Dal Quotidiano Antimafia 2000
del 15 settembre 2009
di Pietro Orsatti
(Giornalista)
Il palazzo che preoccupa Berlusconi ha riaperto i battenti da poche ore ma il clima è già rovente. Oggi o domani, ma la notizia è come al solito preceduta da un “forse”, il collaborante Massimo Ciancimino sarà di nuovo a Palermo in procura a elargire un suo pezzo di verità non tanto sugli anni terribili delle stragi e delle trattative, ma sui misteri dei tesori scomparsi e poi ritrovati (solo in minima parte) in carico al padre del testimone, l’ex sindaco Vito, e sugli intrecci fra politica e criminalità di ieri e di oggi.
«Per quello che riguarda le stragi, ovviamente, non è competenza di Palermo ma di Caltanissetta», spiega il procuratore aggiunto Antonio Ingroia di rientro dopo un periodo di ferie nel suo ufficio. È evidente, però, che ci siano delle parti delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino che riguardano la trattativa fra pezzi dello Stato e mafia e dei molteplici intrecci emersi anche nel corso di vari processi ruotanti attorno Marcello Dell’Utri che potrebbero riguardare in qualche modo la procura di Palermo, ma le dichiarazioni del premier sembravano essere rivolte a tutt’altro capitolo. Un errore? O un messaggio? Non c’è un fascicolo a carico del premier in procura, questo è l’unico dato che emerge. Forse qualcosa di nuovo, in termini di ipotesi di indagine, c’è a Firenze, qualcos’altro a Milano, o ancora a Caltanissetta, ma a Palermo l’unica cosa aperta che possa riguardare lontanamente il presidente del Consiglio è rintracciabile nel processo di secondo grado a Marcello Dell’Utri, già condannato in primo a nove anni per associazione esterna, e alcune implicazioni relative a una compartecipazione in una società (la Co.Ge) insieme al generale dei Ros e ex capo del Sismi Mori. E allora non si capisce perché l’attacco diretto, specifico, a Palermo da parte del premier. Un attacco preventivo, pesantissimo, che ha creato più di un malumore anche nel Pdl. Qui non si fa «archeologia», come goffamente ha dichiarato più di un esponente del Pdl. «Qui si parla di “piccioli”, società, intrecci attuali». E di Dell’Utri e del processo Mori Obinu. Due processi in corso, mica roba da archeologia fantapolitica. Sarebbero questi processi, in corso da anni, a suscitare le ire del premier?
Oppure, come si mormora nei corridoi di un palazzo che da decenni è epicentro di periodiche crisi politico istituzionali giudiziarie, «stiamo assistendo al ricatto di Dell’Utri nei confronti di Berlusconi. È in difficoltà, ha paura che l’appello vada male, e questo è il suo modo di ricompattare gli amici più potenti». E quindi si mette il lavoro di una, e più, procura sotto attacco. «C’era da aspettarselo», si lascia sfuggire un funzionario della polizia giudiziaria. «Qui di cose ne sono successe dopo le stragi – prosegue il rappresentante delle forze dell’ordine -. Le faccio una domanda: lei quante azioni da parti del nucleo investigativo dei Carabinieri e dei Ros ha visto nei confronti di Provenzano dopo la mancata cattura ai tempi del colonello Riccio? Io francamente non me ne ricordo una. Faccia lei le dovute conclusioni». Si parla della testimonianza, e della morte, di un collaboratore, Luigi Ilardo, vice del capo mafia di Caltanissetta “Piddu” Madonia che nel 1995 era in grado di far catturare a Mezzojuso Bernardo Provenzano nel corso di un summit di capi mafia, ma che (questa l’accusa del processo a parte dei Ros siciliani dell’epoca) per un inspiegabile non intervento degli uomini del generale Mario Mori non andò in porto. «C’erano dei processi letteralmente scomparsi dall’attenzione pubblica come quello a Dell’Utri e l’altro a Mori - cerca di interpretare Ingroia -. Menomale oggi qualcosa di questi processi inizia e riemergere verso l’opinione pubblica. E forse questa rinnovata attenzione sta provocando, e provocherà, reazioni». E attacchi attraverso alcuni organi di stampa, come Il Giornale e Libero, che hanno letteralmente messo alla graticola proprio Antonio Ingroia e un altro pm di Plaermo, Roberto Scarpinato, per la loro presenza come ascoltatori alla presentazione del nuovo quotidiano Il Fatto. Roba d’altri tempi, si direbbe. O forse no.
del 15 settembre 2009
di Pietro Orsatti
(Giornalista)
Il palazzo che preoccupa Berlusconi ha riaperto i battenti da poche ore ma il clima è già rovente. Oggi o domani, ma la notizia è come al solito preceduta da un “forse”, il collaborante Massimo Ciancimino sarà di nuovo a Palermo in procura a elargire un suo pezzo di verità non tanto sugli anni terribili delle stragi e delle trattative, ma sui misteri dei tesori scomparsi e poi ritrovati (solo in minima parte) in carico al padre del testimone, l’ex sindaco Vito, e sugli intrecci fra politica e criminalità di ieri e di oggi.
«Per quello che riguarda le stragi, ovviamente, non è competenza di Palermo ma di Caltanissetta», spiega il procuratore aggiunto Antonio Ingroia di rientro dopo un periodo di ferie nel suo ufficio. È evidente, però, che ci siano delle parti delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino che riguardano la trattativa fra pezzi dello Stato e mafia e dei molteplici intrecci emersi anche nel corso di vari processi ruotanti attorno Marcello Dell’Utri che potrebbero riguardare in qualche modo la procura di Palermo, ma le dichiarazioni del premier sembravano essere rivolte a tutt’altro capitolo. Un errore? O un messaggio? Non c’è un fascicolo a carico del premier in procura, questo è l’unico dato che emerge. Forse qualcosa di nuovo, in termini di ipotesi di indagine, c’è a Firenze, qualcos’altro a Milano, o ancora a Caltanissetta, ma a Palermo l’unica cosa aperta che possa riguardare lontanamente il presidente del Consiglio è rintracciabile nel processo di secondo grado a Marcello Dell’Utri, già condannato in primo a nove anni per associazione esterna, e alcune implicazioni relative a una compartecipazione in una società (la Co.Ge) insieme al generale dei Ros e ex capo del Sismi Mori. E allora non si capisce perché l’attacco diretto, specifico, a Palermo da parte del premier. Un attacco preventivo, pesantissimo, che ha creato più di un malumore anche nel Pdl. Qui non si fa «archeologia», come goffamente ha dichiarato più di un esponente del Pdl. «Qui si parla di “piccioli”, società, intrecci attuali». E di Dell’Utri e del processo Mori Obinu. Due processi in corso, mica roba da archeologia fantapolitica. Sarebbero questi processi, in corso da anni, a suscitare le ire del premier?
Oppure, come si mormora nei corridoi di un palazzo che da decenni è epicentro di periodiche crisi politico istituzionali giudiziarie, «stiamo assistendo al ricatto di Dell’Utri nei confronti di Berlusconi. È in difficoltà, ha paura che l’appello vada male, e questo è il suo modo di ricompattare gli amici più potenti». E quindi si mette il lavoro di una, e più, procura sotto attacco. «C’era da aspettarselo», si lascia sfuggire un funzionario della polizia giudiziaria. «Qui di cose ne sono successe dopo le stragi – prosegue il rappresentante delle forze dell’ordine -. Le faccio una domanda: lei quante azioni da parti del nucleo investigativo dei Carabinieri e dei Ros ha visto nei confronti di Provenzano dopo la mancata cattura ai tempi del colonello Riccio? Io francamente non me ne ricordo una. Faccia lei le dovute conclusioni». Si parla della testimonianza, e della morte, di un collaboratore, Luigi Ilardo, vice del capo mafia di Caltanissetta “Piddu” Madonia che nel 1995 era in grado di far catturare a Mezzojuso Bernardo Provenzano nel corso di un summit di capi mafia, ma che (questa l’accusa del processo a parte dei Ros siciliani dell’epoca) per un inspiegabile non intervento degli uomini del generale Mario Mori non andò in porto. «C’erano dei processi letteralmente scomparsi dall’attenzione pubblica come quello a Dell’Utri e l’altro a Mori - cerca di interpretare Ingroia -. Menomale oggi qualcosa di questi processi inizia e riemergere verso l’opinione pubblica. E forse questa rinnovata attenzione sta provocando, e provocherà, reazioni». E attacchi attraverso alcuni organi di stampa, come Il Giornale e Libero, che hanno letteralmente messo alla graticola proprio Antonio Ingroia e un altro pm di Plaermo, Roberto Scarpinato, per la loro presenza come ascoltatori alla presentazione del nuovo quotidiano Il Fatto. Roba d’altri tempi, si direbbe. O forse no.
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