del 30 dicembre 2009
di Luigi De Magistris
(Europarlamentare IDV)
Nella politica nazionale riecheggia un unico coro: facciamo le riforme, modernizziamo il Paese. In molti, ufficialmente, sostengono che senza questa benemerita stagione riformista l'Italia resterebbe impantanata in quella condizione di immobilità in cui dorme sorniona da tempo. Ma cosa vuol dire "riforme"? In che cosa dovrebbero consistere e con che metodo andrebbero varate, nessuno lo sa bene fino in fondo e circolano idee diverse, spesso in conflitto fra loro. In casa Pd si parla di superamento del bicameralismo perfetto con l'introduzione di un Senato federale, con la riduzione del numero dei parlamentari, con una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini cioè che è stato tolto loro: la possibilità di indicare i propri rappresentanti in Parlamento, superando la legge elettorale in vigore che lascia la decisione alle nomenclature dei partiti, secondo logiche familistico-clientelari con le quali la fedeltà servile il più delle volte soffoca il merito, la volontà delle segreteria schiaccia quella dell'elettore. Per farlo, aprono ad un confronto parlamentare col centrodestra affermando una fedeltà imprescindibile alla Costituzione che speriamo essere sincera. Queste riforme potrebbero anche essere sottoscritte, il problema è chi siede dall'altra parte del tavolo del confronto e con quali obiettivi. Nell'epoca del peronismo di Arcore il dialogo e il confronto sono impossibili. Il tentativo perpetrato dal premier è infatti quello di introdurre, ad ogni occasione propizia, una dose di veleno politico-sociale, ma soprattutto dietro la promessa riformista, si nascondono (male) ben altre finalità. Ci si può confrontare, per il presunto bene del Paese, con chi del Paese se ne frega pensando esclusivamente a cautelarsi dai processi e a distruggere la magistratura? Quale interlocutore può essere chi offende costantemente una parte della società attaccando i suoi equilibri costituzionali e democratici, nonché la sua bibbia laica, la Costituzione? Su cosa ci si confronta poi se per il PdL le riforme invocate si riducono, sic stantibus rebus, soltanto alla manomissione della giustizia e all'approvazione di leggi ad personam, che aspettano il Paese alla ripresa dei lavori parlamentari e dell'attività politica dopo la pausa natalizia? Riforme per il vantaggio di tutti si chiamano in verità lodo Alfano in salsa costituzionale, ddl processo breve, legittimo impedimento (tutte oggetto della prossima attività parlamentare), mentre prosegue il lavorio per assestare il colpo definitivo alla magistratura con l'idea di sottomettere il pm all'esecutivo e di introdurre il famigerato ddl intercettazioni. Parallelamente, dietro il paravento della retorica riformista, il centrodestra spinge in direzione di un presidenzialismo sempre più forte per arrivare ad un sistema in cui "il capo" sia progressivamente svincolato da ogni freno nella sua azione. Insomma, questa pagina che si è aperta incute timore a chi crede nella democrazia. Così nel presunto dialogo riformista, che purtroppo evoca stagioni di inciuci e bicamerali di seconda generazione, salgono alla ribalta vecchi protagonisti di una periodo che ha significato la caduta di ogni argine al berlusconismo e che c'è da sperare non ritorni. Prima la carica al ministero degli esteri europeo, ora la presidenza del Copasir, baffetti conosciuti risalgono la corrente della cronaca. Dall'altra parte, come in passato, sempre lui: il sovrano d'Arcore. Come non preoccuparsi? Come non dire no al confronto, quando appare così pieno di insidie? Riformismo e riforme si fanno per il bene del Paese (ammortizzatori sociali, sistema di welfare, diritti) non a suo danno, ma soprattutto non per introdurre, sotto mentite spoglie, leggi di immunità per uno solo: il Capo dei capi.
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