del 27 novembre 2009
di Marco Travaglio
(Giornalista)
Sarò antiquato, sarò diventato comunista senz’accorgermene. Ma non riesco proprio a capire perché mai delle aziende private dovrebbero lucrare su un bene pubblico come l’acqua. Eppure è quello che già succede in gran parte del mondo. E succederà presto in tutt’Italia dal 2011 se sarà definitivamente legge la cosiddetta “privatizzazione dell’acqua”. E’ ovvio che quello che viene privatizzato non è il liquido H2O, ma il servizio che lo porta nelle nostre case: la gestione della rete distributiva. Ora può essere, e in gran parte è, in mano pubblica, cioè dello Stato tramite gli enti locali e le loro aziende municipalizzate. Finchè sono pubbliche, non hanno come primo scopo il guadagno, ma il pareggio di bilancio e il funzionamento del servizio. Che dunque deve costare ai cittadini il minimo indispensabile per funzionare. La cosiddetta riforma prevede che la gestione dell’acqua potabile passi a società private (scelte in via ordinaria con gare d’appalto) o miste pubblico-private (anche senza gara): società comunque obbligate a fare utili, non esistendo imprenditori animati da spirito missionario.
Ora, è normale che un imprenditore voglia fare utili. Ma dipende su quale bene. Se uno guadagna usando gli acquedotti che abbiamo pagato con i nostri soldi, dovremmo ribellarci tutti quanti, di destra, di sinistra o agnostici che siamo. Come avremmo dovuto fare quando le autostrade, che tutti noi abbiamo finanziato con le nostre tasse, sono passate ai privati. Naturalmente i trombettieri della privatizzazione dell’acqua annunciano servizi migliori a costi più bassi grazie alla mitica “concorrenza”. Balle. Se l’azienda è pubblica e non deve accumulare utili, normalmente applica tariffe più basse. Se l’azienda è privata, oltre agli investimenti per la manutenzione della rete, deve pure guadagnarci, dunque le bollette saranno più salate: a meno che, per tenerle basse, non si risparmi sugli investimenti, fornendo un servizio peggiore agli utenti.
Secondo La Stampa, già oggi “il 41% degli italiani è servito da società private o miste e a livello nazionale, tra il 2002 e il 2008, i prezzi dell’acqua sono aumentati del 30%. Si prevede che saliranno del 26% entro il 2020”. Tant’è che, per calmierare il boom delle bollette, è già in cantiere una bella “Authority dell’acqua”: l’ennesimo carrozzone dei partiti sul tipo di quelli che dovrebbero vigilare contro le concentrazioni sul mercato delle imprese, sul pluralismo televisivo, sulla libertà d’informazione, sulla nostra privacy, con i risultati che vediamo. Il proliferare di società miste pubblico-private, poi, aumenterà anche nel settore idrico la commistione fra politica e affari che già oggi produce uno scandaloso tasso dicorruzione (valutato dalla Banca Mondiale in 40 miliardi di euro sottratti ogni anno dalle tasche dei cittadini). Quindi da un lato la cosiddetta privatizzazione dell’acqua non ci libererà dalla presenza inquinante della politica nell’economia, e dall’altro non garantirà affatto un migliore servizio ai consumatori.
Perché allora questa gran voglia di privatizzare l’”oro blu”? Perché ci sono enormi multinazionali ansiose di metter le mani su un business che oggi vale 2,5 miliardi di euro e presto potrebbe raddoppiare o triplicare. Multinazionali molto presenti nell’editoria sia come azioniste di giornali sia come inserzioniste pubblicitarie della stampa e delle tv. Dunque molto influenti su chi “fa opinione”. Fra i loro azionisti spiccano alcuni fra i più noti costruttori, che dell’acqua se ne infischiano, ma non vedono l’ora di accaparrarsi gli appalti per i lavori sulle reti idriche e sugli acquedotti. In pieno conflitto d’interessi, l’ennesimo. Se ne sentiva davvero il bisogno.
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