mercoledì 11 novembre 2009

SOLDI, SANGUE E RIFIUTI: ONOREVOLI CASALESI

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 11 novembre 2009

di Antonio Massari
(Giornalista)


“RAFFAELE BIDOGNETTI riferì che gli onorevoli Italo Bocchino, Nicola Cosentino, Gennaro Coronella e Mario Landolfi facevano parte del nostro tessuto camorristico”: era l’estate del 2008 quando Gaetano Vassallo, uomo legato al clan Bidognetti, iniziava le sue rivelazioni tirando in ballo l’ex numero uno di An in Campania, il sottosegretario all’Economia - che al momento è l’unico indagato - , il senatore Pdl di Casal di Principe e il coordinatore vicario in Campania per il partito del premier. Tutti respingono le accuse. Ma da allora, i “pentiti” che parlano di camorra e politica, sono diventati sei. Parole inquietanti. Cosentino - che è anche coordinatore regionale del Pdl in Campania - è un referente del clan dei Casalesi, un concorrente esterno: questo sostiene l’antimafia di Napoli. E quindi: la piovra di “Gomorra” è cresciuta. I suoi tentacoli hanno afferrato le poltrone di governo. E il triangolo della camorra – Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Casapesenna – s’è trasformato in una capitale della politica. Il tutto ruota intorno a soldi, sangue, immondizia. E a un immenso potere. In questa storia, se fosse dimostrata, dovremmo focalizzare delle scene. Gli uomini che ci governano frequentano gli ambienti di cruenti criminali: i Casalesi. Gente con le mani sporche di sangue. Alcuni li ricevono in casa. Con altri spartiscono tangenti. Gestiscono insieme l’affare dei rifiuti. Cercano e ottengono i loro voti. Per ora è soltanto un’ipotesi d’accusa, ma è da tempo, ormai, che la procura di Napoli lavora su questo scenario. Cercava riscontri alle dichiarazioni dei pentiti che da almeno un anno, alcuni addirittura da dieci, stanno svelando il secondo livello, quello politico, del clan dei Casalesi. A quanto pare, quei riscontri, li avrebbe trovati. Se i pentiti parlano, però, e se dicono il vero, allora diventa inquietante un altro “dettaglio”: il silenzio dell’opposizione in questi anni. Altro “dettaglio” interessante: pure l’ex presidente della provincia di Caserta, il rutelliano Sandro De Franciscis, è stato travolto dagli scandali legati alla camorra. Nelle intercettazioni del suo braccio destro, Anthony Acconcia, la polizia giudiziaria ha sentito frasi sospette, legate alla presenza dei clan. Non solo. Sono risultati poco chiari gli affari di alcune ditte, legate al boss Peppe Setola, l’ala stragista del clan. De Franciscis non è mai risultato indagato, ma il punto non è giudiziario, bensì politico: l’opposizione sapeva oppure no, della crescita esponenziale dei Casalesi, e dei loro affari “pubblici”? E se lo sapeva, perché non ne ha parlato? Al momento, De Franciscis, ha lasciato la politica. Ora ricopre un incarico prestigioso: presiede il “bureau medical” di Lourdes, che si occupa di valutare, in maniera scientifica, le miracolose guarigioni. Ma di miracoloso, a questo punto, nel triangolo della camorra, non resterebbe che un dato: il pentimento di alcuni Casalesi. Che stanno facendo luce sui colletti bianchi.

VASSALLO: L’AFFARE

È ORA DI QUELLI

DI SANDOKAN

La versione di Vassallo, quella dell’estate 2008, è interessanteperchéspiegal’assettopolitico-mafioso:il“livellopolitico”,rappresentatodaCosentino, si sarebbe adeguato alla geografia criminale. Siamo nel settore dei rifiuti. A detta di Vassallo, la società “Eco4”, era controllata da Cosentino e anche “l’onorevole Landolfi aveva svariati interessi in quella società”. Vassallo parla di tangenti da 50 mila euro, consegnate a Cosentino, nella sua casa di Casal di Principe, dall’imprenditore Sergio Orsi. Dice diavervistolascenaconisuoiocchi.Parliamodello stesso Orsi che fu poi ammazzato dal clan Bidognetti.Masoprattutto,Vassallo,raccontachegliaccordi politici, presi con il clan Bidognetti, vengono meno: mutano in ossequio alle strategie dei clan, ai rapporti di potere mafiosi, che vedono salire le quotazioni degli Schiavone e precipitare, invece, proprio quelle dei Bidognetti.

“Avevo sostenuto Cosentino anche nelle elezioni del 2001 (…)”, dichiara Vassallo nell’agosto 2008. “Subito dopo le elezioni, telefonai personalmente all’onorevole Cosentino (…) e gli dissi “Onorevole, vi devo chiedere una cortesia”. Mi fissò un appuntamento presso la sua abitazione in Casal di Principe (…). In quell’occasione chiesi all’onorevole Cosentino d’essere inserito nella compagine delConsorziopubblicoCE/4,cheasuavoltafaceva parte della società mista Eco/4 (…). “L’onorevole – continua Vassallo – mi disse che, a causa dei miei precedenti penali e poiché erano ‘cambiate alcune situazioni’, non poteva aiutarmi. Mi specificò di essere dispiaciuto di dirmi di no, perché io ero un suo ‘buon elettore’. (…). Insistetti nella mia richiesta, perché tenevo molto a non rimanere fuori dalla gestione dei rifiuti, anche perché una mia esclusione significava perdita di prestigio, sia a livello imprenditoriale, sia a livello di ‘sistema’. Per ’sistema’ intendogruppocriminale-camorristico.L’onorevole Cosentino mi spiegò, vista la mia palese delusione, quali erano le vere ragioni del suo diniego, e quindi della mia esclusione dal Consorzio”.

La spiegazione fornita da Cosentino, secondo Vassallo, è la seguente: “Mi spiegò (…) che ormai, gli interessi economici del clan dei Casalesi, si erano focalizzati, per quanto riguarda il tipo di attività in questione, nell’area geografica controllata dagli Schiavone(…)eche,pertanto,ilgruppoBidognetti era stato ‘fatto fuori’, perché non aveva alcun potere su Santa Maria La Fossa; ne derivava la mia estromissione. (…) L’affare Consorzio CE4/ECO4, natoperfavorireilclanBidognetti,eradiventatoun ‘affare’ del gruppo Schiavone”.

Ma come stanno andando, in questo momento, gli affari dei Casalesi?

Nonostante l’intervento dello Stato, le perdite, per le famiglie Iovine e Zagaria, sono state meno ingenti.MicheleZagariaeAntonioIovine,ledueprimule rosse, sono ancora potenti. Gran parte dei guadagni, ormai, sono stati investiti nell’economia “legale” di altre regioni: Emilia, Toscana, Lombardia, Lazio, persino Sardegna. L’impero dei Casalesi, ora, è soprattutto loro. Per gli Schiavone, invece, gli affari non vanno più bene come prima.

NICOLA PANARO,

PROFESSIONE

CONTABILE

Ottobre 2008: un centinaio di arresti, effettuati tra carabinieri e polizia, tra i quali molti capi zona, furono un brutto colpo per il clan. Che però resta in piedi, ancora ben saldo, sotto la guida di un reggente: Nicola Panaro, tra i primi 30 latitanti italiani, ritenuto dagli investigatori, ormai, un boss equiparabile ai capi dei capi, Antonio Iovine e Michele Zagaria. Panaro è diventato sempre più potente grazie alla gestione economica del clan: secondo gli investigatori è lui il contabile degli Schiavone, un clan che ogni mese “deve” sborsare 900 mila euro di stipendi, che oscillano, nella gran parte dei casi, tra i 1000 e i 4000 euro. Le attività sono sempre le stesse: estorsioni, innanzitutto, poi affari nel “movimento terra”, nell’edilizia, nello smaltimento dei rifiuti. Affari chiusi anche nel resto d’Italia. Polizia e carabinieri continuano la loro opera di contrasto. E a volte sembra d’assistere al gioco del gatto con il topo. Il 3 novembre, su mandato del questore di Caserta,GuidoLongo,vengonochiusiduebaraCasal di Principe: erano frequentati da pregiudicati. Poche settimane prima, il 13 ottobre, ne erano stati chiusi altri due. Sono piccoli, importanti segnali della guerra quotidiana dello Stato a “Gomorra”, dove la zona grigia, il confine tra legalità e illegalità, è però ancora troppo labile. Da una recente inchiesta, condotta dalla procura di Napoli, e dai carabinieri di Caserta, tornano a galla storie che risalgono al 2006. Un carabiniere ferma per strada Oreste Iovine,nipotedelbosslatitanteAntonioIovine,detto “o ninno”, per avvertirlo di non frequentare una sala giochi dove era previsto l’intervento dei militari. Il carabiniere gli chiede d’avvertire il figlio del boss: “Perché dovrei fare uno sgarro alle famiglie tue?”, avrebbe detto al nipote di ‘o ninno. I carabinieri di Caserta, guidati dal comandante CostantinoAiroldi,ilmilitarechecatturòSetola,scoprono persinoche‘oninno,inqualchemodo,èentratoin contatto anche con un uomo legato ai servizi segreti, che opera su Roma.

GIUSEPPE SETOLA

E GLI ALTRI

IMPUTATI

Il 3 novembre, l’aula bunker di Santa Maria Capua a Vetere, si riempie d’un rumore freddo – porte d’acciaio e chiavistelli – che anticipa l’arrivo dei Casa-lesi di “Gomorra”. Qui diventa chiaro: l’impero criminaleraccontatodaRobertoSavianoèincostante trasformazione. L’esercito dei camorristi ha già patito la sua “Norimberga” con il processo Spartacus, a partire dal 2005, e gli equilibri mutano. La disfatta si vede sul piano militare: quest’aula bunker, nella prima udienza d’un processo stralcio, lo dimostra: 38 imputati di estorsioni, tentati omicidi, evasioni, rapine, riciclaggio. Ventidue sono detenuti: soltanto un anno fa sembravano bestie impazzite, dal 2 maggio al 5 ottobre 2008 il clan ammazzò 17 persone, sei immigrati africani furono uccisi in un colpo solo, nella strage di Castel Volturno. Oggi quel clan può contare, secondo gli investigatori, su una sessantina di soldati. Non di più. La mandria selvaggia, che al suo passaggio lasciava decine di morti, ora procede ordinata: nell’aula bunker. I loro passi si fermano nelle gabbie. Le mani stringono le sbarre.IlbossGiuseppeSetola, l’ex comandante, è il più silenzioso di tutti. Tredici capi d’imputazione in questo solo processo. La sua è una cella dentro la cella: un riquadro sfocato, nel dispositivo per l’audio conferenza, lo ritrae dal carcere di Opera, a Milano, e a malapena s’intravede il viso. Setola: la mente stragista. Ha appena compiuto 39 anni, molti li ha già trascorsi in carcere, altri li ha vissuti da latitante, il resto li passerà all’ergastolo. Resterà nella storia criminale per essersi beccato, da capo di camorra, anche l’accusa di terrorista, al prezzo d’una ventina di lapidi scolpite in pochi mesi. Una disfatta. Per il clan Bidognetti, i tempi d’oro di “Gomorra”, sembrano lontani. Decine di arresti. Molti pentiti. Sempre meno soldi. A quanto pare, già nell’estate 2008, il clan Bidognetti aveva seriproblemidiliquidità.Ancheperquesto,Setola, dopo la sua evasione, sparava e ammazzava: era il suo marketing. Un pentito di rilievo, Oreste Spagnuolo, racconta agli inquirenti il sistema di potere, gli stipendi, le esigenze di cassa:

“Il clan, prima dell’evasione di Setola, si trovava in un periodo stagnante (…). Evase quando ritenne che la gestione del clan non lo convinceva (…). La strategia di Setola fu evidente, decise di incutere terrore sul territorio e uccidere i familiari dei pentiti (…). Non v’era alcuna possibilità di discutere delle sue scelte (…). Il clan si strinse attorno al Setola, che scelse Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e me (…). Eravamo noi quattro a fare tutto, ma ovviamenteavevamounaretedipersonecheagivano per noi, una dozzina di persone; alcuni di questi erano affiliati – stipendiati per poco meno di 2000 euro al mese – e altri erano semplicemente “a disposizione” (…). La cassa era gestita direttamente da Setola, e ammontava a 90 mila euro al mese (…). Setola decise d’attuare questa strategia di terrore (…) il capo disse che era stata autorizzata dal capo detenuto, Francesco Bidognetti; pochi mesi fa, quando erano stati già consumati molti omicidi, il figlio di “Cicciotto”, Gianluca Bidognetti ci disse (…) che non aveva mai visto il padre così contento come lo era allora. Peppe Setola s’occupava personalmente di far recapitare una quota destinata alla famiglia Bidognetti – ossia al padre Cicciotto e ai figli Aniello e Raffaele, tutti detenuti (…). A “Cicciotto” venivano recapitati 5000 euro mensili, mentre ai figli Aniello e Raffaele venivano dati 3500 euro ciascuno (…)”.

Un’inchiestacondottadallaGuardiadifinanzaedal pm, Roberto Lenta, della procura di Nocera Inferiore, però, sta svelando l’esistenza di una sorta di “banca nera” dei Casalesi, che porta proprio a un fedelissimo di Setola, l’“insospettabile” Gabriele Brusciano. Secondo gli investigatori, Brusciano favorì la latitanza di Setola con soldi e automobili, e la “banca”, scoperta dall’inchiesta “Woody Cash”, disponeva di 85 milioni di euro, frutto di una maxi frode, realizzata, da una quindicina di società, nella provincia di Salerno. L’indagine ha inferto un altro colpo alle casse e alla forza del clan. Sono stati scoperti altri appalti, vinti da ditte legate a Setola, nel salernitano. Ora che il boss è in isolamento, e i suoi sergenti sono dietro le sbarre, la situazione è peggiorata. Il vecchio esercito, ormai, s’è trasformato in una truppa di carcerati. E sin da maggio s’è sfiorato il rischio di una guerra. Un rischio scoperto, dalla polizia, intercettando alcuni affiliati.

“SE SUCCEDE

UNA GUERRA,

CHI CI STA?”

Le indagini della squadra mobile di Caserta, coordinate dal vicequestore Rodolfo Ruperti, pochi mesi fa hanno svelato uno scenario molto pericoloso. Gli inquirenti, nel maggio di quest’anno, scrivono di “un concreto rischio, derivante dalla debolezzadelclanBidognetti,edall’eventualitàchesi giunga a una guerra aperta con il gruppo Schiavo-ne”.

L’8maggioaccadeunfattostrano:qualcunouccide tre uomini del clan Schiavone. Avevano tentato un’estorsione al caseificio Dea. Il caseificio, però, secondo gli investigatori, è “protetto” proprio da Nicola Schiavone, il figlio di “Sandokan”. Qualcosa non torna. Il punto è che Carlo Corvino, l’uomo che ha deciso l’estorsione, non è un referente di Schiavone, ma del clan Bidognetti. Siamo al corto circuito.Itreestorsorimuoionoammazzati  .Secondo l’accusa, gli assassini sono affiliati del clan Schiavone. Ed è lo stesso Corvino, intercettato dalla polizia, a paventare l’idea di una guerra. Parlando con gli amici domanda “chi siano, e quanti siano, gli adepti del gruppo Bidognetti ancora in grado di impugnare le armi e affrontare uno scontro”. “Se succede una guerra, chi ci sta?”, chiede Corvino. “Antonio, a fianco a te chi ci sta? Ma come cristiano positivo che ha racimolato qualcosa per menare le botteachiteniamo?”.L’interavicenda,quindi,crea problemi al clan Schiavone: perde cinque uomini, treuccisieduearrestati,chesiaggiungonoallecentinaia arrestati nell’ottobre 2008. Il peggio, però, è che qualcuno inizia a collaborare con lo Stato.

BIDOGNETTI IN CRISI

PER ARRESTI, LOTTE

E MANCATI INTROITI

Secondo la Dda di Napoli, dalle conversazioni intercettate a maggio, emerge che il clan Bidognetti “versa in una profonda crisi per svariate ragioni”. Eccole.

Primo: le imprese criminali di Setola hanno attirato le attenzioni delle forze dell’ordine. Lo “sfogo” di Antonio Caterino, uomo del clan Bidognetti, è chiaro: “Peppe (Setola, ndr) ha avuto la distruzione,ladistruzionedimassa(…)devoandareafareio laguerra?”,dice,intercettatodallaPolizia.“Etuche dici,vuoivenireinsiemeame?Andiamo…chidobbiamo uccidere, chi ci apre la porta? (...) ti devi far dare i soldi dalla gente… eh, ma solo io non posso combattere…cidobbiamochiudere…ecidobbiamo armare…”.

Secondo: il clan è decimato dagli arresti. È sempre più difficile reclutare nuove leve. Dice sempre Caterino: “Stanno i guaglioni, chi ci sta? …no, adesso mifacciotuttoquantoio…ecelapossomaifare?… Solo io a battermi, come Mussolini…”.

Terzo: le difficoltà nel raccogliere le estorsioni e “l’incapacità di versare gli stipendi a tutti gli affiliati”. Proprio questo, annotano gli inquirenti, è l’elementopiùesplosivo:gliaffiliati,“venutomeno il vincolo associativo, che li legava al clan di appartenenza, proprio a causa della mancata corresponsione degli stipendi, potrebbero dare vita a una forte conflittualità, se non addirittura una vera e propria guerra”.

Caterino,intercettato,confesseràaisuoiinterlocutori che, a fronte di una “previsione di cassa pari a 250 mila euro”, riescono a incassarne soltanto 50 mila. È questa la situazione in cui versa il clan Bidognetti, quando il giudice Lello Magi apre l’udienza.

BUSINESS MONNEZZA:

E LA POLITICA DICE

(O FINGE) DI NON SAPERE

Il soldato del clan deve essere innamorato della ragazzina dai capelli neri. L’accarezza con gli occhi. Lei avrà vent’anni. Non di più. Un sorriso bianco incantevole. Lui ricambia. Non soltanto è disarmato, ora, ma è persino disarmante, per la sua dolcezza. Tutti qui mostrano dolcezza. E non te l’aspetti. Per tutti c’è una moglie, una mamma, un padre, un fratello, una sorella. In gabbia pure loro: l’area destinata ai parenti è transennata dalle sbarre. Va in scena una drammatica finzione. I soldati sorridono, per tranquillizzare i parenti. I parenti sorridono, per tranquillizzare i soldati. Tutti fingono un sorriso. E la finzione deve essere un atto d’amore, più che una sfida allo Stato, o forse entrambe le cose, ma a intensità alternata. Il contrappasso di questi sorrisi è comunque atroce: qualcuno dovrà pagare. In soldi. Servono gli stipendi, per i soldati in cella, per i parenti a casa. E questa è un’economia sanguinaria. Fino a pochi anni fa, il clan era potente e godeva d’importanti appoggi politici, di livello nazionale, almeno a sentire i collaboratori di giustizia. L’affare dei rifiuti ingrassava i capi e sosteneva i soldati, allora, sotto gli occhi di tutti. La gente, i cronisti, i magistrati, i pentiti: tutti hanno visto il legame tra sangue e “monnezza”. Tutti, tranne la politica. Eppure, a detta dei pentiti, la politica non soltanto sapeva, ma le stringeva, quelle mani sporche di sangue e monnezza. Le stringeva, per mettersi in tasca soldi e potere.

Nessun commento:

Posta un commento