Da L'espresso
del 6 agosto 2009
di Marco Travaglio
(Giornalista)
Dieci anni fa, terrorizzati dalle prime dichiarazioni dei pentiti sui mandanti esterni delle stragi e sulle trattative Stato-mafia, centrodestra e centrosinistra smantellarono la legge sui pentiti. Risultato: non si pentì quasi più nessuno, anzi molti si pentirono di essersi pentiti. Ora si scopre che, per quanto lenti a ricordare, questi erano fulmini di guerra a confronto di certi politici
Dieci anni fa, terrorizzati dalle prime dichiarazioni dei pentiti sui mandanti esterni delle stragi e sulle trattative Stato-mafia, centrodestra e centrosinistra smantellarono la legge sui pentiti: drastica riduzione degli incentivi e tempo massimo di sei mesi per raccontare tutto. "Basta dichiarazioni a rate, i mafiosi dicano tutto subito", cantavano in coro berluscones e progressisti sdegnati per la memoria a orologeria dei collaboranti. La legge passò a maggioranza bulgara in entrambe le Camere, presiedute da Nicola Mancino e Luciano Violante. Risultato: non si pentì quasi più nessuno, anzi molti si pentirono di essersi pentiti. Ora si scopre che, per quanto lenti a ricordare, questi erano fulmini di guerra a confronto di certi politici.
Tipo Mancino e Violante. Mancino, vicepresidente del Csm, seguita a contraddirsi sul presunto incontro con Paolo Borsellino il 1 luglio '92 (annotato nel diario del giudice, assassinato due settimane dopo): ora lo esclude, ora non lo ricorda, ora lo riduce a fugace stretta di mano, ora - almeno a sentire Giuseppe Ayala, altra memoria a orologeria - lo conferma. Intanto, 17 anni dopo, rammenta di avere respinto possibili trattative con la mafia (senza spiegare chi gliele prospettò e perché non le denunciò). Poi fa marcia indietro. Ma Violante lo supera. L'ex campione dell'antimafia progressista - tomo tomo cacchio cacchio, direbbe Totò - si presenta alla Procura di Palermo per rivelare con 17 anni di ritardo che, dopo Capaci e via d'Amelio, il colonnello Mario Mori, allora vicecapo del Ros, gli propose di incontrare l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, intermediario di una trattativa fra i carabinieri e il duo Riina-Provenzano. Rivelazione più spintanea che spontanea: il 'Corriere' ha appena informato che Massimo Ciancimino, figlio di don Vito,
ha raccontato ai pm che suo padre chiese una "copertura politica totale" alla trattativa: da Mancino per il governo e da Violante per la sinistra. Violante dice di aver rifiutato il faccia a faccia e di aver chiesto a Mori se avesse informato la Procura. Ma, alla risposta negativa ("È cosa politica"), si guardò bene dal farlo lui.
E dire che a Palermo stava arrivando il suo amico Caselli, lasciato all'oscuro di tutto. E dire che Violante presiedeva l'Antimafia, competente sulle 'cose politiche' di mafia, con i poteri della magistratura. E dire che nel '93 Caselli interrogò Ciancimino sui suoi rapporti con l'Arma. E dire che nel '96 Giovanni Brusca, al processo sulle stragi, svelò la trattativa Riina-Ciancimino-Ros con tanto di 'papello'. E dire che Mori fu imputato di favoreggiamento mafioso per non aver perquisito il covo di Riina (assoluzione) e non aver catturato Provenzano nel '96 (processo in corso). Le rivelazioni di Violante sarebbero state molto utili, in quei processi. Ma Violante taceva e faceva carriera, anche a colpi di antimafia. Se i pentiti devono "dire tutto subito", Violante ha impiegato 17 anni per ritrovare la memoria. Non è mica pentito, lui.
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