mercoledì 30 dicembre 2009

San Bottino patrono d’Italia

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 30 dicembre 2009

di Marco Travaglio
(Giornalista)


Ma sì, in fondo è giusto così. O almeno è comprensibile che i grandi partiti si apprestino a celebrare, con le più alte cariche dello Stato (o di quel che ne resta), Bettino Craxi, pluripregiudicato per corruzione e finanziamento illecito, titolare di conti esteri su cui aveva accumulato tangenti per almeno 150 miliardi di lire, distruttore del più antico partito italiano, il Psi, dopo cent’anni di storia, morto latitante in Tunisia dove si era rifugiato per sfuggire alle leggi del suo paese, leggi che aveva fatto e violato lui. Il grande statista che, in quattro anni di governo, raddoppiò il debito pubblico portandolo dal 70 al 92% del Pil. Il sincero democratico che riuscì ad allearsi con gentiluomini come Siad Barre e i generali argentini. Dopo dieci anni trascorsi a rimpiangerlo in segreto, per paura degli elettori onesti superstiti, i partiti han capito che è giunta l’ora di celebrarlo alla luce del sole. Il decennale di San Bottino, col contorno di strade e piazze dedicate, monumenti equestri, targhe commemorative, convegni riabilitatorii, salotti televisivi con lacrima incorporata, lumini votivi, è la grande occasione per i politicanti di tutte le specie: Berlusconi potrà finalmente rivendicare l’eredità craxiana, per troppi anni nascosta dietro il cerone del nuovo che avanza (mentre è il vecchio che è avanzato); D’Alema renderà omaggio una volta per tutte al suo idolo di sempre; il Pdl, riabilitando un vecchio corrotto, riabiliterà anche il suo leader corruttore; il Pd, archiviando come dettagli ininfluenti le ruberie craxiane, legittimerà anche quelle berlusconiane in vista dell’agognato inciucio; le seconde e terze file della prima Repubblica sopravvissute alla Seconda si scaricheranno la coscienza nei confronti di un tizio che faceva né più né meno quel che han sempre fatto loro, con la differenza che lui si fece beccare e dovette svignarsela, mentre loro sono ancora tutti lì. In queste riletture del passato, il Cavaliere è maestro: è riuscito addirittura a riabilitare un mafioso sanguinario Vittorio Mangano, issato fra gli ‘eroi’ del suo personale Pantheon arcoriano che si sta costruendo come il reverendo Moon. Anche Feltri, che 17 anni fa chiamava Craxi ‘il cinghialone’, ha già fatto pubblica ammenda. Ma non per tutti è così. Magari sarà un po’ imbarazzante per Napolitano (semprechè sia davvero intenzionato a partecipare alla baracconata) commemorare quel Craxi che, in Parlamento e poi nei famosi fax da Hammamet, lanciò velenose insinuazioni sui finanziamenti delle sue campagne elettorali, come su quelle di Amato e Del Turco. Forse sarà un po’ imbarazzante anche per D’Alema e Violante, visto che Craxi accumulava dossier ricattatorii pure sul loro conto. Dovranno riabilitarlo fischiettando e guardando per aria. Del resto chi continua a parlare di ‘esule’ per non dire latitante, di ‘errori’ per non dire delitti, di ‘finanziamenti non registrati’ per non dire tangenti e grassazioni, è capace di tutto. Anche di dire ‘statista’ per non dire ladro. A questo punto però limitarsi a una semplice commemorazione sarebbe riduttivo. Fatto trenta, bisogna avere il coraggio di fare trentuno. Riabilitare Craxi non basta: bisogna proprio beatificarlo. Santificarlo a imperitura memoria. E nominarlo nuovo patrono d’Italia al posto di san Francesco. Il santo di Assisi ormai stona nel contesto generale: uno che donava agli altri i soldi suoi, figuriamoci. Molto meglio il santo di Hammamet, che rubava i soldi degli altri. Nell’ambito della Grande Riforma, poi, si potrebbe approvare una legge costituzionale per ritoccare la bandiera tricolore, inserendo nel campo bianco un piede di porco stilizzato. Quanto alla strada da dedicare al compianto statista, una via di Milano è roba da pezzenti. E poi ‘Via Craxi’ ricorda troppo gli slogan del 1992-’93, quando gli italiani, fra le guardie e i ladri, sceglievano ancora le guardie. Se strada dev’essere, che sia una tangenziale.

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