del 20 dicembre 2009
di Antonio Massari
(Giornalista)
Pochi giorni fa, il giornalista economico Oscar Giannino, ha dedicato un'ora di approfondimento su Radio24 al caso della security Wind, nel corso del suo programma “La versione di Oscar”. Riepiloghiamo in breve la vicenda: un'inchiesta della procura di Crotone, condotta dal pm Pierpaolo Bruni, indaga sull'ex direttore della security Wind, Salvatore Cirafici, accusato di favoreggiamento per aver avvertito un indagato che il suo telefono era controllato dalla magistratura. Si ipotizza la presenza di schede all’apparenza “disattive”, che potrebbero sfuggire al controllo dell procure, e potrebbero essere state affidate a uomini delle istituzioni.
Giannino, paragonando la vicenda all'inchiesta sulla security Telecom, quella di Luciano Tavaroli e compagni, e analizzando il ruolo dell’informazione, lei ha parlato di “due pesi e due misure”. Perchè?
A parte il Fatto Quotidiano, di quest'inchiesta, non s'è occupato nessuno. Fatta eccezione per qualche trafiletto nei quotidiani nazionali. Eppure si tratta di una vicenda preoccupante per la nostra democrazia. Il caso Telecom ebbe una rilevanza ben maggiore.
Quale può essere il motivo?
I motivi possono essere diversi. Sulla vicenda Telecom ha influito parecchio la personalità di Marco Tronchetti Provera [allora azionista di controllo, ndr]: un industriale con notevole influenza politica. Questo ingrediente, nell'indagine sul capo della security Wind, manca. Però resta la sostanza: l'ipotesi di un “mercato parallelo” dei dati sensibili. Uno scenario di autentico allarme democratico.
E le altre ragioni?
C'è anche un legittimo sospetto. Se è vero che il sistema – quello delle security delle compagnie telefoniche – può alimentare rapporti opachi con servizi e apparati dello Stato, è vero anche può intrattenere rapporti impropri con il mondo dell’informazione. È inutile fingere di non sapere: i vertici delle security possono aiutarci, se vogliono, a realizzare grandi colpi giornalistici. Possono fornire, in modo improprio, notizie molto interessanti. Questo accade con giornalisti di centrosinistra e centrodestra. Senza differenza. Ed è un elemento che, in quest'analisi, non possiamo sottovalutare.
Torniamo al paragone tra caso Telecom e caso Wind.
Ho seguito a lungo l'inchiesta della procura di Milano su Telecom. I miei articoli erano incardinati su una tesi: i vertici della Telecom, quindi Tronchetti Provera, “non potevano non sapere” delle attività di Tavaroli e compagni. Il teorema però è crollato. Il dato è importante. I due procuratori di Milano, Fabio Napoleone e Stefano Civardi, non sono influenzabili : è una mia convinzione assoluta. Quindi su Tronchetti Provera non c’era nulla. Era vero il contrario: i vertici possono non sapere.
Qual è il nesso con il silenzio dell'informazione?
Eccolo: mi pare che siano sufficienti due condizioni per far cadere nel vuoto fatti di questa gravità. È sufficiente che i vertici non sappiano (dopo il caso Telecom sappiamo che è possibile) ed è sufficiente evitare di coinvolgere i politici (tra dossier o eventuali intercettazioni). A queste condizioni il mercato parallelo, in tutta la sua opacità, può essere oggetto d'indagini giudiziarie senza raccogliere l'interesse dei giornalisti. Il che è grave perchè la situazione è allarmante se è vero che nel caso Wind, come nel caso Telecom, siamo dinanzi a diversi apparati dello Stato – servizi segreti civili e militari, carabinieri, guardia di finanza, e via dicendo – che risultano in competizione, l'uno contro l'altro , per avere un terminale diretto all'interno delle aziende telefoniche. Il motivo è semplice: queste compagnie possiedono delle dorsali strategiche. Si può creare, così, un mercato parallelo, quantomeno opaco, fatto di richieste fuori dalle procedure, magari brevi manu, da parte dei servizi o di pezzi dello Stato. Verso i quali dovremmo nutrire fiducia, e non sospetto.
Parliamo dei sospetti.
Vorrei sapere a chi rispondono, davvero, i capi delle security. Voglio dire: se devono le loro ricchezze e le loro carriere, a pezzi dello Stato più che alle aziende per le quali lavorano, beh, questo mi allarma parecchio. Si corre un rischio: che il capo della security risponda, oltre che all'azienda, a chi lo ha aiutato a ottenere quel ruolo. Il sistema merita di essere corretto.
Come?
I responsabili della security di un'azienda telefonica dovrebbero essere sottoposti a un rendiconto periodico: devono essere tracciati i loro rapporti con gli apparati dello Stato, dai servizi segreti civili e militari, alle forze dell'ordine. Nomi e cognomi. Una fotografia dettagliata, e custodita dal Copasir, per evitare le opacità di cui abbiamo parlato.
Se ne potrebbe discutere, ma politica e giornali tacciono.
L'informazione, in questo caso, è lo specchio della politica. E ci vorrebbe una politica più seria rispetto a questa che si muove soltanto se è intercettato un ministro, o un presidente del Consiglio, mentre non ha mai chiesto, nè ottenuto, neanche dopo il caso Telecom, una maggiore chiarezza sui rapporti tra le security delle aziende telefoniche e gli apparati dello Stato.
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