mercoledì 18 novembre 2009

Beni sequestrati ai boss: ceduti a “trattativa privata”

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 18 novembre 2009

di Sandra Amurri
(Giornalista)


Vendere i beni confiscati alla mafia per fare cassa e finanziare il fondo unico giustizia (50% al Ministero dell’Interno e 50% al Ministero della Giustizia) è la sola certezza che emerge dal testo dell’emendamento alla Finanziaria approvato in Senato. È chiara solo la finalità lasciando aperta la porta a qualsiasi abuso. Per il resto è buio fitto. La legge non garantisce nulla, tantomeno la trasparenza dell’azione dello Stato nella lotta alla mafia. L’emendamento approvato al Senato, infatti, cosìcom’è strutturato, con tutta una serie di richiami ad altre di norme di legge, finisce con il rendere normale la procedura della trattativa privata per la vendita dei beni confiscati alla mafia di valore inferiore ai 516 mila euro. Cioè la maggior parte. L’emendamento, infatti, non parla né di asta pubblica né di trattativa privata, ma richiama le norme già esistenti che prevedono una forma di asta pubblica soltanto qualora i beni superino il milione di euro. Unica novità è la previsione di un altro parere di un nuovo organo, il Commissario straordinario per la gestione dei beni confiscati alle associazioni di tipo mafioso. La legge non è aberrante in sé, come sono in molti a gridare, in quanto prevedere la vendita dei beni che residuano dalle assegnazioni per finalità specifiche agli enti pubblici ed alle associazioni risponde ad una logica condivisibile di valorizzazione del patrimonio pubblico. Aberrante, invece, è non specificare dettagliatamente con quali modalità la vendita dovrà avvenire. Il rischio che i beni, attraverso prestanomi, possano essere acquistati dagli stessi mafiosi, ai quali sono stati confiscati, diviene altissimo proprio perché la vendita avverrà nella maggioranza dei casi a trattativa privata. “Non c’era bisogno di un provvedimento tampone quanto di una riconsiderazione del settore della gestione dei beniattraverso la creazione di un’agenzia apposita per la gestione che garantisca efficienza e trasparenza” spiega Fabio Licata, Giudice della sezione misura di prevenzione del Tribunale di Palermo. “Inoltre è un emendamento molto generico. Innanzitutto bisogna fare una valutazione rispetto ai vari beni confiscati, se si tratta di immobili, di aziende, di imprese, di società e stabilire, caso per caso, quali conviene gestire, quali conviene vendere e quali conviene assegnare ad associazioni come Libera, ad esempio, perché voglio dargli anche un alto valore simbolico di recupero civico. Non credo che l’asta pubblica sia uno scandalo di per sé. Il punto è la trasparenza delle procedure per evitare, appunto, che la mafia possa tornare in possesso di quegli stessi beni . Tutto dipende da come lo si fa. Evitare che la mafia li riacquisti è un problema di dignità dello Stato. Uno Stato che non fosse in grado di garantire la trasparenza proprio in questa materia non sarebbe uno Stato serio - insiste Licata -. Il problema è il necessario rispetto delle regole che, una volta stabilite dallo Stato, devono essere fatte rispettare, anche accertando la provenienza dei soldi. Ma voglio dire, le regole ci sono e le procedure anche, a mancare, semmai, è la volontà di farle rispettare”. Non basta quindi limitarsi a dire che i beni debbono essere venduti con buona pace della lotta alla mafia perché dal valore della trasparenza e dal rispetto delle regole non si può prescindere. In conclusione, questa legge, dettata dall’emergenza di fare cassa, resta poco chiara e di difficile applicazione, come quelle ad personam che cadono per fortuna sotto la scure della Corte Costituzionale.

Nessun commento:

Posta un commento