martedì 29 settembre 2009

FINI NON RIESCE A FARSI PROCESSARE

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 29 settembre 2009

di Marco Lillo
(Giornalsita)



C’è un fascicolo fantasma che si è perso tra il Palazzo di Giustizia di Roma e la Camera dei Deputati. Per fare meno di due chilometri non sono bastati 16 mesi. Il fascicolo scomparso riguarda Gianfranco Fini nelle vesti di imputato e Henry John Woodcock, nelle vesti non di accusa ma di parte offesa.

La Procura di Roma ha chiesto nel marzo del 2008 il rinvio a giudizio del presidente della Camera per diffamazione. Quando la notizia divenne pubblica Fini disse “non mi avvarrò della sospensione del procedimento prevista dal lodo Alfano”.

Belle parole. “Il fatto Quotidiano” è andato a verificare cosa è accaduto dopo, scoprendo che l’udienza preliminare è sospesa di fatto da allora. Quando c’è di mezzo il “porto delle nebbie”, come un tempo si chiamava il palazzo di giustizia romano, il lodo non serve.

La storia va raccontata dall’inizio. Nel giugno del 2006, Woodcock indaga la moglie del presidente, Daniela Di Sotto (poco dopo si separeranno), il suo segretario particolare, Francesco Proietti, e il suo portavoce, Salvatore Sottile. Le intercettazioni svelano gli affari di Daniela Di Sotto nella sanità. La moglie di Fini si vantava di essere riuscita a ottenere una redditizia convenzione per il centro analisi di famiglia dalla Regione Lazio, grazie a un’azione di lobby che lei definiva così: “mi sono andata a sbattere il culo con Storace”.

Gianfranco Fini schiuma di rabbia il 18 giugno 2006 alla trasmissione “Porta a Porta”: “Woodcock è un signore che in un paese serio avrebbe già cambiato mestiere e lo dico a ragion veduta ... è noto per una certa fantasia investigativa ed è un personaggio nei confronti del quale il Csm avrebbe già da tempo dovuto prendere provvedimenti”. Parole senza fondamento (Sottile sarà condannato per Peculato, la ex moglie è ancora indagata) ma Vespa lo lascia parlare e nessuna Autorità, nessun direttore generale lo richiama. Anche se il conduttore non era proprio un modello di terzietà in quella vicenda visto che nelle intercettazioni proprio Vespa prometteva a Sottile di cucire su misura di Fini una puntata.

A ritenere degne di condanna le parole di Fini non è l’Agcom ma il pm di Roma Erminio Amelio che ne ha chiesto il rinvio a giudizio nel marzo del 2008, due mesi dopo, il Gip ha ordinato la trasmissione delle carte al Parlamento nonostante Fini avesse provato a evitare il processo sostenendo a sproposito l’insindacabilità delle sue parole. Il giudice non ha avallato questa tesi e ha ordinato di spedire il fascicolo al Parlamento per chiedere l’autorizzazione a procedere. Qualcuno ha però provveduto a togliere dall’imbarazzo Fini: dopo sedici mesi, dice il presidente della giunta per le autorizzazioni Pierluigi Castagnetti, “il fascicolo non è mai arrivato”. In Procura non si sanno spiegare perché: “l’ufficio del Gip aveva detto che era partito”. Il risultato è che Fini continua a non risponde delle sue parole senza nemmeno scontare il danno di immagine dell’utilizzo dei suoi privilegi. Il suo avvocato Giulia Buongiorno giura: “il presidente mi ha detto che, appena arriverà il fascicolo lui chiederà ai parlamentari di votare a favore del suo processo, senza avvalersi dell’insindacabilità, quando il fascicolo arriverà”. Quando arriverà.

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