giovedì 22 ottobre 2009

La scienza inesatta.

Dal Blog Uguale per Tutti
del 21 ottobre 2009


Il 19 ottobre scorso Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani sono stati condannati alla perdita dell'anzianità ed al trasferimento d'ufficio dalla Sezione Disciplinare del CSM che, nel gennaio di quest'anno, aveva loro applicato la misura cautelare con procedimento sommario.
La Sezione Disciplinare che ha emesso la sentenza era composta esattamente dagli stessi consiglieri che già si erano pronunciati sulla vicenda adottando la misura cautelare.
Si è ritenuto, cioè, che la pregressa valutazione effettuata in sede sommaria e cautelare non determinasse alcuna incompatibilità rispetto al successivo giudizio a cognizione piena.
Questo sebbene il giudizio disciplinare sia modellato sul codice di rito penale e nonostante l'art. 111 Cost. richieda che ogni processo sia deciso da un giudice ”terzo” rispetto alla regiudicanda.
Per rendere l'idea, è come se il GIP che ha mandato in carcere gli indagati sulla base di indizi fosse poi chiamato a giudicare quegli stessi imputati e, indirettamente, a valutare il proprio precedente operato; infatti l'assoluzione implicherebbe, in assenza di elementi nuovi, un errore del provvedimento cautelare.


Si tratta, come ognuno può vedere, di una opzione interpretativa preoccupante ed in conflitto con i più elementari principi di garanzia operanti in qualsiasi processo.
Tanto fondate sono le perplessità (per non dire lo sgomento) originate da tale inusitato abbandono delle garanzie fondamentali, che la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione - alle quali l'Ordinamento demanda il compito di comporre i contrasti di giurisprudenza - mostra non equivoche manifestazioni di disorientamento.
Senza aggiungere alcun ulteriore commento, riportiamo gli stralci tratti da due pronunce del massimo organo della giurisdizione ordinaria emesse a distanza di poche settimane l'una dall'altra. Si tratta di motivazioni nelle quali la soluzione adottata segue percorsi argomentativi tra loro inconciliabili: o è vero l'uno o è vero l'altro. Per neutralizzare la fondamentale garanzia del giusto processo, la prima afferma che si devono applicare le norme del codice di procedura civile; la seconda quelle del codice di procedura penale, ma non fino in fondo.
L'incertezza delle argomentazioni denota, il più delle volte, un ragionamento logicamente fragile.

Cass. Civ., SS.UU., 8 luglio 2009, 15976
Vanno interpretati restrittivamente infatti i richiami al codice di procedura penale contenuti sia nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 16, comma 2 (per l’attività di indagine) sia nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, comma 4 (per la discussione dibattimentale) perchè, se il legislatore avesse inteso estendere la disciplina processuale penale all’intero procedimento disciplinare, non avrebbe limitato il richiamo a specifiche attività, come le indagini e la discussione dibattimentale. Ne consegue che deve escludersi l’estensibilità di tali richiami anche al libro primo del codice di procedura penale, cui appartengono l’art. 36 e segg., che disciplinano l’incompatibilità del giudice, l’astensione, la ricusazione e il regime d’impugnazione dei relativi provvedimenti. E per tutte le attività che non risultino disciplinate espressamente o per specifico rinvio al codice di procedura penale, deve ritenersi applicabile la disciplina dettata dal codice di procedura civile”.


Cass. Civ., SS.UU., 19 agosto 2009, n. 18374.
La L. 24 marzo 1958, n. 195, art. 6, espressamente prevede che i componenti della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura siano soggetti a ricusazione, ma non ne indica i possibili motivi, i quali vanno pertanto ricercati, in forza del menzionato D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 16 e 18, nelle disposizioni del codice di procedura penale, tuttavia sempre in quanto compatibili. Questo limite non consente di estendere ai procedimenti disciplinari nei confronti di magistrati, tra le ipotesi di incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento elencate dall'art. 34 c.p.p., quella derivante dall'adozione, come nella specie è avvenuto, di un provvedimento applicativo di una misura cautelare, nel corso delle indagini.”.

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