del 26 dicembre 2010
di Paola Zanca
(Giornalista)
Aspettano che la polvere si posi. Nessuno che abbia voglia di prendere scopa e paletta. Il giorno dopo la sconfitta del candidato Pd alle primarie pugliesi, lo stesso in cui il sindaco di Bologna è costretto a dimettersi dopo solo otto mesi, il Pd sembra tapparsi le orecchie. Pierluigi Bersani per più di un’ora ai dirigenti nazionali del partito parla di crisi economica, di consumi che calano, di prezzi che salgono: è il Paese reale, si dirà. E la sconfitta di Boccia? “Non è stata capita la nostra strategia per allargare la coalizione”. Ok Vendola, ma il progetto non cambia. L’affare Delbono? Questione privata. L’unica che prova a richiamare il codice etico e ammette che “dobbiamo imparare a scegliere i nostri candidati”, è Livia Turco. Per il resto, chi si aspettava spiegazioni, se n’è andato deluso. A Walter Verini – ex braccio destro di Veltroni – è sembrato “che si sia sorvolato un po’ troppo: bisognava affrontare con più forza la vicenda pugliese”. Anche Arturo Parisi non è soddisfatto: “Per la prima volta speravo di avere chiarimenti. Invece anche stavolta i dirigenti che con più determinazione hanno guidato la vicenda pugliese hanno ritenuto di non partecipare al dibattito”. Massimo D’Alema, il regista dell’operazione-Boccia, se n’è andato dopo il discorso di Bersani. Il suo fedelissimo, pugliese anche lui, Nicola Latorre, ha lasciato la sede di Sant’Andrea della Fratte dall’uscita sul retro. Filippo Penati, candidato alla presidenza della regione Lombardia, invece fila via all’ora di pranzo dall’ingresso principale. Ma chi lo aspetta fuori, pensa di aver sbagliato sede di partito. Non parla di Boccia, di Delbono, di D’Alema. Ripete come un mantra il nome di Pierferdinando Casini: “L’Udc corre da sola – annuncia – Cinque anni fa in Puglia era alleata con il centrodestra. Oggi siamo più forti”. L’allargamento della coalizione è l’ossessione dell’intera giornata. Ivan Scalfarotto – vice presidente in quota Marino – teme si tratti di “un esercizio fine a se stesso”, se prima non si capisce che ne pensa l’Udc di tante questioni, a cominciare dai diritti: “Non dimentico – dice – che l’Udc ha affossato la legge sull’omofobia”. L’attenzione verso il partito di Casini è tale che Marina Sereni, franceschiniana, avverte: “Occhio che a forza di allargare la coalizione, ci restringiamo noi”. La sensazione di molti – soprattutto vicini a Ignazio Marino – è che, “per star dietro alla Puglia”, ci si sia fatti sfuggire di mano situazioni che avrebbero potuto risolversi in maniera meno arzigogolata. Altri – bersaniani – invece danno la colpa agli alleati: “Se uno dice: ti appoggio ma non voglio le primarie che fai? – ragionano – Non fai la coalizione o non fai le primarie?”.
Già, le primarie. Un altro dei nodi che ieri non si è riusciti a sciogliere. Umbria e Calabria restano fronti aperti: entro oggi il Pd calabrese dovrebbe ratificare la sfida tra il presidente uscente Agazio Loiero e il re del tonno, Pippo Callipo. Di Umbria se ne parla mercoledì: il candidato a dire il vero è uno solo, Mauro Agostini. Ma il partito non lo vuole. “Se non vi sto bene io – ha ripetuto ieri per l’ennesima volta – fate un altro nome e andiamo ai gazebo, ma io ho diritto a competere”. Sul Lazio, invece, continua la querelle cattolici vs Emma Bonino, che ieri ha avuto un altro affondo, questa volta per mano di Pierluigi Castagnetti. Tutto da decidere – entro questa settimana, promettono – sul versante campano. Nessuno lo dice a bocca aperta, ma la sensazione è che la bagarre-regionali abbia messo più che in discussione la “gestione unitaria” del partito di Bersani. La tregua recitata ieri, sembra più che altro apparente. Rosi Bindi – dai più descritta come arrabbiatissima per lo scivolone su Vendola – ammette che non si è arrivati allo scontro solo perché “ha prevalso il senso di responsabilità di fronte all’appuntamento elettorale”. Sandra Zampa, già portavoce di Romano Prodi, ora deputata Pd, va un po’ più al sodo: “Dopo il congresso abbiamo spartito il potere in base alle quote delle mozioni, ma se funziona così non andiamo da nessuna parte”. Lei al congresso ha sostenuto Bersani, ma ammette che “l’operazione in Puglia è stata sbagliata. Mi conforta solo il fatto che i nostri elettori sono più intelligenti di noi”. Gli uomini di Franceschini non la pensano diversamente: “In questo partito non c’è lessico comune, non c’è un orizzonte di respiro – dice Luigi Zanda – ma nonostante questo in direzione non c’è stato un clima torrido, la solita cucina di chiacchiere”. Bersani – che oggi discuterà di regionali con Di Pietro – ha un’altra versione: “Noi lavoriamo en plein air, gli altri si chiudono ad Arcore. Quella che sembra debolezza si rivelerà la nostra forza. Quando sarà caduta tutta la polvere, ce la giocheremo”.
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