dall´Unione europea, sottolineata dagli impegni del G20 di aprile a Londra.
Al centro del braccio di ferro tra Stati Uniti e Svizzera c´era il caso di 52.000 cittadini americani facoltosi, clienti della gestione patrimoniale privata di Ubs, sospettati di evasione fiscale in base alle leggi Usa. A febbraio la Ubs, numero uno nel settore creditizio elvetico, aveva già dovuto pagare una multa di 780 milioni di dollari, patteggiata per chiudere una causa giudiziaria in cui la banca era accusata di favoreggiamento dell´evasione. Restava aperto però il nodo più spinoso, cioè la richiesta di Washington di mettere le mani sulla "lista dei 52.000". Una richiesta in aperto conflitto con la legge svizzera sul segreto bancario. La tensione Usa-Svizzera, che ha sfiorato più volte il gelo diplomatico tra i due paesi, vedeva l´Ubs stretta fra due fuochi: da una parte c´è il rischio di perdere il lucroso business delle gestioni patrimoniali private; dall´altra lo spauracchio di pesanti sanzioni in America dove la stessa Ubs ha una presenza storica. Né si può escludere, dopo la "delazione", che i clienti americani consegnati nelle mani del fisco cerchino una rivalsa civile e un indennizo nei tribunali svizzeri accusando l´Ubs di aver tradito precisi impegni contrattuali.
Ma l´Amministrazione Obama, alle strette per i suoi deficit di bilancio e in cerca di gettito, non intendeva mollare la presa. Alla fine la realpolitik e i rapporti di forze hanno indotto le autorità di Berna a cercare il compromesso. L´accordo raggiunto non è ancora noto in tutti i dettagli, ma sembra che l´Ubs "cederà" tra gli 8.000 e i 10.000 nomi più appetiti dall´Internal Revenue Service (il fisco Usa), quelli dei miliardari che nascondevano in Svizzera i patrimoni più consistenti. Nel frattempo mesi di tensione avevano già prodotto un risultato: molti americani hanno rimpatriato volontariamente i capitali, hanno fatto "emergere" i loro conti offshore, approfittando di un condono con tassa al 5% e depenalizzazione per chi collabora con le autorità fiscali.
La vittoria "ai punti" di Washington sarà studiata con attenzione da tutti i governi europei in lotta da anni contro le fughe di capitali verso le piazze offshore. La Svizzera era la posta in gioco più ambita in questo conflitto, la madre di tutti i paradisi bancari, la roccaforte che per anni era stata assediata senza arrendersi. Da sola si stima che la Confederazione custodisca un terzo di tutta la ricchezza clandestina delle famiglie più facoltose del pianeta: 11.000 miliardi di dollari, quasi quattro volte il Pil della Germania. Ancora un anno fa gli "gnomi" si consideravano inattaccabili nelle loro fortezze. Erano determinati a respingere ogni richiesta di trasparenza. In un blitz memorabile, che aveva preceduto l´offensiva di Obama, il cancelliere Angela Merkel nel 2008 aveva messo in campo i servizi segreti per procurarsi la lista dei miliardari tedeschi con i conti cifrati nel Liechtenstein. La reazione del principato di fronte allo spionaggio era stata rabbiosa. Un dirigente di Vaduz parlò di "metodi della Gestapo nazista". Gli svizzeri gli diedero manforte. Il parlamentare di Berna Thomas Mueller evocò "quei tedeschi che marciavano al passo dell´oca, con stivali di cuoio e fascia nera sull´avambraccio".
La pressione tedesca da sola non sarebbe bastata a superare le forti resistenze della Svizzera e del Liechtenstein. E´ stata decisiva l´entrata in campo degli Stati Uniti, con il cambio di Amministrazione che da Bush a Obama ha segnato un tornante contro il lassismo fiscale. Al culmine della tensione tra Washington e Berna alcune "banques privées" di Ginevra hanno dovuto proibire ai loro top manager di viaggiare in America. Sono i gestori di grandi patrimoni che per generazioni hanno custodito al riparo da sguardi indiscreti le fortune delle famiglie capitaliste del pianeta. Di colpo esposti ad arresti e interrogatori al loro arrivo in un aeroporto americano.
All´inizio di quest´anno le offensive parallele degli Stati Uniti e dell´Unione europea hanno trovato una saldatura in seno al G20. Al vertice di Londra ai primi di aprile il premier Gordon Brown lanciò il metodo del "Name and Shane", una "lista dei reietti". Contro i paradisi fiscali e bancari i Grandi hanno deciso di pubblicare le liste dei paesi reprobi compilate dall´Ocse. Con l´intesa che alla "gogna" devono seguire sanzioni concrete.
Tuttavia i successi in questa battaglia sono sempre parziali, e provvisori. Un piccolo incidente emblematico lo dimostrò proprio il G20 di Londra. Dove il presidente cinese Hu Jintao accettò di firmare l´intesa contro i paradisi bancari a una condizione: che nella lista dei "reprobi" non venissero incluse Hong Kong e Macao. Due provincie autonome della Repubblica Popolare, nonché due piazze offshore dove il segreto resta impenetrabile. Il rischio, che a Berna hanno denunciato da tempo, è che i grandi evasori americani ed europei lascino la Svizzera e il Liechtenstein per trasferirsi in Estremo Oriente. La rincorsa tra guardie e ladri non finirà mai. Consiglia la cautela il ritrovare un titolo in prima pagina del New York Times: "Il Congresso sancisce la fine dei paradisi fiscali". E´ una copia d´archivio datata 4 febbraio 1962, quando alla Casa Bianca c´era John Kennedy.
Per ora il dipartimento di Giustizia di Washington si accontenta, pragmaticamente, di portare a casa un consistente recupero di gettito. Più l´effetto-deterrente che accompagna una vittoria di questo tipo: per gli alti redditi negli Stati Uniti c´è la sensazione che il vento sia cambiato, rispetto al permissivismo fiscale dell´èra Bush. La resa spontanea di molti clienti dell´Ubs, rei confessi grazie all´amnistia, può avere un potere pedagogico. In questo girone, la vittoria va all´Internal Revenue Service.
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