del 14 gennaio 2010
di Sara Nicoli
(Giornalista)
La fiammata sulla giustizia, con un decreto blocca processi che avrebbe dovuto mettere Berlusconi al riparo delle udienze Mills e Mediaset fino a dopo le elezioni, si è spenta sul portone del Quirinale. E quella annunciata rivoluzione fiscale, con tanto di taglio delle tasse, che si voleva utilizzare come specchietto per le allodole durante la campagna elettorale, si è infranta contro Giulio Tremonti, che non ne ha voluto sapere di fare da spalla alle bugie del Cavaliere con una voragine di debito pubblico da far tremare i polsi. “Dobbiamo studiare seriamente - ha infatti commentato il titolare di via XX Settembre - non possiamo fare stupidate o follie”. E il premier, in una clamorosa retromarcia: “Con questa crisi non si possono tagliare le tasse”. E il decreto ammazza processi? “Non serve, ma riproporremo l'inappellabilità per le sentenze di assoluzione in primo grado. Casomai servirebbe il salva calunnie”. Insomma,il partito dell'amore è già archiviato.
Davvero una brutta giornata, quella di ieri, per Silvio; due touch down nel giro di poche ore, mostrate al pubblico come decisioni frutto di responsabilità politica ma, di fatto, sconfitte cocenti. La prima, quella sulla giustizia, è senz'altro la più bruciante, con l'ossessione verso i “giudici politicizzati” che si esprime in una battuta feroce: “Alcuni di loro sono peggio di Tartaglia, mi attaccano sul piano politico e, lo vedete, sul piano giudiziario le aggressioni sono parificabili a quelle di piazza del Duomo, se non peggio”. Parole che ovviamente si sono meritate la risposta dell’Anm: nessun confronto con questi “in un clima di violenza verbale e di aggressione. Ancora una volta assistiamo a gravi insulti rivolti dal capo del governo nei confronti dell'istituzione giudiziaria la cui legittima e doverosa attività viene oggi paragonata a comportamenti illeciti e violenti”.
Silvio si sente in trappola.Il Capo dello Stato, niente affatto contrario a trovare una soluzione politica alle sue questioni giudiziarie, ha comunque detto no a un decreto che avrebbe solo “avvelenato ulteriormente il clima politico”, sostengono accreditate fonti del Colle, senza portare ad una soluzione “comprensibile anche ai cittadini”. Il blocca processi è quindi sparito dal tavolo del consiglio dei ministri e l'idea di una riformulazione è stata messa definitivamente nel cassetto. Niccolò Ghedini, artefice di quest'ultima trovata, non l'ha presa affatto bene. E malgrado tra le colombe del Pdl siano in molti a credere che stia cercando una nuova via d'uscita per garantire a Berlusconi l'impunità, almeno sotto elezioni regionali, è più probabile che ora tutti gli sforzi si concentrino sui due provvedimenti già in campo, il processo breve - ieri respinte le pregiudiziali dell’opposizione - e il legittimo impedimento. Con qualche distinguo sulle priorità anche tra gli avvocati. Dice, infatti, Gaetano Pecorella, l'altro avvocato di Berlusconi: “Serve una soluzione che incida il meno possibile sul sistema - argomenta il deputato Pdl - e il legittimo impedimento rappresenta davvero l'alternativa su cui puntare; ho detto al premier che l'appoggio dell'Udc avrebbe un grande rilievo politico dal quale lui uscirebbe senz'altro rafforzato”. Improbabile che Berlusconi ascolti.
L'ossessione di salvarsi dai processi ha ormai raggiunto livelli altissimi. Tant'è che sarà inevitabilmente questo il piatto più caldo sul tavolo dell'atteso incontro con Fini che si svolgerà oggi, all'ora di pranzo, negli appartamenti privati del Presidente della Camera. Berlusconi chiederà senz'altro a Fini l'appoggio dei suoi nel caso, sempre più probabile, che mercoledì prossimo al Senato sia posta la questione di fiducia per l'approvazione del processo breve. In cambio è probabile che l’altro co-fondatore metta sul piatto la nomina di Andrea Augello a sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento per compensare quella di Daniela Santanchè al Welfare che, ormai, appare inevitabile. Ma anche le poltrone regionali potrebbero diventare merce di scambio. La situazione è tutt'altro che chiara: in Campania la nomina di Stefano Caldoro è ancora in forse anche perchè, per il momento, il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino e candidato in pectore per la corsa a governatore della Regione partenopea non sembra disposto a fare passi indietro. Anche in Puglia, la questione non è ancora chiusa e sul tavolo restano ancora due nomi: il magistrato Stefano Dambruoso e l'attuale vice coordinatore regionale Antonio Di Stasio. O Adriana Poli Bortone. Nell'incontro si cercherà la quadra e, di sicuro, uscirà la firma di una tregua. Fino alleregionali Fini non tenterà strappi definitivi, ma si tratterà di un equilibrio precario. Pronto a riesplodere ad elezioni consumate.
Nessun commento:
Posta un commento