del 27 dicembre 2009
di Furio Colombo
(Senatore PD)
Triste questo anno in cui ogni opposizione, a meno che non sia un inchino, è odio; il lavoro merce avariata abbandonata sui tetti delle fabbriche grandi e piccole; la conoscenza scientifica umiliata al punto da mandare via con un solo gesto di maleducata noncuranza tutti (tutti) gli scienziati dell’ecologia italiana (l’incredibile caso Ispra); un nuovo modo di gestire le imprese e fare cassa subito vendendo e rivendendo lo stesso centro produttivo a proprietari sempre più ignoti che smettono di pagare mentre si lavora e si produce. Oppure sono la strana figura di Marchionne-Fiat, che dopo avere audacemente comprato un pezzo d’America e avere seriamente cercato d’incorporare un pezzo di Germania, fa sapere che deve chiudere per dura necessità una fabbrica in Sicilia (Termini Imerese) dove tutto funziona alla perfezione, liberandosi senza spiegazioni di un pezzo di civiltà oltre che di produzione. I sondaggi ci fanno sapere che folle immense di italiani approvano, dunque amano Berlusconi a livelli che rasentano il 100 per cento. Ma intanto chi può svende, chi sa sposta la produzione fuori dall’Italia, e la stessa gente di Berlusconi tratta come zavorra da cui alleggerirsi centri strategici di lavoro, di ricerca, di attività scientifica, chiude ospedali, smette di dare i fondi necessari alla polizia, abbandona persino il sostegno scolastico ai bambini disabili, si trincera dietro i fumo-geni delle social cards mai ricevute dai più poveri, dietro il sostegno promesso ma non disponibile per i precari e i nuovi disoccupati (una massa che, prima non c’era mai stata).
Eti annuncia senza imbarazzo l’inizio di un’era nucleare immensamente costosa (oltre che immensamente pericolosa) e manda alcuni uomini con una scavatrice e il piccone a iniziare i lavori per il faraonico Ponte di Messina, la città dove basta la pioggia per abbattere una parte di strade e di ponti esistenti, l’isola in cui ogni estate manca quasi del tutto l’acqua. È accaduto questo. Silvio Berlusconi , con la sua famosa “discesa in campo” si è gettato sul Paese Italia come la donna svizzera che, nella notte del 24 dicembre, si è gettata sul Papa. Berlusconi, con la stessa presa ossessiva, ha trascinato con sé a terra lo Stato, ha rotto il femore dei media, e ha continuato a gridare che lo fa per amore. Infatti le due frasi con cui tutto comincia, in Italia e in San Pietro, sono quasi identiche: “Questo è il Paese (o il Papa) che amo”. La donna svizzera è stata subito affidata alle cure dei sanitari. Berlusconi, forse a causa del peso immenso della sua ricchezza e del suo altrettanto immenso conflitto d’interessi, continua a restare aggrappato all’Italia, la trattiene a terra e rende impossibile ogni equilibrio da quindici anni. Per avere un’idea visiva dell’Italia in questi quindici anni, immaginate il Papa trattenuto a terra, accanto al cardinale col femore rotto, dalla donna che - per amore - non molla la presa, mentre gli altri - i cittadini di là delle transenne - non potendo fare altro, alla fine applaudono. E più la presa al collo del Papa continua più si infittiscono gli applausi. Ormai è tipico, in ogni evento triste o lieto, dal funerale di una persona nota agli spettacoli di Fiorello. Gli applausi sono il solo gesto attivo d’intervento della folla. La folla è passiva fino a quando qualcuno arriva in soccorso. Con il Papa è accaduto. Berlusconi invece è ancora aggrappato all’Italia. Per amore, dice. Uno strano amore. Per spiegarlo non ci serve la rappresentazione narrativa o artistica di questo grande sentimento. Ci serve la storia. Ricordate l’Aga Khan, prima che i suoi figli e nipoti diventassero intraprendenti impresari della Costa Smeralda? La tradizione voleva, nella vita di una setta islamica detta “Ismailita”, che ogni anno il capo fosse pesato in pubblico, in una grande cerimonia. I fedeli avevano il dovere - ma anche il privilegio - di versare una quantità di oro pari al peso del loro capo spirituale. È avvenuto fino agli anni Cinquanta. Berlusconi, che di grandi affari in Sardegna sa molto, deve avere tratto ispirazione da quell’evento. Il punto che Berlusconi ha colto è che quando si parla di amore e di partito dell’ amore non si discutono i sentimenti del capo, che continua a gridare “vergogna” contro ogni accenno di dissenso. Quando si dice amore si fa riferimento ad un tributo che il capo si aspetta di ricevere dai cittadini in proporzione al suo peso. L’annuncio di quel peso trabocca da tutta la sua propaganda. Viene annunciato in continuazione sia dal volto triste del portavoce Capezzone, penitenziere che non sconta colpe e non tollera peccati, sia dalla concitazione quasi festosa del portavoce Bonaiuti quando proclama che questa è l’ultima occasione per mettersi in regola e amare, persino se prima odiavi.
Stretta in questa morsa ben sostenuta dal controllo dei media e dal quaresimale Minzolini-Tg1, la politica italiana non può essere che un’offerta d’amore. Sale (deve salire) da tutti noi verso l’alto. Ci viene anche indicata un’unica istituzione degna di quell’amore, “il Presidente”. Per raggiungerlo possiamo anche saltare sopra le transenne delle altre istituzioni, come la signora svizzera. L’importante è che “questo amore” sia “one way”. Lui non lo deve ricambiare. Deve solo frequentemente essere pesato (e aumentare il suo peso politico e mediatico per avere più amore) dalla sua corte politica. Tutto il resto è odio. Ovvio che abbiamo descritto un disturbo mentale . Quello che non sappiamo è se i confini di questo luogo in cui si ambienta il disturbo mentale che chiamano “amore” coincidano, come a volte sembra, con i confini del Paese. O se vi siano ancora zone libere in grado di distinguere la malattia dalla politica.
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