Dal Quotidiano Antimafia 2000
del 15 settembre 2009
di Nicola Tranfaglia
(Storico - docente all’Università di Torino)
Sabato 19 settembre può essere un nuovo inizio per i democratici italiani di tutte le forze politiche che hanno a cuore le libertà fondamentali sancite dalla nostra costituzione repubblicana, tra cui è fondamentale quella di informazione televisiva e giornalistica.
La manifestazione indetta a piazza del Popolo dalla Federazione Nazionale della Stampa ha raccolto l’adesione di tutti i partiti delle opposizioni rappresentati in Parlamento e nella società italiana e questa circostanza fa sperare che tanti partecipino all’iniziativa. Viviamo da tempo in un paese nel quale, grazie ad alcuni errori del centrosinistra e alla vittoria ultima (ma ormai tre volte ripetuta) di Berlusconi, la libertà di informazione è a tutti i livelli un genere optional, una sorta di piccola lampada che oggi è limitata a poche testate, a un piccolo angolo della Rai sul quale si preparano nuovi assalti, probabilmente vittoriosi, se non ci sarà una forte mobilitazione di una parte rilevante della società italiana. Eppure oggi abbiamo conferme costanti della situazione drammatica in cui ormai versa l’articolo 21 della costituzione repubblicana e ogni altra legge che si conformi ad essa. La ripresa parlamentare porterà in breve all’approvazione del disegno di legge Alfano che ripercorre, senza differenze rilevanti, il cammino del regime fascista, con l’effetto di intimidire i magistrati, in particolare quelli che non hanno un minimo di sensibilità democratica, e i giornalisti. Avrà l’effetto, come sanno da tempo i lettori del nostro giornale, di seppellire la cronaca giudiziaria e di ostacolare in maniera determinante tutte le indagini in grado di mettere in difficoltà la corruzione e il malaffare che caratterizzano il nostro paese.
Sicché lo stato di diritto tramonterà in maniera ancora più ampia e generalizzata di quanto è già avvenuto finora e il “populismo autoritario”, che ha già in buona parte sostituito la democrazia parlamentare iscritta nel nostro dettato costituzionale, dispiegherà i suoi effetti negativi sul piano culturale, politico e sociale. Ebbene, grazie al silenzio dei nostri giornali più diffusi, se si esclude la Repubblica, poco o nulla sanno i lettori italiani di quel che succede negli altri paesi dell’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, nostro maggior alleato internazionale sempre osannato dal governo Berlusconi, che dice di ispirarsi alla politica di Washington. Negli Stati Uniti, invece, il Freedom Information Act, una legge che è in vigore dal 1966, epoca della presidenza Johnson, consente ai cittadini, a tutti i cittadini, di ottenere non solo la desecretazione di importanti documenti segreti di tutte le presidenze americane ma anche di ottenere, fra le altre informazioni, il registro delle telefonate fatte dagli uffici dei ministri in carica. Ebbene un grande giornale di recente come il New York Times ha chiesto e ottenuto le telefonate del ministro del Tesoro di G. W. Bush, Hank Paulson. Attraverso quelle telefonate ha potuto accertare che il ministro, fino a poco tempo prima dirigente della Lehman Brothers fallita per la crisi, ha venduto, all’atto di diventare ministro, le proprie azioni GS della società ma in seguito ha avvantaggiato con la sua politica proprio i possessori di azioni di quella società cui il ministro ha dimostrato di continuare ad essere legato, malgrado la vendita delle sue azioni. Dopo questa indagine, il quotidiano americano ha scritto un severo articolo di critica all’ex ministro rimproverandogli dinon essersi liberato del suo conflitto di interessi e di aver fatto gli affari del gruppo di affaristi di cui fa parte piuttosto che quelli generali della comunità nazionale. Ora un episodio come questo, di cui ha parlato qualche giorno fa, il 13 agosto Salvatore Bragantini sul Corriere della Sera (ma nessun altro giornale ne ha dato notizia) appare particolarmente significativo se confrontato alla situazione italiana.
Noi non abbiamo una legge paragonabile a quella americana, o a quella inglese che ne ha ripercorso le orme, e siamo ancora addirittura alle prese con la persistenza di un segreto di Stato esteso oltre ogni limite ma, soprattutto, abbiamo una formidabile disattenzione di tutti i mezzi di comunicazione rispetto a quel che fa l’esecutivo come i vari ministri. E ci chiediamo se una democrazia repubblicana, come prevede la nostra Costituzione, è in grado di adempiere ai propri compiti essenziali in una situazione così lontana da quella americana, cui pure dice di ispirarsi. È una domanda da aggiungere alle dieci domande che la Repubblica ha già fatto al presidente del Consiglio sui suoi comportamenti, spingendolo addirittura, nei giorni scorsi, a querelare con particolare arroganza il giornale che ha esercitato una normale attività di critica democratica. Come ha fatto con questo giornale arrivando a chiedere un risarcimento di tre milioni di euro.
del 15 settembre 2009
di Nicola Tranfaglia
(Storico - docente all’Università di Torino)
Sabato 19 settembre può essere un nuovo inizio per i democratici italiani di tutte le forze politiche che hanno a cuore le libertà fondamentali sancite dalla nostra costituzione repubblicana, tra cui è fondamentale quella di informazione televisiva e giornalistica.
La manifestazione indetta a piazza del Popolo dalla Federazione Nazionale della Stampa ha raccolto l’adesione di tutti i partiti delle opposizioni rappresentati in Parlamento e nella società italiana e questa circostanza fa sperare che tanti partecipino all’iniziativa. Viviamo da tempo in un paese nel quale, grazie ad alcuni errori del centrosinistra e alla vittoria ultima (ma ormai tre volte ripetuta) di Berlusconi, la libertà di informazione è a tutti i livelli un genere optional, una sorta di piccola lampada che oggi è limitata a poche testate, a un piccolo angolo della Rai sul quale si preparano nuovi assalti, probabilmente vittoriosi, se non ci sarà una forte mobilitazione di una parte rilevante della società italiana. Eppure oggi abbiamo conferme costanti della situazione drammatica in cui ormai versa l’articolo 21 della costituzione repubblicana e ogni altra legge che si conformi ad essa. La ripresa parlamentare porterà in breve all’approvazione del disegno di legge Alfano che ripercorre, senza differenze rilevanti, il cammino del regime fascista, con l’effetto di intimidire i magistrati, in particolare quelli che non hanno un minimo di sensibilità democratica, e i giornalisti. Avrà l’effetto, come sanno da tempo i lettori del nostro giornale, di seppellire la cronaca giudiziaria e di ostacolare in maniera determinante tutte le indagini in grado di mettere in difficoltà la corruzione e il malaffare che caratterizzano il nostro paese.
Sicché lo stato di diritto tramonterà in maniera ancora più ampia e generalizzata di quanto è già avvenuto finora e il “populismo autoritario”, che ha già in buona parte sostituito la democrazia parlamentare iscritta nel nostro dettato costituzionale, dispiegherà i suoi effetti negativi sul piano culturale, politico e sociale. Ebbene, grazie al silenzio dei nostri giornali più diffusi, se si esclude la Repubblica, poco o nulla sanno i lettori italiani di quel che succede negli altri paesi dell’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, nostro maggior alleato internazionale sempre osannato dal governo Berlusconi, che dice di ispirarsi alla politica di Washington. Negli Stati Uniti, invece, il Freedom Information Act, una legge che è in vigore dal 1966, epoca della presidenza Johnson, consente ai cittadini, a tutti i cittadini, di ottenere non solo la desecretazione di importanti documenti segreti di tutte le presidenze americane ma anche di ottenere, fra le altre informazioni, il registro delle telefonate fatte dagli uffici dei ministri in carica. Ebbene un grande giornale di recente come il New York Times ha chiesto e ottenuto le telefonate del ministro del Tesoro di G. W. Bush, Hank Paulson. Attraverso quelle telefonate ha potuto accertare che il ministro, fino a poco tempo prima dirigente della Lehman Brothers fallita per la crisi, ha venduto, all’atto di diventare ministro, le proprie azioni GS della società ma in seguito ha avvantaggiato con la sua politica proprio i possessori di azioni di quella società cui il ministro ha dimostrato di continuare ad essere legato, malgrado la vendita delle sue azioni. Dopo questa indagine, il quotidiano americano ha scritto un severo articolo di critica all’ex ministro rimproverandogli dinon essersi liberato del suo conflitto di interessi e di aver fatto gli affari del gruppo di affaristi di cui fa parte piuttosto che quelli generali della comunità nazionale. Ora un episodio come questo, di cui ha parlato qualche giorno fa, il 13 agosto Salvatore Bragantini sul Corriere della Sera (ma nessun altro giornale ne ha dato notizia) appare particolarmente significativo se confrontato alla situazione italiana.
Noi non abbiamo una legge paragonabile a quella americana, o a quella inglese che ne ha ripercorso le orme, e siamo ancora addirittura alle prese con la persistenza di un segreto di Stato esteso oltre ogni limite ma, soprattutto, abbiamo una formidabile disattenzione di tutti i mezzi di comunicazione rispetto a quel che fa l’esecutivo come i vari ministri. E ci chiediamo se una democrazia repubblicana, come prevede la nostra Costituzione, è in grado di adempiere ai propri compiti essenziali in una situazione così lontana da quella americana, cui pure dice di ispirarsi. È una domanda da aggiungere alle dieci domande che la Repubblica ha già fatto al presidente del Consiglio sui suoi comportamenti, spingendolo addirittura, nei giorni scorsi, a querelare con particolare arroganza il giornale che ha esercitato una normale attività di critica democratica. Come ha fatto con questo giornale arrivando a chiedere un risarcimento di tre milioni di euro.
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