del 22 gennaio 2010
di Davide Milosa
(Giornalista)
La Commissione parlamentare antimafia in trasferta a Milano. Non accadeva dal 1997. Da quando le grandi inchieste avevano messo la parola fine alla luccicante favola della capitale morale d’Italia. Allora e ancora prima per i politici locali la piovra era solo una bella fiction. Tredici anni dopo lo spartito resta clamorosamente identico. A interpretarlo, ieri, il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi. Eccolo: “A Milano vivono diverse famiglie mafiose, ma questo non necessariamente porta ad affermare che a Milano c’è la mafia”.
Insomma, quello del prefetto è stato un vero colpo alla logica dei fatti che, tanto per dirne una, collocano la Lombardia al quinto posto delle regioni italiane per beni sequestrati. Quinta dopo Calabria, Sicilia, Campania, Puglia. Ma evidentemente quei 663 beni confiscati alle cosche sono sfuggiti al prefetto. Come anche, probabilmente, i cinque omicidi di mafia registrati tra città e hinterland nell’ultimo anno e mezzo. Un dato epocale che riporta l’orologio indietro di almeno vent’anni. Eppure la parola d’ordine delle istituzioni locali sembra essere quella di negare l’evidenza. E così l’uscita del prefetto fa da controcanto alla bocciatura voluta dal sindaco Moratti e dalla sua maggioranza di una commissione antimafia in consiglio comunale.
“Si tratta di un incredibile passo indietro – ha commentato con forza Giuseppe Lumia, membro della Commissione e senatore del Pd – Le parole del prefetto sono molto gravi e la dicono lunga su quanto dobbiamo ancora fare per lotta alla mafia al nord”. E ancora, riprendendo la frase di Lombardi: “Si tratta di una contraddizione con tutti gli affari mafiosi presenti qui, dal traffico di droga alla collusione con le istituzioni fino agli appalti pubblici e al grande riciclaggio”. Alcuninumeri allora: attualmente al tribunale di Milano si stanno celebrando ben tre processi di mafia. Al centro le cosche Morabito e Barbaro-Papalia, oltre agli affari neri di un boss sanguinario come Giuseppe Onorato. E proprio ieri si è svolta un’udienza decisiva nel processo alle cosche di Buccinasco. Sul banco degli imputati Maurizio Luraghi, imprenditore accusato di aver mediato gli affari della ‘ndrangheta. Oltre sei ore di interrogatorio per capire che oggi, a Milano, il monopolio dell’edilizia è in mano alla mafia calabrese. Ma se i dibattimenti in aula sono tre, almeno dieci, invece , risultano le indagini in corso sulle infilitrazioni della ‘ndrangheta. In particolare se ne occupano quattro magistrati della procura di Milano, il famoso pool coordinato da Ilda Boccassini, di cui tutti sanno ma di cui si teme di parlare. Al centro il traffico di droga orchestrato dalle cosche di San Luca, il riciclaggio nelle discoteche della “movida” ad opera del clan di Franco Coco Trovato, l’inedita alleanza tra la mafia calabrese e uomini di Cosa nostra legati a Vittorio Mangano, e soprattutto gli appalti pubblici e privati attorno ai quali e in vista di Expo 2015 i clan di Reggio Calabria, proprio qui a Milano, hanno dato vita a un vero comitato affaristico-mafioso con totale autonomia d’azione. Una cosa mai vista che tiene insieme boss di lungo corso legati alla destra eversiva e alla massoneria deviata, imprenditori apparentemente intoccabili, politici di spessore nazionale.
Ma la mafia in questa città è anche il territorio. Del centro, ad esempio. Con bar e ristoranti dove boss del calibro di Guglielmo Fidanzati, figlio del latitante Gaetano Fidanzati arrestato il 5 dicembre scorso proprio a Milano, trattano affari. E delle periferie, da Quarto Oggiaro a viale Sarca. A testimoniarlo diverse inchieste. Alcune, come nel caso di viale Sarca, partite direttamente dalla procura di Reggio Calabria. Il territorio sono anche i paesi dell’hinterland e della provincia assegnati per competenza a decine di cosche: dai Mandalari di Bollate ai Moscato di Desio, dai Barbaro-Papalia di Buccinasco, ai Novella di Rho. E la cosa più grave è che tutto questo non è affatto una novità, ma ordinaria amministrazione. Sottovalutata dalla politica ma che fa dire agli investigatori che oggi Milano è “una provincia di Reggio Calabria”.
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