lunedì 9 novembre 2009

QUANTA RIPRESA È DAVVERO ARRIVATA IN ITALIA

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 8 novembre 2009

di Stefano Feltri
(Giornalista)


I titoli dei giornali ieri erano tutti uguali e suonavano così: L’Italia guida la ripresa economica internazionale. La ragione di tanto entusiasmo era il superindice dell’Ocse che nell’ultimo mese è risultato più alto del 10 per cento rispetto allo stesso periodo del 2008. “Il tempo è stato galantuomo”, ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, perché ha dimostrato che “noi in Italia ce l’abbiamo fatta abbastanza bene” e, come dice Silvio Berlusconi, “la crisi è finita”. Visto che quella sulla recessione è una guerra politica che si combatte a colpi di numeri e percentuali, bisogna fermarsi un minuto sulle cifre per capire chi ha ragione: il governo che invita all’ottimismo o gli imprenditori e i sindacati che sono ancora in attesa del peggio?

INDICI POCO SUPER.

Partiamo proprio dal superindice Ocse che, a dispetto del nome, non è molto super. Indica soltanto le oscillazioni rispetto all’output potenziale di un paese: il dato spiega quindi che l’Italia è tra i paesi che più rapidamente si stanno avviando a produrre beni e servizi al massimo delle proprie possibilità. Se in Italia stanno scomparendo piccole imprese a decine o centinaia di migliaia, per quelle rimaste sarà più facile tornare a produrre al massimo delle proprie possibilità perché ci sarà meno concorrenza, ma nell’insieme il paese sarà più povero. E’ più facile ottenere fette più grandi di una torta che però è diventata più piccola.

Ma il governo, in questo caso, preferisce non addentrarsi nei tecnicismi e affidarsi all’effetto rassicurante di un dato con il segno “più” davanti. Quando i numeri erano sfavorevoli, invece, Tremonti li bollava come “meri esercizi congetturali” arrivando a prendere le distanze anche da quelli elaborati dal suo stesso ministero, se troppo negativi. E gli “esercizi congetturali” erano relativi a numeri decisivi: uno su tutti, il tasso di crescita del Pil. Secondo la Commissione europea l’Italia arretrerà nel 2009 del 4,7 per cento, per il Fondo monetario internazionale la stima è del 5,1 per cento. E in questo ha ragione Tremonti, siamo in compagnia: il Pil della Germania dovrebbe contrarsi del 5,3 per cento, quello della Francia (che ha usato molto la spesa pubblica) del 2,4 per cento, gli Stati Uniti, da dove tutto è partito, del 2,7. Ma quello che ci rende diversi è il punto di partenza: mentre prima della crisi gli altri crescevano a ritmo sostenuto, l’Italia già arrancava.

SGRETOLAMENTO. Come ha denunciato l’Associazione delle piccole imprese di Confindustria, il vero rischio per l’Italia è che la crisi faccia scomparire una parte del tessuto produttivo. E quando arriverà la ripresa (se arriverà, visto che anche nel 2010 saremo quasi a crescita zero), non ci saranno più le imprese per soddisfare la nuova domanda di consumi. Soltanto in Veneto, da gennaio, hanno chiuso oltre 2.600 imprese artigiane. Un’azienda su tre, tra quelle contattate dalla Banca d’Italia per un sondaggio, presenterà bilanci 2009 in perdita. Le conseguenze si vedono sul lavoro: il tasso di disoccupazione è passato – secondo il Fondo monetario – dal 6,1 per cento al 9,1 previsto per quest’anno, nel 2010 arriverà al 10,5 per cento, peggio anche degli Stati Uniti. In un documento dell’Ocse che alla sua pubblicazione non è stato commentato dal governo, si legge che “l’impatto della crisi sul mercato del lavoro italiano è stato più moderato rispetto a numerosi altri paesi dell’area Ocse”. In effetti in Olanda la disoccupazione arriverà al 22 per cento. Con una postilla, però: “La percentuale di popolazione attiva in Italia era già la terza più bassa dell’Ocse dopo Ungheria e Turchia ed è scesa ancora dello 0,9 per cento arrivando al 57,4”. Tradotto: i disoccupati sono meno del previsto perché in molti rinunciano a cercare un lavoro e si fanno da parte scomparendo dalle statistiche. Un altro esempio che aiuta a capire cosa significa il restringimento della torta: meno imprese, meno lavoratori, meno output potenziale. E’ per questo che la soddisfazione per la propria condizione lavorativa rilevata dall’Istat tra gli italiani è in aumento: chi ha ancora un impiego è ben contento, perché sa che il lavoro sta diventando sempre più raro. EXIT STRATEGY. “L’autocompiacimento è nemico della ripresa”, ha avvertito ieri il premier inglese Gordon Brown, al G20 finanziario dove i ministri economici hanno discusso se è il momento di rimuovere le misure straordinarie di sostegno all’economia e alla finanza. Le Borse, infatti, attraversano una fase di boom che le sta riportando a livelli vicini a quelli di prima della crisi. L’indice Ftse Mib, il principale della Borsa di Milano, è ormai non lontano dai livelli precedenti al fallimento di Lehman Brothers, avvenuto il 15 settembre 2008. Entro gennaio, hanno concordato i paesi del G20, dovrà essere pronta una tabella di marcia di rientro alla normalità (rimuovendo soprattutto le agevolazioni alla finanza) di cui potrebbe far parte l’introduzione di una tassazione delle transazioni finanziarie. Tremonti, che pure l’aveva auspicata in passato, ieri ha liquidato la proposta di Brown: “É un’ipotesi che gira da almeno 20 anni, la speculazione va bloccata, non tassata”. Anche gli Stati Uniti hanno respinto le proposte: niente tasse e niente exit strategy, non è ancora tempo.

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