Dalla Rivista Micromega
del 8 settembre 2009
di Angelo D'Orsi
(Giornalista)
Anche per chi, come il sottoscritto, neppure un giorno di “ferie” ha potuto concedersi, il rientro nella quotidianità politico-mediatica, dopo un agosto in cui abbiamo continuato a sentire notizie sulla maschia possanza del Grande Capo, e ne abbiamo (colpevolmente) sogghignato, è sconvolgente.
La crisi, a quanto pare, sta cambiando obiettivo: ora saranno presi di mira soprattutto gli occupati da gettare sul lastrico: la chiameranno, eufemisticamente, “disoccupazione strutturale”; ma il governo continua a dire che noi stiamo meglio degli altri, e ci ordina di essere ottimisti, e magari a sputare in faccia ai seminatori di panico, gli inguaribili e ignobili pessimisti (ovviamente comunisti, o loro “utili idioti”). Su questa strada, il faro dell’ottimismo obbligatorio, dopo il venditore, è il suo grottesco spaccamontagne Brunetta, il nostro-Nobel-mancato-ma-di-poco. Dal canto suo, il sodale ministrino-Tremonti-dalla-voce-chioccia, porta avanti la sua personale battaglia di frizzi e lazzi contro le banche, a cui peraltro va tutto il sostegno governativo, in nome della “gente” o del “popolo”; e, poiché, esiste ancora un manipolo di economisti veri, e seri, non piegati al volere dei potenti, non trova di meglio che invitarli a star zitti, con modi bruschi e un sarcasmo stupefacente sulla bocca di chi si vanta di non aver studiato economia.
A tacere, del resto, il suo leader invita tutti noi, anzi ordina, praticamente ogni giorno, dopo la sua troppo breve vacanza in Sardegna, isola che ormai gli appartiene (tale si intuisce sia la percezione vagamente distorta del Cavaliere): il silenzio dev’essere davvero d’oro, se con tanta affettuosa o irritata insistenza ci ingiungono di perseguirlo. Le sole parole consentite sono gli assist al Capo, per permettergli di insaccare la battuta di turno, per raccontare una di quelle orribili barzellette di cui va tanto fiero: o, naturalmente, per assentire, sorridere, applaudire. Lo ricordate il famoso dialogo con la folla di Nerone, nella mirabile e irripetibile gag di Ettore Petrolini? “E noi faremo Roma, più grande e più bella che pria…” – “Bravo!” – “Grazie!” – “Prego”; e così via per una manciata di minuti, con il “Bravo!” che finisce per anticipare la frase di Nerone, e di seguito. Irresistibile. Petrolini, indubbiamente, aveva sotto gli occhi il modello (anch’esso irraggiungibile) di un altro Capo, al balcone di Palazzo Venezia.
Oggi, quella scenetta torna alla mente, davanti alle memorabili esternazioni del Cavaliere, ma che finora, ha indotto a qualche rabbuffo o, nei casi estremi, all’espressione di una “preoccupazione”. Anzi, v’è chi, ancora, invita a non cadere nell’“antiberlusconismo”, a non “fare il gioco dell’avversario” (il virus veltroniano a quanto pare non è debellato). Siamo insomma tutti cloroformizzati? Fortunatamente, no: ci sono voci che ancora osano levarsi, e dicono la verità – che pure è lampante – cercando di risvegliare i dormienti o di metter sull’avviso gli ottimisti. E qual è la verità? La stessa che si parava dinnanzi agli italiani nel 1922: ma anche allora v’era chi si accontentava di ripetere “nutro fiducia” (così l’ultimo presidente del Consiglio, prima di Mussolini, il liberale giolittiano Facta), chi si intestardiva a esprimere auspici, o proferiva inviti: alla buona volontà, al dialogo, alla calma. E le basi della dittatura, intanto, venivano poste.
Certo, allora c’erano le camicie nere, che scorazzavano per il Paese, nell’indifferenza delle “forze dell’ordine”, che, anzi, spesso e volentieri, davano loro manforte: e somministravano manganellate, colpi di rivoltella e di pugnale, e purghe antisovversive ai sospetti socialisti, bolscevichi, nemici della patria. Oggi abbiamo le buffonesche camicie verdi, e le loro filiazioni: le “ronde”.
Ne stiamo sorridendo, così come sorridiamo inebetiti davanti all’olio di ricino che ci ammannisce la televisione, ogni santissima sera. Questo è lo squadrismo odierno; meno appariscente, e più pericoloso di quello del “biennio nero”. E invece di ribellarci, finiamo per cedere, per stanchezza, per sfiducia in noi stessi, o semplicemente travolti dalla nostra impegnativa quotidianità, alle squadre d’azione televisive, e beviamo, complici o succubi, quell’intruglio velenoso che chiamano infotainment: informazione mescolata all’intrattenimento, dove il secondo dovrebbe essere la cornice della prima: ma quel tipo di “intrattenimento” è pensato come un “trattamento”, una forma di svuotamento del cervello dello spettatore, in modo che vada opportunamente riempito di menzogne e falsità dalla parte “informativa”.
E l’aspirante duce, non pago di tutto ciò, nelle pause della più impegnativa delle sue “grandi opere” – il sesso, perlopiù a pagamento – si dedica quotidianamente all’esercizio dell’ingiuria e dell’intimidazione degli avversari, o semplicemente, di quei pochi che ancora non sono sul suo chilometrico libro-paga. E ci si invita ad “abbassare i toni”!? Giammai. I toni vanno alzati. La mobilitazione deve essere immediata, generale, capillare. Possibile che lo si capisca fuori d’Italia, dove i gridi d’allarme sulla tenuta democratica del Bel Paese si lanciano un po’ dappertutto; e noi ci accontentiamo del diritto al mugugno oppure, ahimè, facendo come “lui”, ci riduciamo al motto di spirito? Vogliamo renderci conto che dobbiamo svegliarci? Hannibal ad portas! Dunque, per cominciare, tutti a Roma, il 19 settembre!
del 8 settembre 2009
di Angelo D'Orsi
(Giornalista)
Anche per chi, come il sottoscritto, neppure un giorno di “ferie” ha potuto concedersi, il rientro nella quotidianità politico-mediatica, dopo un agosto in cui abbiamo continuato a sentire notizie sulla maschia possanza del Grande Capo, e ne abbiamo (colpevolmente) sogghignato, è sconvolgente.
La crisi, a quanto pare, sta cambiando obiettivo: ora saranno presi di mira soprattutto gli occupati da gettare sul lastrico: la chiameranno, eufemisticamente, “disoccupazione strutturale”; ma il governo continua a dire che noi stiamo meglio degli altri, e ci ordina di essere ottimisti, e magari a sputare in faccia ai seminatori di panico, gli inguaribili e ignobili pessimisti (ovviamente comunisti, o loro “utili idioti”). Su questa strada, il faro dell’ottimismo obbligatorio, dopo il venditore, è il suo grottesco spaccamontagne Brunetta, il nostro-Nobel-mancato-ma-di-poco. Dal canto suo, il sodale ministrino-Tremonti-dalla-voce-chioccia, porta avanti la sua personale battaglia di frizzi e lazzi contro le banche, a cui peraltro va tutto il sostegno governativo, in nome della “gente” o del “popolo”; e, poiché, esiste ancora un manipolo di economisti veri, e seri, non piegati al volere dei potenti, non trova di meglio che invitarli a star zitti, con modi bruschi e un sarcasmo stupefacente sulla bocca di chi si vanta di non aver studiato economia.
A tacere, del resto, il suo leader invita tutti noi, anzi ordina, praticamente ogni giorno, dopo la sua troppo breve vacanza in Sardegna, isola che ormai gli appartiene (tale si intuisce sia la percezione vagamente distorta del Cavaliere): il silenzio dev’essere davvero d’oro, se con tanta affettuosa o irritata insistenza ci ingiungono di perseguirlo. Le sole parole consentite sono gli assist al Capo, per permettergli di insaccare la battuta di turno, per raccontare una di quelle orribili barzellette di cui va tanto fiero: o, naturalmente, per assentire, sorridere, applaudire. Lo ricordate il famoso dialogo con la folla di Nerone, nella mirabile e irripetibile gag di Ettore Petrolini? “E noi faremo Roma, più grande e più bella che pria…” – “Bravo!” – “Grazie!” – “Prego”; e così via per una manciata di minuti, con il “Bravo!” che finisce per anticipare la frase di Nerone, e di seguito. Irresistibile. Petrolini, indubbiamente, aveva sotto gli occhi il modello (anch’esso irraggiungibile) di un altro Capo, al balcone di Palazzo Venezia.
Oggi, quella scenetta torna alla mente, davanti alle memorabili esternazioni del Cavaliere, ma che finora, ha indotto a qualche rabbuffo o, nei casi estremi, all’espressione di una “preoccupazione”. Anzi, v’è chi, ancora, invita a non cadere nell’“antiberlusconismo”, a non “fare il gioco dell’avversario” (il virus veltroniano a quanto pare non è debellato). Siamo insomma tutti cloroformizzati? Fortunatamente, no: ci sono voci che ancora osano levarsi, e dicono la verità – che pure è lampante – cercando di risvegliare i dormienti o di metter sull’avviso gli ottimisti. E qual è la verità? La stessa che si parava dinnanzi agli italiani nel 1922: ma anche allora v’era chi si accontentava di ripetere “nutro fiducia” (così l’ultimo presidente del Consiglio, prima di Mussolini, il liberale giolittiano Facta), chi si intestardiva a esprimere auspici, o proferiva inviti: alla buona volontà, al dialogo, alla calma. E le basi della dittatura, intanto, venivano poste.
Certo, allora c’erano le camicie nere, che scorazzavano per il Paese, nell’indifferenza delle “forze dell’ordine”, che, anzi, spesso e volentieri, davano loro manforte: e somministravano manganellate, colpi di rivoltella e di pugnale, e purghe antisovversive ai sospetti socialisti, bolscevichi, nemici della patria. Oggi abbiamo le buffonesche camicie verdi, e le loro filiazioni: le “ronde”.
Ne stiamo sorridendo, così come sorridiamo inebetiti davanti all’olio di ricino che ci ammannisce la televisione, ogni santissima sera. Questo è lo squadrismo odierno; meno appariscente, e più pericoloso di quello del “biennio nero”. E invece di ribellarci, finiamo per cedere, per stanchezza, per sfiducia in noi stessi, o semplicemente travolti dalla nostra impegnativa quotidianità, alle squadre d’azione televisive, e beviamo, complici o succubi, quell’intruglio velenoso che chiamano infotainment: informazione mescolata all’intrattenimento, dove il secondo dovrebbe essere la cornice della prima: ma quel tipo di “intrattenimento” è pensato come un “trattamento”, una forma di svuotamento del cervello dello spettatore, in modo che vada opportunamente riempito di menzogne e falsità dalla parte “informativa”.
E l’aspirante duce, non pago di tutto ciò, nelle pause della più impegnativa delle sue “grandi opere” – il sesso, perlopiù a pagamento – si dedica quotidianamente all’esercizio dell’ingiuria e dell’intimidazione degli avversari, o semplicemente, di quei pochi che ancora non sono sul suo chilometrico libro-paga. E ci si invita ad “abbassare i toni”!? Giammai. I toni vanno alzati. La mobilitazione deve essere immediata, generale, capillare. Possibile che lo si capisca fuori d’Italia, dove i gridi d’allarme sulla tenuta democratica del Bel Paese si lanciano un po’ dappertutto; e noi ci accontentiamo del diritto al mugugno oppure, ahimè, facendo come “lui”, ci riduciamo al motto di spirito? Vogliamo renderci conto che dobbiamo svegliarci? Hannibal ad portas! Dunque, per cominciare, tutti a Roma, il 19 settembre!
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