del 21 novembre 2009
di Marco Travaglio
(Giornalista)
Se Dio (anzi Silvio) vuole, riparte il “dialogo sulle riforme”. Il pizzino di Schifani ha sortito gli effetti sperati, Fini s’è messo paura e Bersani ancor di più: se si vota subito, sono spacciati entrambi. Bastava vedere il berlusconiano Quagliariello, la finiana Perina e la bersaniana Bindi l’altra sera ad Annozero: tre zuccherini. La finocchiariana Finocchiaro ha sentito profumo d’inciucio e, da esperta del ramo, ci si è fiondata: ha proposto un’“agenda delle priorità condivise” (il dizionario inciucesco non è mai stato così ricco di modulazioni). Indimenticabile la scena di due primavere fa, quando il noto senatore di Corleone fu candidato alla presidenza del Senato e il Pd, non trovando uno statista del suo calibro da contrapporgli, si astenne sul suo nome (mentre Di Pietro votava Borrelli) e lo applaudì appena eletto. La Finocchiaro, ritenendo riduttivo un banale applauso, lo baciò con trasporto. Poi un giornalista andò da Fazio e ricordò che Schifani era stato socio di due tipetti poi condannati per mafia. Prim’ancora che Berlusconi avesse il tempo di difendere Schifani, provvidero per lui la Finocchiaro, Violante e D’Avanzo (oltre al solito poveraccio con le mèches che, frequentando pregiudicati e latitanti, si scandalizza se un giornalista frequenta magistrati perbene). Ora, grazie a Marco Lillo, si scopre che il presidente del Senato con cui fissare l’agenda delle priorità condivise non solo assisteva come avvocato alcuni fra i più noti mafiosi di Sicilia (questo si sapeva, ma non è mica un problema, no?). Ma si adoperò pure per “sanare” un famigerato immobile di Palermo eretto abusivamente da un costruttore mafioso con metodi mafiosi per ospitare mafiosi e rampolli di mafiosi: la figlia di Bontate, i killer latitanti Bagarella e Brusca, il medico mafioso Aragona. Chissà le assemblee di condominio, che spettacolo. L’amministratore, Frank Tre Dita (impossibilitato per ovvi motivi a votare su delega per più di due assenti), dava il via alla discussione dando la parola al signor Ciccio. Il quale però veniva subito interrotto da Bagarella che, senza fiatare, poggiava delicatamente il kalashnikov sul tavolo. Al che il signor Ciccio preferiva fingersi afono, a beneficio del signor Leoluca. Questi proferiva la parola “minchia”. Poi si passava alle varie ed eventuali in un clima di perfetto dialogo, sia pure muto. Un giorno Brusca e Bagarella litigarono perché non era opportuno trascorrere entrambi la latitanza nello stesso palazzo: l’inconveniente fu risolto con un’agenda delle priorità condivise, latitando un giorno per uno. Ogni tanto fra i Bontate, i Bagarella e i Brusca scoppiava una lite per le cantine: la donna delle pulizie dimenticava sempre qualche ossicino di bambino sciolto nell’acido o nella calce viva. Una volta il fuochista addetto al riscaldamento confuse i bidoni dell’acido con quelli del cherosene, danneggiando l’impianto centralizzato. Ma alla fine le delibere erano sempre all’unanimità: i condòmini non votavano per millesimi, ma secondo i rispettivi ergastoli. E, da regolamento, solo chi ne aveva almeno due poteva interloquire. Qualcuno ricorda quando un nuovo inquilino, il signor Gigi, ignaro di tutto, lamentò certi rumori sospetti provenienti da casa Brusca, tipo urla disperate di esseri umani. Brusca replicò con una frase smozzicata e incomprensibile. Nella successiva assemblea la vedova del signor Gigi, ancora in gramaglie per il recente lutto, raccontò che il marito era finito inavvertitamente in un pilone di cemento armato del garage, e comunque quei rumori sospetti se li era sognati. Notizia accolta con sollievo dall’intera assemblea. Quando poi il giardiniere, zappettando nell’aiuola delle ortensie, rinvenne una ventina di tibie e teschi umani, l’avvocato del condominio, un omino col riporto, si precipitò a rassicurarlo: “Ma lo sa che siamo capitati proprio sopra una necropoli etrusca?”. Ecco, è lì che il nostro futuro statista forgiava la sua alta sensibilità istituzionale. In vista dell’agenda delle priorità condivise.
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