del 27 novembre 2009
di Marco Travaglio
(Giornalista)
La notizia è uscita sull’Ansa alle 19.17 dell’altroieri: Gaspare Spatuzza racconta di aver visto Renato Schifani, all’inizio degli anni Novanta, incontrare in segreto Filippo Graviano. Schifani è presidente del Senato. Graviano è il boss che di lì a poco avrebbe insanguinato l’Italia con le stragi. Ieri la stampa si è scatenata. A parte Il Fatto e il Corriere, che la mettono dove deve stare e cioè in prima pagina, gli altri giornali la nascondono. Repubblica: mezzo sottotitolo a pag. 23. La Stampa: taglio basso a pag. 9. Libero: micropezzo a pag. 8. L’Unità: una breve a pag. 14. Il Giornale: una breve a pag. 6 dal titolo comico: “Spatuzza ‘Mai visto quel boss’ Schifani indignato denuncia” (cioè, par di capire: Spatuzza nega di aver mai visto quel boss di Schifani che, offeso dalla smentita, lo querela). Ma c’è un giornale che alla notizia non dedica nemmeno mezza riga: Il Riformista di Polito el Drito, che ci costa 2,5 milioni l’anno e vende circa 3 mila copie al giorno (costo netto per la collettività: 2,80 euro a copia). Il samizdat degli Angelucci pubblica in prima pagina un corsivo di Antonello Piroso che, inebriato dalle percentuali da albumina degli ascolti del suo show su La7 che lo porteranno presto a “Matrix”, ha deciso di passare definitivamente alla clandestinità scrivendo sul Riformista. Il Piroso è un giornalista decisamente controcorrente: è allergico alle notizie. Se gliene capita una per sbaglio, gli vengono le bolle e i puntini rossi su tutto il corpo. Per questo ha censurato il reportage sulla trattativa Stato-mafia e si è molto offeso perché abbiamo dato notizia della censura. Nel suo mondo alla rovescia, non si deve giustificare chi tace le notizie, ma chi le dà. Così ieri, anziché occuparsi di Schifani e Graviano, ha pensato bene di ripubblicare un vecchio e sfortunato articolo di Giuseppe D’Avanzo che, nel maggio 2008, se la prendeva col sottoscritto per aver raccontato da Fabio Fazio i vecchi rapporti societari nella Siculabroker fra Schifani e due bei tipetti poi finiti in galera per mafia: Mandalà e D’Agostino. Per carità, gl’infortuni capitano a tutti: in quel pezzo D’Avanzo scriveva che le liaisons dangereuses della seconda carica dello Stato erano roba vecchia e “non se n’è più parlato perché un lavoro di ricerca indipendente non ha offerto alcun ulteriore elemento di verità” (il Fatto e l’Ansa dimostrano che ulteriori elementi di verità su Schifani & his friends ce ne sono a iosa: basta cercarli). Anche Paolo Ruffini, direttore di Raitre e noto campione di libertà, già celebre per aver collaborato alla chiusura di “Raiot” di Sabina Guzzanti, corse in soccorso di Schifani accusandomi di avere “gratuitamente offeso la seconda carica dello Stato” e prosternandosi in pubbliche scuse, senza verificare se quel che avevo detto era vero. Avrebbe potuto riunire un consiglio di famiglia, essendo figlio dell’ex ministro dc Attilio Ruffini e della sorella dell’onorevole forzista Enrico La Loggia, pure lui socio della Siculabroker fondata dal padre Giuseppe. Invece, pirosianamente, se la prese con chi dava le notizie. Ora mezza sinistra ne piange la prematura dipartita da Raitre. Una prece. Ricapitolando: proprio mentre emergono clamorose novità sui rapporti fra Schifani e un altro mafioso, l’ennesimo, lo sventurato Riformista censura la notizia e, al posto, pubblica i deliri di Piroso e il vecchio pezzo di un altro giornale in cui si afferma che non ci sono né ci saranno mai più novità su Schifani e i mafiosi. Il tutto sotto il titolo: “Lezioni di giornalismo a chi?”. Già, a chi? A quelli che han sentito dire in America che il giornalismo è il cane da guardia del potere. Ma hanno equivocato il senso. Infatti sono tutti lì che ringhiano sull’uscio di Palazzo Chigi e Palazzo Madama per proteggere Berlusconi e Schifani dalle notizie. E dalla più terribile delle minacce: il loro passato.
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