sabato 17 ottobre 2009

MANGANO E MANGANELLO

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 18 ottobre 2009

di Marco Travaglio
(Giornalista)


“Ma quanto rumore e quanta indignazione per così poco”, scrive sul fu Giornale Mario Cervi, che si proclama erede universale di Montanelli, forse immemore di quel che scriveva già nel ’94 il grande Indro sulla Voce a cui collaborava anche lui: “Oggi, per instaurare un regime, non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul palazzo d’Inverno. Basta la sovrana e irresistibile televisione”. Da due giorni, grazie al servilismo di Claudio Brachino e dei suoi telekiller, abbiamo un’altra prova su strada del regime dei telemanganelli: il pedinamento del giudice dai calzini turchesi. Nulla di nuovo sotto il sole. Raimondo Mesiano è stato, finora, persino fortunato. In questi 15 anni c’è chi, essendosi messo di traverso sulla strada del Cavalier Padrone facendo soltanto il proprio dovere, se l’è vista anche peggio. Nel 1993 un giovane di Ravenna, Gianfranco Mascia, lancia i comitati BoBi (Boicotta Biscione). Il primo avvertimento anonimo gli arriva sul telefonino: “Smettila di rompere i coglioni. Sei una testa di cane. Bastardo. Vi spacchiamo il culo. Gruppo Silvio Forever”. Il 24 febbraio 1994, a un mese dalle elezioni, Mascia viene aggredito da due uomini a volto scoperto che lo immobilizzano con il filo di ferro, gli otturano la bocca con un tampone e lo violentano con una scopa. Il portavoce bolognese del Bo.Bi, Filippo Boriani, consigliere comunale dei Verdi, riceve per posta una busta con una lingua di vitello mozzata e un biglietto: “La prossima sarà la tua”. Edoardo Pizzotti, direttore Affari legali di Publitalia, viene licenziato su due piedi nell’autunno ‘94, dopo il rifiuto di coprire le attività illegali per inquinare le prove delle false fatture di Dell’Utri & C. Subito riceve telefonate minatorie e mute a casa sua, che - tabulati alla mano - provengono da Publitalia. L’anno seguente viene chiamato a testimoniare contro Dell’Utri al processo di Torino: subito dopo due figuri dal forte accento campano lo avvicinano nel centro di Milano e lo salutano così: “Guarda che ti facciamo scoppiare la testa”. Nel luglio 1995 Stefania Ariosto inizia a raccontare a Ilda Boccassini quel che sa sui giudici comprati da Previti con soldi di Berlusconi. La notizia rimane segreta per sette mesi, ma non per tutti. Alla vigilia di Natale un pony express recapita all’Ariosto un pacco dono:una scatola in cui galleggia nel sangue un coniglio scuoiato e sgozzato, con un biglietto d’auguri: “Buon Natale”. Sei mesi dopo, a Camaiore, un incendio doloso polverizza la villa di Chiara Beria di Argentine, vicedirettrice dell’Espresso, che all’Ariosto e alla Boccassini ha dedicato numerosi servizi. Il leghista Borghezio parla di “attentato di stampo mafioso” e invita il governo a verificare se esso “sia da ricollegarsi con la recente inchiesta sui loschi affari legati a un pool di magistrati e avvocati romani in concorso con noti esponenti politici e imprenditoriali”. La Lega conosce bene quei metodi: per cinque anni, dal ’94 al ’99, Bossi & C. vengono linciati a reti unificate dopo avere rovesciato il primo governo Berlusconi. Poi tocca ai pool di Milano e di Palermo. E ai giornalisti sgraditi: Montanelli, Biagi, Santoro e, ultimamente, Mentana, Boffo e Mauro. Anche Fini e Veronica Lario assaggiano i manganelli catodici, mentre la testimone dello scandalo Puttanopoli, Patrizia D’Addario, riceve strane visite in casa e alla sua ex amica Barbara Montereale esplode l’automobile. Tutte coincidenze, si capisce.

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