sabato 16 gennaio 2010

Eutanasia di un partito

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 17 gennaio 2010

di Furio Colombo
(Senatore PD)


Confesso che avrei voluto allargare l’orizzonte e riflettere con voi sul peggio (l’immenso dolore di Haiti) e sul meglio del mondo (navi, aerei, 10.000 soldati Usa partono per salvare donne e bambini dalle macerie, rovesciando le tipiche e tragiche sequenze delle vicende internazionali).

Ma, come voi, sono inchiavardato a un paese infelice, in cui il Male è Emma Bonino e il Bene (almeno secondo una disorientante visione di Paola Binetti) sarebbe l’esclusione della Bonino dal mondo politico. Tanto più che l’on. Binetti, prendendo atto della candidatura di Emma Bonino alla regione Lazio in rappresentanza Pd, ha detto una frase grave: “Questa è l’eutanasia di un partito”.

Verrebbe voglia di appartarsi un momento con questa signora colta e gentile per chiederle: “Dio chi?”. Voglio dire: come, quando, perché Dio ha deciso di rifiutare sempre e per sempre Emma Bonino? O meglio: quale Dio? In quali Scritture? Un chiarimento per i lettori, che a volte sembrano infastiditi dai troppi frequenti riferimenti amichevoli ai Radicali (ma non erano di destra?) quando provo a raccontare e commentare certi fatti della politica.

Guardate che io non sto parlando di Emma Bonino e della sua candidatura spontanea nel deserto di un’importante regione italiana, che è anche un simbolo perché qui c’è la Capitale.

Sto parlando del Pd che era in attesa, con ferma e dignitosa astensione da ogni iniziativa. Aspettava qualcuno da seguire, senza sapere e potere dire chi. E così da una parte arriva il miracolo – una persona estranea al Pd (ma non all’opposizione, non all’Italia pulita, non alle prove già date di buona, efficace politica), che però si è scelta da sola, sembra capace, interrompe la prolungata afasia del Pd ed è già al lavoro. Dall’altra arriva lo scisma. O la minaccia di scisma. O la minaccia di una minaccia, subordinata a condizioni strane, rovesciate, che ricordano alcuni passaggi del “Codice da Vinci”, cioè un thriller che racconta il mistero truccando le carte. Anche qui, nella solenne e drastica enunciazione della Binetti, c’è un trucco (o un rovesciamento logico, umano, politico, persino religioso) che lascerebbe increduli se non fosse pubblicato sul Corriere della Sera, p. 12, il 16 gennaio.

Dunque, in quell’articolo l’intervistatrice (Monica Guerzoni) domanda alla deputata Pd Paola Binetti: “Lascerà il Pd?”. La risposta è degna di essere riportata e ricordata. Anzi, su di essa il Pd dovrebbe aprire un convegno. “Lascerò il Pd se la leader radicale dovesse vincere le elezioni”. Tratteniamo per un momento lo stupore (la frase è insensata dal punto di vista logico, assurda dal punto di vista politico, sconveniente quanto a minima lealtà al proprio club di appartenza). E cerchiamo di capire il senso del fenomeno a cui stiamo assistendo. Senza alcun giudizio su persona e valori della Bonino candidata, senza alcuna conoscenza del programma (che non è ancora stato presentato e discusso e che – comunque – non riguarda gli angeli e gli arcangeli, ma la regione Lazio), la deputata cattolica eletta nelle liste Pd dichiara che resterà fedele al suo partito solo in caso di sconfitta. Invece, se Emma Bonino – in questo momento la principale candidata Pd delle elezioni di marzo – vincerà le elezioni, umilierà il potente schieramento avversario, conquisterà la regione Lazio (un fatto che si presta a diventare subito notizia internazionale, come vincere la California o New York negli Usa) – se restituirà fiducia e speranza a tutto il centrosinistra, la deputata Pd Binetti sarà costretta ad andarsene. Lealmente, spiega a fine intervista che, per evitare un simile evento, da subito farà campagna contro la Bonino, dunque contro il Pd e la concreta possibilità di vittoria del suo partito che adesso, nel Lazio, potrebbe tornare in vita, dopo – e nonostante – il triste caso Marrazzo. Niente di teologico in tutto ciò, e neppure quel tipo di dissenso (ogni dissenso) che giova sempre ai partiti.

La Binetti ci annuncia, come condizione per restare nel Partito democratico, la sconfitta del suo stesso partito, ma promette anche un ruolo attivo per ottenere la desiderata sconfitta. Un atto d’amore capovolto, se volete, simile al gesto di chi uccide la persona amata perché non sia mai di altri. Qualcosa non va. E la Binetti, medico e psichiatra, dovrebbe saperlo. Dovrebbero saperlo anche i leader del Pd, parlandone da vivi.

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