del 26 gennaio 2010
di Marco Travaglio
(Giornalista)
C’è un che di pervicacemente odioso nel comportamento degli elettori pugliesi del Pd. Alle primarie di cinque anni fa D’Alema ordina di votare Boccia e loro votano Vendola al 51%. Ora D’Alema riordina di votare Boccia e loro rivotano Vendola, ma al 75%. Percentuale che a Gallipoli, casa D’Alema, sale all’80 e a Fasano, casa Latorre, all’85. Più passa il tempo e meno gli elettori capiscono le alte strategie dell’Attila del Tavoliere. Non che Boccia fosse proprio senza speranze: le ha perse quando D’Alema ha deciso di dargli una mano. In quel preciso istante persino Vendola, con tutte le cazzate che ha fatto in questi ultimi mesi, è parso uno statista. Quando poi Max ha dichiarato che “Vendola ha fallito come leader” e “io non ho mai perso un’elezione in vita mia”, è apparso chiaro che Nichi avrebbe stravinto. Quando infine Max ha assicurato a Boccia che, alla peggio, avrebbe “perso bene”, il giovanotto ormai terreo si è visto definitivamente perduto. Infatti, candidato di un partito al 30%, s’è fatto doppiare da quello di un partito al 2%. Un trionfo. Qualche schizzinoso osserva che non è stata una mossa geniale contrapporre a Vendola un candidato già sconfitto da Vendola e poi, per giunta, meravigliarsi se ha riperso con Vendola. Ma questa è gente che non capisce l’intelligenza di Max. Che ora, per così poco, non deve darsi per vinto, anzi, insistere nell’opera di rieducazione delle masse. Magari, fra cinque anni, quando si ripresenterà per la terza volta in Puglia con Boccia al fianco, prenderà solo i voti di un paio di anziane prozie, ma nel frattempo i voti complessivi del Pd saranno scesi a tre: vittoria assicurata col 66%. L’importante è continuare a seguire gli amorevoli consigli del Pompiere della Sera, che con i suoi Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Battista e Franco ha gioiosamente sospinto il Pd verso la proficua alleanza con l’Udc di Casini, Cesa e Cuffaro, infinitamente più graditi al popolo del centrosinistra che non, poniamo, un Vendola o un Di Pietro. Da anni questi giganti del pensiero si affannano a invitare il Pd al dialogo con Berlusconi e a metterlo in guardia dall’antiberlusconismo, come se il travaso di voti del Pd all’Idv fosse colpa di Di Pietro e non merito del Pd. Ora finalmente assaggiano il risultato dei loro amorevoli consigli: nel giro di un mese l’Attila di Gallipoli ha trasformato il centrosinistra in un campo di Agramante in una delle poche regioni in cui, nonostante lui, aveva ancora un senso e qualche voto. Ma niente paura: nemmeno le primarie in Puglia serviranno da lezione. E’ già pronto l’alibi: non potendo dare la colpa a Di Pietro (che si è detto pronto a sostenere tutti i candidati indicati dal Pd, purché gli vengano comunicati prima delle elezioni), il capro espiatorio è già stato individuato nel sindaco di Bari, Michele Emiliano, che per dar retta a Max è uscito pure lui con le ossa rotte dal Risiko dalemiano. Come se alle primarie non votasse la gente, ma le nomenklature. Michele Vietti dell’Udc ha le idee ancora più chiare: “Il Pd o abolisce le primarie, o si suicida” (l’Udc le ha abolite prima ancora di farle, anche perché verrebbero continuamente interrotte da retate delle forze dell’ordine). Ecco, è colpa delle primarie: finché si interpelleranno gli elettori, l’Udc non potrà mai allearsi col Pd. E manco col Pdl, visto che Casini, Cuffaro e Cesa sono molto popolari anche a destra. Massimo Franco, sul Pompiere, concorda: guai se il Pd arguisse dalle primarie che i suoi elettori non vogliono l’Udc, guai se tornasse all’“Unione prodiana già bocciata dagli elettori alle politiche del 2008” (in realtà nel 2008 non c’era nessuna Unione prodiana, ma il Pd di Veltroni che l’aveva appena fatta cadere). Ora, sempre col Pompiere nel taschino, Attila è atteso dalla mission più impossible della vita: dopo aver perso tutte le elezioni e averle fatte perdere anche a Boccia e al Pd, deve riuscire a perdere pure la Puglia contro un Carneade scelto da quel genio Raffaele Fitto. Ma, con un po’ d’impegno, ce la può fare.
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