del 1 novembre 2009
di Francesco Bei e Liana Milella
(Giornalisti)
ROMA - Il Cavaliere è giudiziariamente nudo e ha paura. Cancellato dalla Consulta il lodo Alfano, nell'impasse i suoi sono alla disperata ricerca di una leggina che lo liberi dai processi Mills e Mediaset. L'ultimo blitz, appena fresco di ore, per infilare la prescrizione breve nel decreto sugli obblighi comunitari (da martedì in aula al Senato) s'è infranto sui "niet" del Quirinale per la "manifesta eterogeneità della materia". Il premier annaspa. Teme una condanna per corruzione che porterebbe con sé, obbligatoriamente, pure l'interdizione dai pubblici uffici.
Una situazione insostenibile che il Colle, per primo, non potrebbe ignorare. Per questo ormai il refrain del Cavaliere è sempre lo stesso: "Non mi faranno fare la fine di Craxi. Una condanna sarebbe un sovvertimento della volontà del popolo". E per questo, giusto negli ultimi giorni, sta di nuovo pensando di esibirsi in uno speech alla Camera in occasione della riforma sulla giustizia. Un discorso "alto", ma in cui troverà posto anche un'apologia contro "i giudici che mi perseguitano dal '94, da quando sono sceso in politica".
Si proclama "innocente", a parole dice di voler "affrontare i suoi giudici", ma ha paura del giudizio, dello stillicidio settimanale delle udienze, dell'impatto mediatico che comunque, con lui o senza di lui in aula, il dibattimento avrà sulla gente. Il caso Dell'Utri insegna. Per questo dà mandato al suo avvocato Ghedini di cercare a ogni costo una soluzione parlamentare che azzeri i processi. Stavolta senza sbagli. Da un lato, ancora in questi giorni, ha ripetuto ai suoi: "Dimostrerò "per tabulas" la mia totale estraneità alle accuse che mi contestano. I miei legali hanno le carte per spiegare al centesimo il passaggio di quei 600mila dollari da Attanasio (l'armatore napoletano che secondo l'avvocato londinese gli avrebbe versato il denaro, ndr.) a Mills". Ma, del pari, la sfiducia verso i giudici di Milano è totale: "Lì ho sempre trovato gente ostile e, anche se non c'è più quella Gandus a presiedere il tribunale, non mi posso di certo fidare".
Ed ecco allora l'affanno per trovare una leggina che cozza contro gli ostacoli frapposti da Fini e dal Quirinale. L'ultima chance è andata in fumo tra mercoledì e venerdì pomeriggio. Sembrava quasi fatta per la prescrizione breve studiata da Ghedini. Col taglio del quarto di pena in più frutto degli "atti interruttivi", il reato di corruzione si cancellerebbe in otto anziché in dieci anni. E dunque il processo Mills salterebbe. Ma serve una legge in tempi brevissimi. Pensano di infilare la norma, che è già pronta, nel decreto sugli obblighi comunitari che da martedì prossimo è in aula al Senato. Berlusconi è talmente convinto che l'operazione riesca che i suoi ministri più fedeli ne parlano in giro come di una cosa fatta. E invece il finiano Andrea Ronchi, il ministro per le Politiche comunitarie cui fa capo il decreto, fa saltare il piano. "Sono stato rigorosissimo. C'è stata una moria di emendamenti. Sono entrati solo quelli che hanno stretta attinenza con la materia comunitaria del decreto. Cosa c'entra la prescrizione lì dentro? Assolutamente nulla. Il capo dello Stato ci avrebbe sicuramente bocciato il decreto".
Berlusconi s'infuria e legge l'ostacolo come l'ennesimo tentativo dei finiani di disarcionarlo dopo gli ostacoli di Giulia Bongiorno sulle intercettazioni e la blocca-processi. Ma stavolta anche da Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, arriva uno stop. Niente da fare, c'è troppa disomogeneità tra il decreto e la prescrizione. I sondaggi di palazzo Chigi con il Colle danno un esito negativo, Napolitano non firma decreti palesemente eterogenei, ha già messo più volte in guardia il governo. Non resterebbe che lo scontro aperto: il presidente non firma il decreto, lo rinvia alle Camere, la maggioranza lo riapprova. Ma le conseguenze di un simile conflitto sono troppo pericolose. Gianni Letta non se la sente e decide di soprassedere. Venerdì pomeriggio, quando la commissione chiude il testo, l'emendamento sulla prescrizione non c'è, né sarà presentato in aula. Sulla prescrizione prevale l'ipotesi di un disegno di legge autonomo che di necessità non potrà correre veloce come il decreto.
A questo punto per Berlusconi non resta che la strategia mediatica: sminare l'effetto di una condanna bollandola in anticipo come una persecuzione delle toghe. "Gli italiani comprenderanno che è solo una montatura politica per far saltare un governo che gode della fiducia della stragrande maggioranza degli elettori". Un copione che il Cavaliere conosce a memoria e che ha iniziato a recitare martedì scorso nella telefonata a Ballarò.
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