lunedì 30 novembre 2009

Sì, infango il Paese ma il mio editore è un suo omonimo

Dal Quotidiano L'Unità
del 30 novembre 20009

Raffaele Cantone
(Giudice della Suprema Corte di Cassazione)


Ill.mo sig. Presidente del Consiglio, ho letto, e sentito in tv direttamente dalla Sua voce, che finalmente ha individuato i responsabili dei mali della Nazione. Si tratta, ha detto con giusta enfasi, dei registi, degli sceneggiatori e degli scrittori che nelle loro opere evocano un mostro inesistente: le mafie. Il Suo lucido ragionamento mi ha subito convinto: questi pennivendoli, pur di guadagnare qualche soldo, infangano il nostro Stato descrivendo un degrado morale, economico e sociale che esiste solo nella loro deviate fantasie. Ben potrebbero, invece, mi consenta, cantare le lodi, accompagnati eventualmente dagli stornelli di qualche posteggiatore napoletano, di un paese dove mare, sole e spaghetti formano un’indimenticabile cartolina.
Le Sue parole mi rodono la coscienza. Ho, così, deciso di confessarLe il mio grave peccato e lo farò, come ogni giorno fanno gli arconti della Nazione, senza chiedere attenuanti, indulti, prescrizioni, lodi o processi brevi. Mi rimetterò alle Sue decisioni, visto che, assumendo su di sé il gravoso onere di tutti i poteri, ha deciso non solo di individuare gli illeciti, ma anche di giudicare i colpevoli e di punire con le Sue proprie mani i reprobi, strozzandoli.

Ho scritto un libercolo in cui ho falsamente affermato che in Campania, e non solo, opera un’organizzazione mafiosa a cui ho attribuito il nome di fantasia di «Camorra» e, per vendere qualche copia in più, ho anche bugiardamente aggiunto che questa organizzazione è molto forte sul territorio e ha inquinato, ammazzato, corrotto, contraffato e tanto altro. Certo, non avendo scritto un best seller ma un libricino che oltre ai miei familiari avranno comprato quattro amici per non deludere le mie folli ambizioni di scrittore, potrei forse sperare nella Sua benevolenza. So, però, di avere due ulteriori colpe che non consentono attenuanti. Non solo sono un magistrato ma, per più di sedici anni, ho fatto il pm. e, obnubilato dal rosso della toga e istigato da cospiratori comunisti, ho contribuito a far condannare tanti innocenti per un delitto inventato nei retrobottega di partiti stalinisti che si chiama «associazione mafiosa». Ma oggi ho deciso di redimermi. Non accuserò solo me stesso e, pur guardandomi dal dichiararmi pentito (parola che so non ama molto), Le indicherò i corresponsabili delle mie malefatte. Come ricorderà dai suoi studi e come le potranno confermare i Principi del foro della Sua Corte, concorrono nei reati tutti coloro che, in qualsivoglia modo, hanno favorito la perpetrazione dell’illecito. Con me, quindi, andranno puniti in modo esemplare non solo tutti i funzionari della casa editrice comunista che ha pubblicato le mie fantasie deviate, ma anche l’Amministratore della stessa, che è un’omonima di Sua figlia Marina, ed il principale azionista che si è permesso, persino, di essere un Suo omonimo.

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