martedì 24 novembre 2009

Bruno Tinti porta la giustizia a teatro

Dal Blog Toghe Rotte
del 23 novembre 2009

di Bruno Tinti
(Ex Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino)


25 novembre ore 21, Castel San Pietro Terme (BO) - Teatro Comunale Cassero

26 novembre ore 20,45, San Daniele del Friuli (UD) - Auditorium Alla Fratta

Musiche originali: Valentino Corvino
Violino & live electronics: C_project
Creazioni & live video: Tommaso Arosio
Scene e costumi: Rosanna Monti
Disegno luci: Angelo Generali
Datore luci: Giulio Camporesi
Regia: Franco Travaglio

Pigliamola da lontano. In qualsiasi Paese, se due persone non vanno d’accordo possono risolvere il loro problema solo in due modi: applicano una legge che dà ragione ad uno e torto a un altro; oppure fanno a botte e vince il più forte.
Non c’è un’alternativa. O c’è una legge e la si rispetta; o la legge che si applica è quella del più forte.

Ora, questa cosa la sappiamo tutti; solo che la capiamo di solito in un modo un po’ restrittivo: il più “forte” è quello più forte muscolarmente o più forte perché è armato. Tendiamo a credere insomma – perché in questo senso c’è una forte e maliziosa pressione dei padroni dell’informazione – che la “forza” sia solo quella delle armi. Così, quando qualcuno dice che la forza ha prevalso, noi pensiamo alla forza della mafia, alla violenza del terrorismo, allo strapotere dell’esercito e roba simile.

Ma la “forza” non è solo quella.

In una società complessa, come sono tutte quelle nelle quali viviamo, la “forza” ha tante facce. C’è la forza del denaro, naturalmente. Chi ha più soldi si può procurare gli strumenti più adatti, le autorizzazioni necessarie, le opportune garanzie, gli avvocati più preparati.
E c’è anche la forza del ceto sociale cui si appartiene. Un modesto artigiano non ha mai lo stesso “potere” del funzionario dello Stato o dell’avvocato di affari.
E c’è la forza del gruppo religioso di appartenenza, del partito politico in cui si milita personalmente o cui appartiene l’amico o il parente, della loggia massonica, del branco di ragazzi del quale si fa parte, della tifoseria con la quale si va alla partita, dell’associazione culturale o para-culturale etc..
Questa “forza” viene impiegata ogni giorno, in ogni occasione, da un numero sterminato di cittadini che si servono della “forza” per violare le regole.

Allora. I giudici servono a questo: a fare rispettare le regole.
Per la verità questo compito, in un Paese complessivamente sano, nel quale il rispetto del regole sia tendenzialmente diffuso, non è particolarmente gravoso. In Paesi di questo genere il ruolo della magistratura non è molto rilevante; e l’esigenza di averne una con particolari qualità non si pone proprio.

Nel nostro Paese, dove il rispetto delle regole è pochissimo diffuso il giudice ha compiti parecchio più difficili. Soprattutto perché, naturalmente, chi non rispetta le regole è, in genere, chi ritiene di poterselo permettere; dunque il “forte”, quello che conta sull’impunità e sul successo delle sue prevaricazioni. Ed è quindi fatale che vi sia una contrapposizione feroce tra il giudice e la “forza”. L’amministrazione della giustizia quindi serve ai deboli. A coloro che non hanno la forza sufficiente a procurarsi da sé ciò a cui hanno diritto; oppure a non vedersi strappato via quello a cui hanno diritto. Per questa gente il ricorso al giudice è l’unico strumento che ha per ottenere ciò che gli spetta. Naturalmente, anche per loro c’è un’alternativa: rivolgersi a un qualche “potere forte”.
Quindi la “forza” è in concorrenza con la “giustizia”.

Ma non serve solo a questo la giustizia. Serve anche a far sì che si sia in democrazia. E anche questa cosa non è proprio capita bene da tutti.
Se chiediamo a un campione più o meno nutrito di persone che cosa pensa che sia la democrazia, ci sentiamo inevitabilmente rispondere che la democrazia è la possibilità di scegliere chi ci governa. In sostanza saremmo in democrazia se e quando scegliessimo chi governa.

Già detta così, dovremmo concludere che il nostro non è un Paese democratico visto che non siamo mai stati e oggi siamo ancora meno liberi di scegliere chi governa: le liste elettorali vengono fatte non da noi, ma dai partiti (i “poteri forti”); e, con la legge elettorale attuale, gli elettori non possono neppure dare la preferenza a questo o quel candidato, perché i candidati se li decidono le segreterie dei partiti.

Ma il motivo reale per cui, in fondo, non viviamo in un Paese propriamente democratico è un altro.
La democrazia non è solo un metodo di scelta del governante; fondamentalmente, è un metodo di esercizio del potere.
Questa cosa non ce la dicono mai; tutti (tutti i politici) continuano a riempirsi la bocca con il fatto che loro sono i rappresentanti del popolo che deve essere felice perché ha avuto la fortuna di poterli eleggere “liberamente” (mah). Ma il punto è che democrazia non significa solo questo: significa che nel Paese in cui i cittadini sono così fortunati da potersi eleggere i loro rappresentanti, poi tutti sono trattati ugualmente e le leggi si applicano a tutti, anche a coloro che le fanno.

Se ci pensiamo un po’, in Italia, oggi, non c’è tanta democrazia.
Il potere legislativo e quello esecutivo sono nelle mani delle stesse persone (chi governa ha anche il controllo del Parlamento). E questa gente sempre più spesso fa le leggi che servono a lei, non quelle che servono ai cittadini.
Ecco perché il giudice, nel nostro Paese, si trova nei guai. Perché è ancora libero dal controllo dei “poteri forti”; e quindi è rimasto l’unico strumento per quelli che non hanno “forza” per far valere i propri diritti.
Il giudice è “ancora” libero.
Ma fino a quando; e cosa si dovrebbe fare perché resti libero?

Ma un giudice “libero” non è sufficiente: occorre ancora che possa davvero fare il giudice, amministrare Giustizia; altrimenti la sua “libertà” sarebbe inutile.
E allora la domanda successiva è: cosa si dovrebbe fare perché il giudice possa davvero amministrare Giustizia?
Questo spettacolo prova a rispondere a queste domande.

Bruno Tinti

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