del 5 gennaio 2010
di Francesco Bonazzi
(Giornalista)
Ai bei tempi, i compagni genovesi si stupivano della passione di Craxi per i garofani. In Liguria, quei fiori si portano ai morti e nei prossimi giorni ne partiranno parecchi per il “santuario” di Hammamet. Ma se c’è un santuario del potere dove il profumo di garofano aleggia ancora, questo è il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. Sul tavolo del consiglio di amministrazione, nel patto di sindacato, tra gli azionisti diretti e indiretti di via Solferino, ci sono tante persone, tante famiglie, tante fortune imprenditoriali che hanno incrociato Craxi e che in molti casi gli devono molto. Ligresti, Berlusconi, Ben Ammar, Doris e perfino Rotelli potrebbero tranquillamente inserire un fiore di garofano reciso nelle asole dei loro doppiopetti. E a Geronzi, Pesenti e Romiti toccherebbe almeno una prece. Anche perché a Milano tira da settimane una gelida aria da “Tangentopoli due”, e forse anche questo spiega l’ondeggiare “pallido e assorto” del Corriere intorno alla santificazione di quella che è stata la vittima politica più celebre di Mani Pulite. L’onore di aprire il Pantheon vivente del potere post-craxiano non può che spettare a Salvatore Ligresti, e non solo perché nel 1992 il costruttore siciliano si fece ben 112 giorni di galera senza fiatare (nel senso che proprio non parlò). Ligresti ha sempre foraggiato l’ascesa dell’amico Bettino e il suo cognome ancora oggi è associato al ricordo del sacco urbanistico di Milano. Attraverso Fondiaria-Sai, “don Salvatore” controlla il 5,2% di Rcs, fa parte del patto di sindacato che governa (con il 65%) i destini di via Solferino ed “esprime” la figlia Jonella nel cda. Il primo azionista del Corriere resta però sempre quella Mediobanca (13,7%) dove al posto di Enrico Cuccia, che poco amava i politici e tantomeno Craxi, oggi regna Cesare Geronzi, che invece i politici li tratta e li “gestisce” da sempre. Ai tempi di Craxi imperante, Geronzi era ancora un andreottiano e quindi un semplice alleato. Il “dopo” però, ha visto Geronzi nel ruolo di un traghettatore che avrebbe strappato il suo plauso. Nel ’93-’94, quando Fininvest rischia di affogare nei debiti, il capo della Banca di Roma diventa il regista dello sbarco in Borsa della Mediaset. In poche parole, assieme ad altre banche come Monte dei Paschi e Bnl, Geronzi salva dal baratro Silvio Berlusconi, orfano di Bettino. E oltre dieci anni dopo, mentre l’ultimo governo Prodi fronteggia una lunga agonia, il banchiere di Marino conduce Marina Berlusconi nel santuario di Mediobanca, dove già l’aveva preceduta Ennio Doris, socio storico di “Papi” Silvio in Mediolanum. Un’operazione gestita insieme con un altro antico sodale del premier come Tarak Ben Ammar.
Il finanziere franco-tunisino è un altro snodo fondamentale nella marcia di avvicinamento di Berlusconi su via Solferino. Ben Ammar ha un passato di tutto rispetto nella prima Tangentopoli. La sua indisponibilità a farsi interrogare dal pool milanese ha dato una bella mano alla Fininvest, sotto inchiesta per i fondi ai partiti (Psi in testa, ovviamente). Ma prima ancora, il nipote del mitico Bourghiba era stato anello di congiunzione tra Craxi e l’Olp di Arafat. Con Berlusconi, il rapporto risale almeno dal 1984, come ha raccontato lo stesso Tarak parlando della “comune passione per le belle ragazze” che univa, in Tunisia, lui, Silvio e Bettino. Più seriamente, i vecchi amici di Craxi si raccontano spesso che fu proprio “l’esule di Hammamet” ad affidare Ben Hammar a Berlusconi. O viceversa.
Ma nelle retrovie di Rcs Mediagroup si muove con discrezione un altro ex socialista di nome Giuseppe Rotelli. Alla guida del colosso della sanità privata “Gruppo San Donato”, l’avvocato pavese custodisce il secondo pacchetto azionario (12%), ma non può entrare nel patto di sindacato perché la sua quota renderebbe una farsa la quotazione in Borsa del titolo. Come risarcimento, Rotelli è in corsa per la presidenza di Rcs in aprile, nonostante una fastidiosa inchiesta della Procura di Milano sui rimborsi gonfiati della sanità lombarda che lo vede invischiato come presidente del San Donato (in base alla nuova legge sulla responsabilità penale delle aziende). Rotelli è uomo di cultura che oggi si atteggia molto a liberale, ma viene da lontano e pochi sanno che ha un passato “politico” in senso lato: a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta è stato tra gli ideatori della riforma sanitaria lombarda ed è in quella veste che aveva stretto buoni rapporti con Craxi.
Più complessi, invece, i rapporti con il mondo Fiat. Craxi e Gianni Agnelli non si piacevano, ma al momento di finanziare “la partitocrazia” neppure Torino andava troppo per il sottile. E se a metà degli anni Ottanta l’Alfa Romeo non finì alla Ford, il “merito” politico va tutto a Craxi. Però i vecchi socialisti non dimenticano che, all’esplodere di Mani Pulite, gli Agnelli e Cesare Romiti non lesinarono l’appoggio di Stampa e Corriere ai magistrati di Milano. Non sarebbero storie da ricordare, se il terzo azionista di via Solferino non fosse sempre il Lingotto, con Franzo Grande Stevens e John Elkann schierati nel cda del primo giornale d’Italia. Quello che anche nel 2010 si chiede come saldare i conti con l’eredità di Craxi.
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