del 28 novembre 2009
di Sara Nicoli
(Giornalista)
Primo: blindare l’alleato Umberto Bossi con un “regalo” che solo lui, il Capo, poteva elargire: la Lombardia. Candidato governatore l’ex ministro Castelli. Secondo. Stringere a sè il partito nel segno di un rinnovato “centralismo democratico” spiegato anche ai peones da un dotto Gaetano Quagliarello. Terzo. Stabilendo una precisa “linea del Piave” per testarne definitivamente la fedeltà di Fini. “Cartina di tornasole” la cittadinanza agli immigrati, calendarizzata per volere dello stesso presidente della Camera, subito dopo la finanziaria; se non verrà ritirata la proposta a firma del fedelissimo finiano Fabio Granata, il “tradimento” di Fini potrà dirsi consumato. E, a quel punto, Berlusconi non avrà più dubbi a giocare la carta delle elezioni, nonostante i rimbrotti di Napolitano ma soprattutto in barba ai poco confortanti sondaggi Euromedia research, che parlano di un suo popolo meno sicuro di rinnovagli il plebiscito di voti. Questo, dunque, il piano di B. per uscire dalle secche e guadagnare la salvezza giudiziaria. Questione di equilibri. Quelli che ieri sono stati di nuovo all’insegna del Carroccio. La Lega infatti ha presentato in commissione un emendamento chiaramente razzista per mettere un tetto di sei mesi alla cassa integrazione dei lavoratori stranieri. Cosa che ha puntualmente fatto infuriare il presidente della Camera, nonchè due ministri: Carfagna e Sacconi.
NEL PDL DUNQUE la pressione è alle stelle, la lucidità latita, ma l’obiettivo non può essere fallito. Il Capo ha parlato chiaro ai suoi: “Le scelte e le scadenze che ci attendono – ecco le parole pronunciate davanti ai fedelissimi – non ci consentono in alcun modo di tollerare personalismi e fughe in avanti su temi sui quali il partito ha dato indicazioni diverse. Sulla riforma della giustizia e sul processo breve non possiamo non avere compattezza, in gioco c’è troppo”. Ovvero lui medesimo. E per sotterrare definitivamente le obiezioni di chi, anche dentro il Pdl, le leggi ad personam le digerisce male, ecco che ha chiesto a Quagliarello di inventarsi una base politica convincente anche per i palati più riottosi. Et voilà, ecco il “nuovo centralismo democratico”. Roba comunista, si direbbe a naso. E invece no, roba liberale. Furbescamente Quagliarello ha citato dottamente ai berluscones dal medesimo vicepresidente dei senatori Pdl, William Ewart Gladstone (politico inglese che ha lasciato il segno nel pensiero liberale anglosassone dell’800, ndr) e il cui motto è sempre stato “tra la propria coscienza e il proprio partito, un gentiluomo sceglie sempre il partito”. Così Fini è stato messo all’angolo. E quando il solito improvvido ha chiesto in cosa questo “nuovo” centralismo si differenziasse da quello del vecchio Pci, Quagliarello ha tagliato corto: “Qui si discute e poi si decide, nel Pci non si discuteva affatto”. È bastato questo a far tacere i petulanti in nome della rinnovata coesione intorno al Capo. Fini sa che lo stanno aspettando al varco.
“SE GUARDIAMO indietro la storia politica di Fini – è la tesi di un fedelissimo del Capo – non si può non notare l’elenco di sconfitte di cui si è reso protagonista dal’94 ad oggi; si schierò contro il maggioritario e oggi è il maggioritario che lo premia, nel ’95 disse no al governo Maccanico e noi perdemmo le elezioni, nel 2005 fu a causa sua se perdemmo le Regionali. È l’uomo degli opportunismi falliti che anche stavolta tornerà indietro. I sondaggi parlano chiaro, da solo ha al massimo il 2%”.
Dunque, i berluscones sono abbastanza certi che “il traditore” anche stavolta non consumerà lo strappo definitivo. Diceva, l’altra sera, proprio Quagliarello: “Non conviene a nessuno arrivare ad una rottura clamorosa, casomai proprio sul tema della cittadinanza; sarebbe come se la maggioranza approvasse una legge contro se stessa, sarebbe la morte del Pdl un minuto dopo, ma anche quella politica di Fini”. Ma nelle stanze del presidente della Camera tira tutt’altra aria rispetto alla possibile resa senza condizioni al diktat di B.
Ieri, intanto, mentre la Lega presentava in commissione un emendamento per mettere un tetto di sei mesi alla cassa integrazione dei lavoratori stranieri, che ha fatto infuriare Fini, al piano nobile di Montecitorio sono saliti i vertici dell’Anm. Hanno chiesto a Fini “la massima attenzione” all’elenco dei reati che verranno compresi nel processo breve ed hanno incassato un sì senza tentennamenti. Insomma, par di capire che la capitolazione dell’ex leader di An sull’altare delle necessità giudiziarie di B. e della sua fretta sia di là da venire. Il nuovo centralismo democratico, insomma, non lo convince. Il logoramento di B. molto di più.
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