mercoledì 3 febbraio 2010

La norma “azzera-pentiti” e quei messaggi ai boss

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 3 febbraio 2010

di Sandra Amurri
(Giornalista)


Il ddl “azzera-pentiti” – che se diventasse legge segnerebbe la fine del contrasto a Cosa Nostra, alla ’Ndrangheta e alla Camorra – è stato infilato, non casualmente, nel calderone dei disegni di legge sulla modifica del processo penale in discussione alla Commissione giustizia del Senato. Così come non casualmente porta la firma del senatore avvocato Giuseppe Valentino, vice di Niccolò Ghedini alla consulta Pdl per la Giustizia. E così come non casualmente relatore in Commissione giustizia al Senato è Piero Longo, avvocato che difende Silvio Berlusconi assieme a Ghedini nei processi Mills e sui diritti Mediaset. Sempre non a caso, Valentino è stato relatore alla Commissione giustizia alla Camera del processo breve. Avvocati candidati con un preciso mandato: difendere il loro cliente anche nelle aule istituzionali dagli attacchi dei giudici politicizzati. Un azzardo che, almeno a parole , non viene condiviso dal ministro della Giustizia Alfa-no: “È un’iniziativa personale del senatore del Pdl, il testo non fa parte del programma di governo, né dei nostri progetti. Non se n’è discusso né è stato avallato dal governo, dalla maggioranza o dalla consulta Giustizia del Pdl”. Strano, visto che il suo firmatario Valentino è appunto il vice di Ghedini che presiede la consulta giustizia del Pdl e che Ghedini non è propriamente un signor nessuno. Iniziativa questa della “azzera-pentiti” azzardata due legislature or sono quando era stata inserita nel testo del forzista Pittelli divenuta emergenza a causa dell’incalzare dei processi che vedono imputati oltre al Cavaliere anche Dell’Utri e Cuffaro. Ma che bisogno c’era di questo ddl visto che la norma attuale dice già che le dichiarazioni rese da un imputato di reato connesso hanno necessità di elementi di prova che ne confermino l’attendibilità e che la valutazione della prova è nel potere del giudice? Il bisogno sta nel depotenziamento dell’acquisizione della prova nel processo penale. Con questa norma, infatti, la prova deve essere supportata non più da diverse dichiarazioni di collaboratori ma da fatti documentali o testimoniali. E siccome nei processi di mafia i soli testimoni sono mafiosi divenuti collaboratori equivale all’annullamento della prova. Un esempio lo fa Luigi Li Gotti, avvocato di Tommaso Buscetta, oggi senatore dell’Idv e componente della Commissione giustizia: “Se conosciamo la decisione assunta dalla commissione di Cosa Nostra di intraprendere nel ‘92 la linea stragista è solo perché ce lo hanno detto Cancemi e Brusca che ne facevano parte. Con questa norma, quelle conoscenze sarebbero state inutilizzabili in quanto sarebbero mancati i riscontri esterni”. Ve la immaginate la commissione di un’organizzazione criminale segreta che si svolge alla presenza di un notaio non mafioso o che viene videoregistrata dalla polizia? Per questo e non solo – come spiega il procuratore aggiunto Antonio Ingroia – “il ddl rischia di essere un colpo di grazia a tutto l’impianto della validità probatoria delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia su cui si è fondato il maxi-processo di Falcone e Borsellino. L’85% delle condanne del maxi-processo non ci sarebbero state, così come il 60-70% delle condanne all’ergastolo anche per le stragi di Capaci e via D’Amelio, che si fondano tra l’altro sul cosiddetto incrocio delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia”. Anche Walter Veltroni mette in guardia sul fatto che “si andrebbe verso l’impunità dei reati mafiosi rischiando di proteggere i mafiosi dal colletto bianco che muovono centinaia di miliardi di euro ogni anno e che hanno porte aperte anche nella politica e nell’amministrazione di questo paese”. Concorda Giampiero D’Alia, presidente dei senatori Udc, il partito di Cuffaro: “Dopo la trasformazione del processo breve in amnistia, potremmo assistere alla trasformazione della riforma del processo penale in uno smantellamento per via processuale della legislazione antimafia”. E come spiega il sostituto procuratore Ingroia “significherebbe che la sentenza definitiva del maxi-processo, acquisita in moltissimi processi di mafia invaliderebbe i processi stessi e potrebbero esserci conseguenze su tutti i processi in corso e su quelli già chiusi con sentenza definitiva”.

Dichiarazioni che non potrebbero essere utilizzate neppure come indizi di colpevolezza per motivare la richiesta di custodia cautelare. Il tutto metterebbe una pietra tombale anche su nuove collaborazioni visto che diventerebbe impossibile valutare la credibilità del collaboratore in quanto il mafioso dovrà dire all’inizio che quello che racconterà è riscontrato da A, B e C. E se è vero che in qualità di norma processuale non dovrebbe avere effetto retroattivo, grazie al processo breve verrebbe applicata anche ai processi in corso e a quelli chiusi. “Aprendo insperate aspettative per i mafiosi che potranno invocare una revisione dei loro processi” per dirla con Ingroia. Esattamente come da tempo invocano Totò Riina e il suo esercito dietro le sbarre. Proprio per questa ragione il messaggio inviato alle organizzazioni criminali è chiaro: stiamo lavorando per noi ma anche per voi.

Nessun commento:

Posta un commento