del 5 settembre 2009
di Marco Politi
(Giornalista)
ROMA - Il giorno dopo la decapitazione dell'Avvenire tra i vescovi e nel mondo variegato delle parrocchie è l'ora del dolore, della rabbia, dello smarrimento. Nelle stanze vaticane la parola d'ordine è "lasciar decantare". Nella sede della Cei si invoca il silenzio in attesa che il presidente Bagnasco tiri le fila nel suo discorso al Consiglio permanente dei vescovi, che si aprirà il 21 settembre. Al vertice dell'episcopato si è indignati per la "disgustosa aggressione" a Boffo, ma al tempo stesso i prelati sussurrano: "Dobbiamo metabolizzare".
"Ci è venuto addosso un carro armato", confessa un vescovo di provincia. Ferita, l'istituzione si ricompatta. "Non ci lasceremo intimidire", è la reazione corale di Ruiniani e bertoniani, fautori e critici di Bagnasco si stringono intorno a Santa Madre Chiesa sgomenti per la violenza dell'attacco. È qualcosa che Berlusconi non riuscirà mai a percepire, ma che resterà come cicatrice ulcerosa. Un presule, che mai ha pencolato verso il centro-sinistra, dichiara amareggiato: "È stata un'aggressione fuori da ogni logica. Faccio fatica a capire". Poi, però, soggiunge: "Ora navighiamo a vista".
Perché il vero nodo si è rivelata la mancanza di un polso fermo e di una strategia lungimirante in tutta la vicenda. Difficile dire quanto del malumore esistente fra i vescovi emergerà al Consiglio permanente della Cei, ma in privato parecchi vescovi sono irritati per la confusione che regna ai livelli supremi della gerarchia. "Peggio di così la storia non si poteva gestire", commenta tagliente un presule: "Con anticipo bisognava chiedere delucidazioni sull'affaire e dare indicazioni".
Non è possibile, infatti, che prima si facciano scendere in campo - seppure a singhiozzo - i massimi calibri, da Bagnasco a Bertone e incluso il Papa, per sostenere Boffo e poi, al culmine dell'offensiva di Feltri, lasciare che si dimetta. Afferma sconsolato un monsignore: "O ai vertici sanno cose che noi vescovi in provincia ignoriamo oppure si dà l'impressione di fragilità su tutti i fronti". Al dunque è mancato in campo ecclesiastico un timoniere che guidasse con sicurezza la barca nella tempesta.
Sembra impensabile che quando già l'attacco anti-Boffo era partito e l'incontro fra Bertone e Berlusconi era stato annullato, il direttore dell'Osservatore Romano abbia potuto definire "eccellenti" i rapporti con il governo. Voci critiche sulla mancanza di una reale leadership - come già avvenuto in altre crisi durante questo pontificato - si sentono dentro e fuori delle mura vaticane. "Nell'ultima fase di Wojtyla - spiega un'eminenza - c'era un quadrumvirato composto dal segretario di Stato Sodano, dal segretario papale Dziwisz, dal cardinale Re e dal presidente della Cei Ruini e tutti sapevano come regolarsi e a chi fare riferimento. Ma oggi?".
Il cardinale Bertone - che pure lo vorrebbe - non tiene in pugno l'episcopato italiano come Ruini e la macchina curiale resta in fondo distante da chi, come l'attuale Segretario di Stato, non viene dai ranghi della diplomazia vaticana. "Il clima di incertezza si percepisce a pelle - dichiarano nei corridoi vaticani - perché Benedetto XVI fa il Maestro, ma poi la catena di comando interna come funziona?".
Ci sono vescovi ben addentro ai meccanismi della Cei che non esitano a parlare di un clima di "sgretolamento" e di assenza di prospettiva e di guida, che si respira ai livelli alti dove si dovrebbero tracciare le strategie della Chiesa cattolica italiana in rapporto ad una situazione sociale complessa e un quadro politico pesante. In questa atmosfera di caos calmo si sono cristallizzate due posizioni. La Segreteria di Stato, che pure amerebbe vedere crescere un Nuovo Centro sulla scena politica italiana, resta convinta di dovere pragmaticamente ottenere da Berlusconi due risultati: una legge sul testamento biologico che non conceda la piena autodeterminazione al paziente e il finanziamento alle scuole private. "Dobbiamo trattare con i governi che abbiamo di fronte, sempre", riassume asciutto un monsignore. E nell'appartamento papale continua a regnare la fiducia in Gianni Letta, che vedrà il pontefice domenica a Viterbo.
Sull'altro versante sta l'atteggiamento dell'episcopato, che rifiuta la pretesa della Segreteria di Stato di guidare gli affari italiani. "Siamo noi vescovi, successori degli apostoli, ad avere il diritto di giudicare la situazione italiana e gli atti del governo", protesta un veterano delle assemblee Cei.
Ma i presuli più disincantati ammettono le divisioni interne: "C'è chi considera Berlusconi un baluardo contro il comunismo, chi vede il centro-destra garante dei principi non negoziabili, chi invece denuncia la deriva diseducativa e anticristiana del modello Berlusconi, chi guarda al centro-sinistra e chi si dispera per il vuoto dell'opposizione". Alla fine, nonostante il colpo subito, incombe sempre come tentazione il pragmatismo del giorno per giorno.
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