Dal Quotidiano La Repubblica
del 8 settembre 2009
di Giuseppe D'Avanzo
(Giornalista)
Lo spettacolo, che va in scena da quindici anni, ha avuto una nuova replica da una televisione di Casa Berlusconi. Consueto il paradigma del capo del governo: un manipolo di "comunisti e catto-comunisti" conduce una "campagna eversiva" per tirarlo giù dalla sedia dove è stato collocato dalla volontà popolare e inaugurare "una tirannia". Addirittura, una tirannia. C'è qualcosa di disperante e di disperato in questa rappresentazione del discorso pubblico e domestico.
Parla più di Berlusconi, e delle sue ossessioni, che di un Paese governato con una maggioranza sovrabbondante e un'opposizione solida come il vapor acqueo. Ci dice molto di più dei fantasmi che, in chiave paranoide, assediano il premier che delle critiche che gli vengono proposte, da qualche isolata voce, in Italia e, da un coro, nel mondo. Risoluto a fare dei nostri giorni una nera notte con un unico punto di luce - se stesso - , Berlusconi è oggi incapace di riconciliarsi con la realtà o almeno con un suo succedaneo. È come se la strategia di comunicazione che lo ha condotto a uno straordinario successo, personale e politico, lo abbia imprigionato precludendogli ogni apprezzabile sguardo sul reale. Il Mago è stato sequestrato dallo specchio in cui ama guardarsi, dalle Lanterne che egli stesso ha costruito. Le relazioni con il Vaticano? Eccellenti, dice. L'azione del governo? Irresistibile, dice. Gli italiani? Vogliono essere come me, giura. Le domande che mi rivolgono? Insulti, mistificazioni, diffamazione, accusa.
È stupefacente che siano state dieci ordinarie domande a precipitarlo in questa sindrome che oggi preoccupa anche alleati, come Gianfranco Fini, ultima vittima delle sue fobie. Berlusconi avrebbe fatto meglio a rispondere, a levarsi dallo stato di "minorità civile" che lo ha afferrato, come gli suggerivano i consiglieri più sapienti. Non lo ha fatto e, peggio, ha chiesto l'intervento della magistratura perché non gli siano mai più proposte, siano vietate per ordinanza di un giudice.
Un'intimidazione, concorda con qualche ritardo il Corriere della sera con Ernesto Galli Della Loggia. Dei suoi argomenti è utile discutere. Scrutiamo la trama del suo ragionamento. C'è una premessa: l'iniziativa giudiziaria del premier è "sbagliata e riprovevole, ha di fatto un innegabile contenuto di intimidazione censoria". La premessa, che sembra richiamare un mondo comune - un codice e un metodo condiviso tra i media, qualche principio logico, un rispetto di regole, doveri e diritti, un'attitudine disinteressata alla discussione - , è utile a preparare un giudizio (dubbio) e due risultati (stralunati). Il giudizio. Quelle domande sono un "puro strumento retorico" (è lo stesso argomento degli avvocati di Berlusconi, ahimè, che giudicano quelle domande diffamatorie e ne chiedono la censura). Quindi, sono quesiti tendenziosi: "Quale risposta sensata si può dare alla domanda: quali sono le sue condizioni di salute? Una domanda di quel tipo vuole affermare in modo indiretto, ma precisissimo, che non sarebbe adatto a fare il capo del governo".
La valutazione apre la strada alla prescrizione di quel che la stampa non deve fare. Non è "compito della libera stampa l'organizzazione di interminabili, feroci campagne giornalistiche". "Non è compito dei giornali decidere se qualunque persona è adatta o inadatta a guidare il governo, è compito degli elettori e soltanto degli elettori".
È evidente che di "comune" nel mondo dell'informazione predicato da Galli Della Loggia c'è molto poco, quasi nulla. Domandare, vi appare un'offesa. Reiterare una domanda che non trova ostinatamente una risposta è addirittura "ferocia". Chiedere poi della salute di chi ci governa, un passo a mezzo tra l'insensatezza e la provocazione. Così non è, con buona pace del Corriere, in tutto il mondo occidentale. I candidati alla Casa Bianca presentano in pubblico, con le cartelle del fisco, le cartelle cliniche per dimostrare che le loro capacità psicofisiche sono adeguate alla responsabilità che chiedono agli elettori. Thomas Eagleton, vice di George McGovern, in piena campagna elettorale nel 1972, abbandonò quando si scoprì che era sottoposto ad elettroshock per curare la depressione. Nel 1984, al secondo mandato, l'età di Ronald Reagan, 73 anni, fu motivo di perplessità e pressioni dei media. Nel match televisivo con Walter Mondale, 56 anni, Reagan esordì con una risposta strepitosa alla domanda di un giornalista: "Non farò della giovane età e inesperienza del mio rivale un motivo di scontro". Anche Mondale rise con il pubblico e il fattore età non ebbe più alcuna importanza. Ritornò rilevante quando Reagan fu operato per un cancro al colon. Lo staff medico rese trasparente i guai del presidente. Lo stesso è accaduto a John McCain quando Time (14 maggio 2008) chiese in copertina "Quanto è sano McCain?". Il candidato non si tirò indietro e i medici della Mayo Clinic misero a disposizione dei cronisti le cartelle cliniche (Cnn, 23 maggio 2008). Anche in Italia è apparso legittimo - né stravagante né tendenzioso - interrogarsi sullo stato di salute di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica a cavallo degli anni Novanta. Egli ammise "una depressione" e lo stesso Galli Della Loggia ne paventò una sindrome dietro "il suo ossessivo presenzialismo televisivo" (la Stampa, 8 dicembre 1991). Il lato comodo dello scrivere in Italia è che basta esporre i fatti. È stata la moglie del premier a porre all'attenzione pubblica la questione della salute di Silvio Berlusconi, dopo averla proposta in privato a Gianni Letta. "[Silvio] non sta bene. Ho chiesto al suo medico di aiutarlo come si fa con le persone che non stanno bene", ha detto Veronica Lario e, anche le rivelazioni di Patrizia D'Addario, raccolte proprio dal Corriere, hanno confermato quell'ipotesi di sexual addiction che avvelena la vita del capo del governo. Dinanzi a quella denuncia pubblica, bisognava tacere forse? Chiudere gli occhi, far finta di niente? Non è compito dell'informazione accertare lo stato delle cose? Repubblica ha cercato di farlo. Nel modo più diretto e corretto. Domenica 10 maggio, ha chiesto al sottosegretario Letta di incontrare il premier per rivolgergli alcune domande sollecitate dalle incoerenze emerse dal "caso Noemi", una minorenne, e dalle sue personali difficoltà svelate dalle parole di Veronica Lario. Si convenne che entro 72 ore ci sarebbe stata una risposta di Palazzo Chigi. Non è mai arrivata. Così si è deciso di rendere pubbliche le domande destinate al premier. È "feroce", questo metodo o è una prassi ordinaria, accettata nel "mondo comune" dell'informazione occidentale che non pretende di sostituire naturalmente gli elettori nelle loro decisioni (che ovvietà!), ma di renderli più consapevoli e informati nelle loro scelte. Il ruolo dei media non è altro che questo, come ha dimostrato l'Economist quando giudicò Berlusconi "inadatto al governo" sia nel 2001 che nel 2008, senza guadagnarsi le reprimende etiche, politiche e deontologiche di un Galli Della Loggia forse distratto.
Quel che preoccupa (e dovrebbe preoccupare chiunque) nel ragionamento del Corriere della sera è l'accettazione che la realtà, quale che sia, non possa fare capolino nel discorso pubblico più di tanto. Che evocarla, magari nelle prudenti anche se ostinate forme dell'interrogazione, sia una mossa abusiva e politicamente scorretta e faziosa. È una convinzione che appare del tutto egemonizzata culturalmente da un'idea di informazione effimera e istantanea. Disegna un mondo dove non esistono "fatti" né alcun modo di stabilire ciò che è vero perché non c'è più alcun criterio di verità praticabile se si esclude "ciò che viene dichiarato vero in ogni istante". È il mondo, il metodo, il dispositivo di potere di Berlusconi. Il premier pretende di confondere e confonderci avviluppandoci in un garbuglio di "credenze" che annullano eventi, circostanze, parole, ma il mestiere dell'informare non è accompagnare questa deriva, ma opporvicisi. È quello che ha fatto e farà Repubblica. Siamo certi che lo farà anche il Corriere quando accerterà che non c'è alcun "complotto eversivo catto-comunista" alle viste né alcuna "tirannia" alle porte, ma soltanto un uomo prigioniero dei suoi fantasmi e di una rabbia pericolosa per le istituzioni che rappresenta e il Paese che governa.
del 8 settembre 2009
di Giuseppe D'Avanzo
(Giornalista)
Lo spettacolo, che va in scena da quindici anni, ha avuto una nuova replica da una televisione di Casa Berlusconi. Consueto il paradigma del capo del governo: un manipolo di "comunisti e catto-comunisti" conduce una "campagna eversiva" per tirarlo giù dalla sedia dove è stato collocato dalla volontà popolare e inaugurare "una tirannia". Addirittura, una tirannia. C'è qualcosa di disperante e di disperato in questa rappresentazione del discorso pubblico e domestico.
Parla più di Berlusconi, e delle sue ossessioni, che di un Paese governato con una maggioranza sovrabbondante e un'opposizione solida come il vapor acqueo. Ci dice molto di più dei fantasmi che, in chiave paranoide, assediano il premier che delle critiche che gli vengono proposte, da qualche isolata voce, in Italia e, da un coro, nel mondo. Risoluto a fare dei nostri giorni una nera notte con un unico punto di luce - se stesso - , Berlusconi è oggi incapace di riconciliarsi con la realtà o almeno con un suo succedaneo. È come se la strategia di comunicazione che lo ha condotto a uno straordinario successo, personale e politico, lo abbia imprigionato precludendogli ogni apprezzabile sguardo sul reale. Il Mago è stato sequestrato dallo specchio in cui ama guardarsi, dalle Lanterne che egli stesso ha costruito. Le relazioni con il Vaticano? Eccellenti, dice. L'azione del governo? Irresistibile, dice. Gli italiani? Vogliono essere come me, giura. Le domande che mi rivolgono? Insulti, mistificazioni, diffamazione, accusa.
È stupefacente che siano state dieci ordinarie domande a precipitarlo in questa sindrome che oggi preoccupa anche alleati, come Gianfranco Fini, ultima vittima delle sue fobie. Berlusconi avrebbe fatto meglio a rispondere, a levarsi dallo stato di "minorità civile" che lo ha afferrato, come gli suggerivano i consiglieri più sapienti. Non lo ha fatto e, peggio, ha chiesto l'intervento della magistratura perché non gli siano mai più proposte, siano vietate per ordinanza di un giudice.
Un'intimidazione, concorda con qualche ritardo il Corriere della sera con Ernesto Galli Della Loggia. Dei suoi argomenti è utile discutere. Scrutiamo la trama del suo ragionamento. C'è una premessa: l'iniziativa giudiziaria del premier è "sbagliata e riprovevole, ha di fatto un innegabile contenuto di intimidazione censoria". La premessa, che sembra richiamare un mondo comune - un codice e un metodo condiviso tra i media, qualche principio logico, un rispetto di regole, doveri e diritti, un'attitudine disinteressata alla discussione - , è utile a preparare un giudizio (dubbio) e due risultati (stralunati). Il giudizio. Quelle domande sono un "puro strumento retorico" (è lo stesso argomento degli avvocati di Berlusconi, ahimè, che giudicano quelle domande diffamatorie e ne chiedono la censura). Quindi, sono quesiti tendenziosi: "Quale risposta sensata si può dare alla domanda: quali sono le sue condizioni di salute? Una domanda di quel tipo vuole affermare in modo indiretto, ma precisissimo, che non sarebbe adatto a fare il capo del governo".
La valutazione apre la strada alla prescrizione di quel che la stampa non deve fare. Non è "compito della libera stampa l'organizzazione di interminabili, feroci campagne giornalistiche". "Non è compito dei giornali decidere se qualunque persona è adatta o inadatta a guidare il governo, è compito degli elettori e soltanto degli elettori".
È evidente che di "comune" nel mondo dell'informazione predicato da Galli Della Loggia c'è molto poco, quasi nulla. Domandare, vi appare un'offesa. Reiterare una domanda che non trova ostinatamente una risposta è addirittura "ferocia". Chiedere poi della salute di chi ci governa, un passo a mezzo tra l'insensatezza e la provocazione. Così non è, con buona pace del Corriere, in tutto il mondo occidentale. I candidati alla Casa Bianca presentano in pubblico, con le cartelle del fisco, le cartelle cliniche per dimostrare che le loro capacità psicofisiche sono adeguate alla responsabilità che chiedono agli elettori. Thomas Eagleton, vice di George McGovern, in piena campagna elettorale nel 1972, abbandonò quando si scoprì che era sottoposto ad elettroshock per curare la depressione. Nel 1984, al secondo mandato, l'età di Ronald Reagan, 73 anni, fu motivo di perplessità e pressioni dei media. Nel match televisivo con Walter Mondale, 56 anni, Reagan esordì con una risposta strepitosa alla domanda di un giornalista: "Non farò della giovane età e inesperienza del mio rivale un motivo di scontro". Anche Mondale rise con il pubblico e il fattore età non ebbe più alcuna importanza. Ritornò rilevante quando Reagan fu operato per un cancro al colon. Lo staff medico rese trasparente i guai del presidente. Lo stesso è accaduto a John McCain quando Time (14 maggio 2008) chiese in copertina "Quanto è sano McCain?". Il candidato non si tirò indietro e i medici della Mayo Clinic misero a disposizione dei cronisti le cartelle cliniche (Cnn, 23 maggio 2008). Anche in Italia è apparso legittimo - né stravagante né tendenzioso - interrogarsi sullo stato di salute di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica a cavallo degli anni Novanta. Egli ammise "una depressione" e lo stesso Galli Della Loggia ne paventò una sindrome dietro "il suo ossessivo presenzialismo televisivo" (la Stampa, 8 dicembre 1991). Il lato comodo dello scrivere in Italia è che basta esporre i fatti. È stata la moglie del premier a porre all'attenzione pubblica la questione della salute di Silvio Berlusconi, dopo averla proposta in privato a Gianni Letta. "[Silvio] non sta bene. Ho chiesto al suo medico di aiutarlo come si fa con le persone che non stanno bene", ha detto Veronica Lario e, anche le rivelazioni di Patrizia D'Addario, raccolte proprio dal Corriere, hanno confermato quell'ipotesi di sexual addiction che avvelena la vita del capo del governo. Dinanzi a quella denuncia pubblica, bisognava tacere forse? Chiudere gli occhi, far finta di niente? Non è compito dell'informazione accertare lo stato delle cose? Repubblica ha cercato di farlo. Nel modo più diretto e corretto. Domenica 10 maggio, ha chiesto al sottosegretario Letta di incontrare il premier per rivolgergli alcune domande sollecitate dalle incoerenze emerse dal "caso Noemi", una minorenne, e dalle sue personali difficoltà svelate dalle parole di Veronica Lario. Si convenne che entro 72 ore ci sarebbe stata una risposta di Palazzo Chigi. Non è mai arrivata. Così si è deciso di rendere pubbliche le domande destinate al premier. È "feroce", questo metodo o è una prassi ordinaria, accettata nel "mondo comune" dell'informazione occidentale che non pretende di sostituire naturalmente gli elettori nelle loro decisioni (che ovvietà!), ma di renderli più consapevoli e informati nelle loro scelte. Il ruolo dei media non è altro che questo, come ha dimostrato l'Economist quando giudicò Berlusconi "inadatto al governo" sia nel 2001 che nel 2008, senza guadagnarsi le reprimende etiche, politiche e deontologiche di un Galli Della Loggia forse distratto.
Quel che preoccupa (e dovrebbe preoccupare chiunque) nel ragionamento del Corriere della sera è l'accettazione che la realtà, quale che sia, non possa fare capolino nel discorso pubblico più di tanto. Che evocarla, magari nelle prudenti anche se ostinate forme dell'interrogazione, sia una mossa abusiva e politicamente scorretta e faziosa. È una convinzione che appare del tutto egemonizzata culturalmente da un'idea di informazione effimera e istantanea. Disegna un mondo dove non esistono "fatti" né alcun modo di stabilire ciò che è vero perché non c'è più alcun criterio di verità praticabile se si esclude "ciò che viene dichiarato vero in ogni istante". È il mondo, il metodo, il dispositivo di potere di Berlusconi. Il premier pretende di confondere e confonderci avviluppandoci in un garbuglio di "credenze" che annullano eventi, circostanze, parole, ma il mestiere dell'informare non è accompagnare questa deriva, ma opporvicisi. È quello che ha fatto e farà Repubblica. Siamo certi che lo farà anche il Corriere quando accerterà che non c'è alcun "complotto eversivo catto-comunista" alle viste né alcuna "tirannia" alle porte, ma soltanto un uomo prigioniero dei suoi fantasmi e di una rabbia pericolosa per le istituzioni che rappresenta e il Paese che governa.
Nessun commento:
Posta un commento