del 30 dicembre 2009
di Stefano Feltri
(Giornalista)
Per la prima volta il ministro dell’Economia Giulio Tremonti annuncia in via ufficiale i risultati dello scudo fiscale. In una nota del ministero si legge che sono rientrati in Italia 95 miliardi di euro, il 98 per cento dei quali (circa 93 miliardi) come rimpatri effettivi. Per il resto si tratta di rimpatri giuridici, in cui il bene scudato (soldi o immobili) resta oltre frontiera. Visto che l’aliquota da pagare per mettersi in regola è il 5 per cento, questo significa che nelle casse dello stato sono entrati circa 4,7 miliardi di euro.
Per ora non si sa altro. Dal ministero spiegano che questi dati li ha forniti Tremonti in persona, ma soltanto una settimana fa il ministro non si voleva pronunciare. E quindi non è chiaro se si tratti di stime preliminari o di dati più definitivi. “Stupisce che i rimpatri giuridici siano così pochi, purtroppo non si può saperne molto di più visto che si tratta di informazioni protette dall’anonimato e quindi bisogna limitarsi ai dati forniti da Tremonti”, commenta Maria Cecilia Guerra, docente di Scienza delle finanze all’Università di Modena e Reggio. Le banche non hanno la visione d’insieme, ma soltanto quella delle operazioni che hanno condotto direttamente. Intesa San Paolo, per esempio, ha fatto sapere nei giorni scorsi che tramite le sue filiali sono rientrati 10 miliardi di euro.
GLI IMPIEGHI. Tra le incognite che questi numeri sollevano la prima riguarda il destino dei capitali tornati in Italia. Che fine faranno? Nei precedenti due scudi fiscali pare siano stati usati in gran parte per sostenere il settore immobiliare, una tesi non dimostrabile (sempre per il problema dell’anonimato) ma sostenuta dall’analisi dell’andamento dei prezzi delle case. Claudio Siciliotti, presidente dell’Ordine nazionale dei commercialisti, dice al Fatto che “lo scudo richiede un sacrificio di legalità che è accettabile soltanto a due condizioni: che segni l’inizio di una guerra vera ai paradisi fiscali e che questi soldi vengano reinvestiti nell’economia”. Questa era stata la promessa di Tremonti: gli imprenditori evasori riportano in Italia i soldi e li usano per ricapitalizzare le loro imprese in asfissia da credito. “Purtroppo – aggiunge Siciliotti – la mia sensazione non è che i capitali stiano andando all’economia reale”. Le ragioni sembrano essere due: la prima è che in molti casi le somme scudate sono basse, da poche migliaia di euro a qualche centinaio di migliaia. Somme tenute da tempo all’estero, mai inserite nella dichiarazione dei redditi e ora, grazie al clima creato da Tre-monti, hanno finalmente deciso di dichiararle. Soldi che, quindi, non finiranno a sostenere le imprese ma soltanto qualche conto corrente. La seconda motivazione di scetticismo sugli effetti benefici dello scudo per la collettività è la voce che circola tra gli evasori che scudano: tra un paio d’anni, quando il clima si sarà rasserenato, potranno riportare i soldi all’estero. O per affidarli alle cure dei banchieri svizzeri o perché, in molti casi, può far comodo avere capitali oltre frontiera da usare in operazioni poco trasparenti estero su estero.
LA SEGRETEZZA. “Il governo celebra lo scudo ma ometti di dire che siamo stati l'unico Paese al mondo a sospendere l'obbligo di segnalazione anti-riciclaggio per gli intermediari finanziari e a estendere il perimetro dei reati cancellati fino al falso in bilancio”, ha detto ieri Stefano Fassina, responsabile economia del Pd. In realtà, come ha spiegato il tributarista Angelo Contrino sulla voce.info, il segreto dura poco: nel momento in cui l’Agenzia delle entrate mette nel mirino un contribuente evasore, se questi ha aderito allo scudo deve dichiararlo per evitare le sanzioni. E quindi diventa pubblica la sua condizione di “scudato”. Secondo la manovra anticrisi approvata proprio da questo governo , poi, sia l’Agenzia delle entrate che la Guardia di Finanza possono chiedere a Banca d’Italia, Consob (autorità che vigila sulla Borsa) e Isvap (quella che vigila sulle assicurazioni) informazioni sui contribuenti sotto indagine. E le banche dovrebbero dire a Bankitalia tutto quello che sanno, incluso se i soldi dei clienti vengono dallo scudo. Uno dei dubbi che circolano in queste ore, quindi, è quanto ci vorrà a capire se e in quale misura la riservatezza degli evasori verrà davvero protetta.
L’altro nodo da scegliere resta quello della normativa antiriciclaggio. Alla fine di ottobre il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi chiede pubblicamente a Tremonti “un intervento interpretativo che, nell’ambito del cosiddetto scudo fiscale, dissipi ogni incertezza sugli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette da parte degli intermediari; che ribadisca la regolare appplicazione della normativa antiriciclaggio”. Traduzione: Draghi chiedeva un intervento politico del ministro per chiarire che lo scudo non è un tana libera tutti, che dietro lo scudo non si può riparare qualunque operazione che ha prodotto capitali illeciti. Visto che alcuni reati presupposto del riciclaggio, cioè quelli che servono ad accumulare capitali da riciclare, sono sanati dallo scudo, servirebbe un segnale dal ministero per dire che comunque si mantiene alta la guardia e che non basta dire che una valigetta di contanti è frutto di evasione fiscale per evitare ogni sospetto di riciclaggio di denaro sporco. Bankitalia ha comunque intensificato i controlli e si appoggia alla normativa europea, ma visto che è stato il Tesoro a varare lo scudo, dovrebbe essere il Tesoro a fissarne i limiti. Invece niente . C’è stato anche un incontro tecnico, Tremonti ha promesso la circolare indirizzata agli intermediari, ma non l’ha mai diramata, nonostante lo avesse promesso a Draghi. Forse per non allarmare i contribuenti che volevano scudare le somme. Il segnale politico per dire che al Tesoro sono consapevoli dei pericoli del riciclaggio non è mai arrivato. Una circolare diramata dal ministero 12 ottobre, infatti, non era stata giudicata sufficiente da Draghi.
I CONTI PUBBLICI. Secondo il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli “lo scudo rappresenta la più grande manovra economica di tutti i tempi”. L’ultimo scudo, anche quello prorogato di alcuni mesi nel 2003, aveva riportato in Italia una quindicina di miliardi (con un gettito minimo per lo Stato, visto che l’aliquota era il 2,5 per cento). In questo caso i numeri sono maggiori e, visto che la nuova scadenza è stata fissata a fine aprile, ci si attendono almeno altri 30 miliardi, quindi 1,5 di gettito per lo Stato. “La riapertura della finestra era scontata, la prima scadenza del 31 dicembre è stata fissata soltanto per mettere le entrate a bilancio nel 2009, ma fin dall’inizio c’era l’idea di una durata maggiore”, spiega la professoressa Guerra. Il fatto che l’aliquota cambi (aumentata al 6 o 7 per cento) rende legittimo considerare la proroga come un nuovo scudo, il quarto firmato da Tremonti che, un anno e mezzo fa, in campagna elettorale, diceva “mai più condoni fiscali”.
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