martedì 27 ottobre 2009

Carriere separate, teoria e pratica

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 27 ottobre 2009

di Bruno Tinti
(Ex Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino)



Hanno ricominciato con la separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice. Non spiegano nemmeno più perché sarebbe giusta, dicono semplicemente che adesso è arrivato il momento. Che coincide con la condanna di Fininvest a pagare 750 milioni di euro, con l’incostituzionalità del Lodo Alfano, con la ripresa dei processi a carico di Berlusconi, con il fatto che molti cittadini hanno capito che le sue assoluzioni perché i reati erano prescritti significano che, in realtà, li aveva commessi. Ma, naturalmente, è un puro caso… Faccio finta che la separazione delle carriere sia un progetto di persone in buona fede, che sanno ciò di cui parlano; e provo a spiegare perché si tratta di una riforma sbagliata e pericolosa. La separazione delle carriere sarebbe necessaria per due ragioni: pm e giudici fanno un lavoro diverso, dunque non c’è ragione che appartengano alla stessa carriera; e, siccome il giudice deve essere imparziale, una delle parti del processo non può essere un suo collega, magari un suo amico. So già che mi occorrerà un mucchio di spazio; e quindi qui tratto del primo problema. Poi ci saranno altri articoli. Dunque pm e giudici fanno un lavoro diverso. Non è vero, è smentito dai fatti e, se davvero fosse così, nell’interesse dei cittadini bisognerebbe evitarlo. Cosa fa un pm? Riceve le denuncie; delega alla polizia, quando lo ritiene necessario, di raccogliere le prove; qualche volta le raccoglie lui stesso; esamina le prove raccolte dalla difesa. Quando ha finito, nel senso che gli sembra di aver fatto tutto il possibile per accertare quello che è successo, compie una valutazione: queste prove mi convincono che l’imputato è innocente; oppure, mi convincono che è colpevole. Nel primo caso decide di chiedere al giudice di assolverlo. Nel secondo caso decide di rinviarlo a giudizio.

Cosa fa il giudice se il pm gli porta l’imputato perché sia processato? Esamina le prove raccolte dal pm e dalla difesa. Se non gli bastano e pensa che sia necessario acquisirne altre, lo fa personalmente (art. 507 cpp). Dopodiché si trova esattamente nella stessa situazione in cui si è trovato il pm alla fine delle indagini: deve compiere una valutazione; queste prove mi convincono che l’imputato è innocente; oppure mi convincono che è colpevole. Ed emette la sentenza.

Quale sarebbe dunque la differenza professionale tra pm e giudice? E’ naturale che il pm che si è convinto, alla fine delle indagini, che l’imputato è colpevole, sosterrà questa tesi nel processo, sempre che non arrivino nuove prove che lo convincano che invece è innocente, nel qual caso chiederà l’assoluzione. Così come è naturale che il giudice che si è convinto, alla fine del processo, che l’imputato è colpevole, emetterà una sentenza di condanna, sempreché non si convinca che invece è innocente, nel qual caso emetterà una sentenza di assoluzione. Non si tratta proprio dello stesso lavoro? Cerco di spiegarmi meglio con un esempio. La Polizia arresta un uomo e lo denuncia alla Procura: ha rubato, si è introdotto di notte in un alloggio e si è portato via soldi e gioielli. il pm sente i poliziotti che lo hanno arrestato. “Come è avvenuto l’arresto?”. “Il 113 ci allerta via radio, furto in alloggio. Corriamo. Le 3 di notte. Fermiamo un tizio che si sta allontanando. Gli chiediamo cosa fa da quelle parti ma non ci risponde. Intanto scende il derubato che lo vede e dice subito: è lui, è lui. Cerchiamo la refurtiva ma non aveva nulla, si vede che l’aveva passata a qualche complice”. Sembra fatta. Però … Si sente il derubato. “Come è andata?” “Stavo dormendo ma ho sentito un rumore. Mi sono svegliato e ho visto un uomo in camera da letto. Ho urlato. Lui è scappato ed è saltato in strada dalla finestra (abito al primo piano). Poi la polizia lo ha fermato. Ha rubato 1000 euro e la collana di mia moglie”. “Ma lei lo ha riconosciuto?” “Si, si, era proprio lui, quello che hanno fermato”. “Ma lei lo ha visto in faccia?” “Beh no, perché era buio, ma aveva un paio di pantaloni scuri e una giacca scura; e poi era alto proprio come quello che hanno fermato e grosso uguale”. “Ma quanto tempo è passato tra il momento in cui lei ha visto il ladro e l’arrivo della polizia?” “Pochissimo, 5, 10 minuti”. Uhm. Si sente il presunto ladro. Un precedente per furto. “Sono innocente”. E ti pareva. “Che ci faceva lì dove è stato arrestato?” “Non lo posso dire”. “Guardi che è messo male, c’è stato un furto, è stato riconosciuto (beh, insomma), ha precedenti (uno …), questa volta finisce in galera per un pò”. “Si ma, guardi, proprio non posso…” Tira e molla, poi spiega. “Io ho una relazione con una signora che abita al pianoterra di quella palazzina; è sposata e, quando il marito non c’è… Quella sera ero da lei solo che il marito, che doveva tornare il giorno dopo, invece verso le 3 è arrivato a casa; ho fatto a tempo a uscire dalla finestra … Adesso però se questa cosa si viene sapere succede un casino”. “Faremo più discretamente che si può”. Si sente la signora. “Ma che dice, io donna onesta sono etc. etc.” Tira e molla “Beh si è vero, ci frequentiamo da un pò, quella sera mio marito è tornato prima etc”. Naturalmente bisogna controllare: la donna potrebbe mentire per dare un alibi all’imputato. Si sente il marito.

“Scusi il disturbo ma stiamo facendo un’indagine per un furto avvenuto nel palazzo dove abita lei (si cerca di non fare casino). Per caso quella sera ha sentito rumori, ha visto qualcuno che scappava?”

“No, sa io quella notte non c’ero, ero fuori per lavoro, sono tornato tardi, saranno state le 3. Poi, dopo un po’ è arrivata la polizia".

"Ah".

Fine della storia. Il pm chiede al giudice non doversi procedere perché l’imputato è innocente. Il giudice emette la sua sentenza.

Adesso immaginiamo che questa indagine la faccia un pm diverso, uno pigro, poco scrupoloso. Arresto in quasi flagranza, riconoscimento, che vuoi di più? Rinvio a giudizio, richiesta al giudice: 3 anni di galera, è anche recidivo.

Ma il giudice invece è una persona preparata e scrupolosa e fa lui (art. 507) tutta quell’indagine che ho raccontato e che avrebbe dovuto fare il pm; e, naturalmente, alla fine assolve l’imputato. Ora, che differenza c’è tra il lavoro fatto dal pm numero 1 (quello che fa il suo mestiere come deve essere fatto) e quello fatto dal giudice che deve supplire allo scempio fatto dal pm numero 2? Ovviamente non c’è nessuna differenza, è proprio lo stesso lavoro, lo stesso metodo, la stessa preparazione professionale, lo stesso atteggiamento di imparzialità, di ricerca della verità.

Vedete come l’argomentazione di quelli (in buona fede) che vogliono la separazione delle carriere perché si tratta di due lavori diversi, uno sostiene l’accusa e l’altro giudica, è sbagliata?

Allora la domanda è: ma perché invece Berlusconi e i suoi esecutori le vogliono separare?

1-continua

Nessun commento:

Posta un commento