mercoledì 30 dicembre 2009

IL FUTURO DEL POPOLO VIOLA

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 30 dicembre 2009


Pubblichiamo qui poco meno di un quarto del testo di un’amplissima tavola rotonda con cinque dei promotori del “No B. Day”, Emanuele Toscano, Anna Mazza, Sara De Santis, Gianfranco Mascia e Alessandro Tuffu. Il testo integrale compare nel numero eccezionale di MicroMega (“Finché c’è lotta c’è speranza”) che esce domani, interamente dedicato alla grande manifestazione “viola” del 5 dicembre, che ha portato a Roma un milione e mezzo di persone per chiedere le dimissioni di Berlusconi. Il numero è completato da dieci interventi di analisi e commento (Marco Travaglio, Pancho Pardi, Furio Colombo, Valentino Parlato , Norma Rangeri, Antonio Padellaro, Alessandro Gilioli, Giorgio Cremaschi, Luigi De Magistris, Andrea Scanzi, Pierfranco Pellizzetti), da 64 racconti/testimonianze di cittadini venuti dalle più diverse città d’Italia, e da oltre 150 foto a colori.

MICROMEGA: Quella del 5 dicembre è stata una manifestazione entusiasmante, una delle più grandi e appassionate della storia repubblicana. Ma sono almeno dieci anni che l’Italia democratica scende in piazza, con tassi di partecipazione straordinari. (…) La prima questione che stadifrontealmovimentoèallora:comeevitareche anche questa volta tanta straordinaria energia non abbia riflessi nei rapporti di forza politico-istituzionali? E quali sono le analogie e le differenze tra il movimento «viola» e i Girotondi? Una prima analogia è il carattere auto-organizzato, una risposta corale e diffusa con un piccolo gruppo iniziale che fa da catalizzatore. Una seconda è la piattaforma assolutamente «moderata» e ovvia (almeno dovrebbe) per una democrazia, la difesa della Costituzione repubblicana, ma coniugata con la radicalità della coerenza tra dire e fare, che la distingue dalle inadempienze e i traccheggiamenti dei partiti. Una terza è, di conseguenza, il rifiuto di rendere i partiti co-protagonisti del palco, senza che questo comporti scivolate qualunquiste, visto che la partecipazione e la solidarietà (anche materiale) dei partiti è accettata è apprezzata. (…)

Emanuele Toscano: Nel corso del tempo è emerso un nuovo concetto di movimento, in cui la centralità si è spostata dalla figura di attore storico in azione a quella di soggetto in azione (…). In termini pratici significa che questo soggetto, inteso come colui che resiste a un dominio percepito come tale, elabora una alternativa a livello individuale. E si dice: “Cos’è che mi dà fastidio, che ritengo insopportabile?”. E cosa faccio contro questa cosa? Elabora un’alternativa e la persegue attraverso un’azione, che non è più «collettiva» come nel passato, ma è un’azione che possiamo definire «comune», in cui l’individuo non si diluisce all’interno di una massa, ma anzi nel collettivo riesce ad affermare la propria autonomia. È questo, secondo me, il tratto che accomuna il movimento Alterglobal, i Girotondi e le mobilitazioni sindacali del 2002 (…). Riguardo alle differenze, la cosa è più complessa. (…) Nel nostro caso c’è stata una totale assenza di strutture organizzate, siano esse di partito o associative, a tutti i livelli. (…) Rispetto ai Girotondi invece la mancanza di una piattaforma è una similarità. La focalizzazione dei Girotondi su alcune persone, soprattutto una in particolare, Nanni Moretti, ha sicuramente giocato in una prima fase un ruolo positivo, vincente. Poi è diventato un punto di debolezza, perché nel momento in cui quella che era stata identificata a livello mediatico come leadership veniva meno, il movimento perdeva la sua spinta propulsiva a livello mediatico. (…)

Anna Mazza: (…) il nostro movimento si collega a un disagio molto più ampio e generalizzato. Quindi la definizione di trasversale, che ci siamo dati sin dall’inizio, va intesa anche in questo senso. Per quanto riguarda i Girotondi, avevano una connotazione in qualche modo personalistica, che nel nostro caso non è presente, noi siamo un movimento, come abbiamo ribadito più volte, orizzontale, che anzi in questo momento è teso ad un ulteriore allargamento in questo senso. La definizione di movimento carsico direi decisamente che non è corretta, se carsico vuol dire passare da una fase di presenza ad un’altra di assenza, perdendo di intensità, per poi riapparire.

Si tratta, e ancora una volta sottoscrivo quello che diceva Emanuele, di un esercizio continuo dell’affermazione di sé, non solo nella sfera individuale, ma contemporaneamente di un rafforzamento e un consolidamento di quello che è il movimento stesso, quindi un duplice piano di azione, a livello individuale e di movimento. Non so se carsico sia proprio il termine più appropriato, forse, sempre per rimanere in ambito geologico, vulcanico può essere una definizione giusta, nel senso che quando non si vede in eruzione non vuol dire che non sia intensamente attivo così come nel momento della sua esplosione.

Sara De Santis: Una delle differenze fondamentali rispetto a quello che è accaduto sette anni fa, è stato solo accennato prima, è il «luogo» dove è nata questa manifestazione, la rete. Bisogna anche dire cosa la rete rappresenta oggi e cosa rappresentava prima, quando il «luogo» di nascita di altri movimenti poteva essere, come diceva Emanuele, il mondo sindacale, oppure, tra virgolette, alcune élite culturali. Sulla rete c’è orizzontalità sul serio, una visione effettivamente plurale, nel senso che tutti, indipendentemente dalle categorie professionali e anche dalla qualità del proprio pensiero e dalla profondità del ragionamento politico e sociale, hanno la possibilità di esprimersi. Ci sono blog di ogni genere e proprio da alcuni blog è partita l’idea della manifestazione. Così tante persone si sono unite, e perché proprio in rete? Perché sulla rete c’è una pluralità d’informazione maggiore rispetto alla carta stampata e alla televisione. E quindi quelli che utilizzano la rete come strumento hanno avuto il primo accesso all’idea, che poi si è aperta alla società civile «reale». Questa condivisione è stata importante, e prima non c’era o non era sviluppata come ora.

(…)

MicroMega: La presenza massiccia di giovani secondo voi è legata soprattutto allo strumento che è stato utilizzato, cioè la rete? O al maturare crescente e accumulato di disagio che alla fine diventa indignazione e rivolta?

Gianfranco Mascia: Le similitudini si riscontrano nelle caratteristiche del movimento auto-organizzato, mentre la differenza è, come avete già sottolineato, che oltre ad essere un movimento auto-organizzato è anche auto-promosso. Cerco di spiegarmi: una delle persone che all’epoca organizzò i Girotondi è Nanni Moretti, una persona molto conosciuta, mentre l’iniziativa del 5 dicembre è partita – in rete – da gente comune: blogger e mediattivisti. Questa è una differenza sostanziale. E credo che la differenza non sia soltanto di modalità di convocazione, di organizzazione, oltre che di comunicazione del Popolo Viola, ma anche e soprattutto di sostanza. I Girotondi, infatti, non sono riusciti ad aggregare, oltre al ceto medio riflessivo – come si definiva – moltissimi giovani, mentre nel Popolo Viola ce ne sono tanti. Non parliamo di giovanilismo, perché secondo me questo non aiuta a capire cosa sia davvero il Popolo Viola, ma di movimento trasversale nel quale molte persone si sono riconosciute e identificate. (…)

Questa manifestazione, si diceva prima, poteva essere organizzata da qualsiasi altro soggetto, anche da un partito, però certamente non avrebbe avuto le stesse modalità. (...) Mi preme sottolineare che una delle caratteristiche fondamentali del Popolo Viola è proprio quella di non avere «bandiere», non avere nessun tipo di legame ideologico. E il fatto che all’interno dell’organizzazione del movimento ci siano anche persone che hanno votato per Berlusconi, ne è una dimostrazione chiara. Certo che ci sono dei vecchi antiberlusconiani, compreso il sottoscritto, che portano avanti questa battaglia da tanto tempo, però il nostro intento è quello di non focalizzare l’attenzione esclusivamente su Berlusconi come persona – nonostante lo slogan e la parola d’ordine fosse «Berlusconi dimettiti» – ma su tutti gli aspetti del berlusconismo. Infatti il 5 dicembre sul palco, seppure in poco tempo, abbiamo fatto in modo che non ci fossero interventi politici. È stato uno sforzo collettivo. Abbiamo contattato ciascun relatore e gli abbiamo detto: «La caratteristica di questa iniziativa secondo noi è questa, ci stai a fare un intervento di un certo tipo?». E ci siamo riusciti. (…) Alessandro Tuffu: Faccio un piccolo appunto per quanto riguarda i movimenti. In generale il movimento crea consapevolezza collettiva, questa consapevolezza si trascina nel tempo, nelle persone, nei loro modi di fare, e pertanto non vedo tantissime differenze da questo punto di vista tra chi ha partecipato ai Girotondi e il movimento di oggi. Se non proprio nell’abbassamento dell’età media, nel senso che esiste un gran numero di individui che non hanno o trovano difficoltà a sentirsi rappresentati in una collettività. Questo ha creato disagio nei giovani, come anche in altre fasce d’età naturalmente , ma soprattutto nei giovani che non trovano un interlocutore. Per quanto riguarda i partiti che hanno partecipato che, come abbiamo specificato, erano principalmente due, e se vogliamo minoritari, è stato per loro credo anche naturale affiancarsi a un movimento di questo tipo, l’uno perché molto presente culturalmente nelle lotte sociali, l’altro coerentemente presente per i riferimenti alla legalità. (…) Per quanto riguarda invece il disagio, esso non è solamente relativo alla Costituzione. Non si è portato la sola Costituzione a un tavolo di contenuti o su un palco, ma un disagio collettivo, anzi una molteplicità di disagi. Abbiamo disagi soprattutto per il lavoro, per la mancanza di strutture, per la mancanza di presenza delle istituzioni in alcuni casi, il tutto in un ambito di difesa della Costituzione, che parla di tante cose, parla di legalità, parla di uguaglianza, parla di lavoro.

MicroMega: Anzi, di lavoro ne parla nell’articolo 1.

Tuffu: Ecco cosa ha portato ognuno singolarmente ad aderire in base anche ai propri disagi personali. Adesso si tratta di cercare in qualche modo una continuità rispetto a quello che è stato il 5 dicembre, di creare un pensiero e un movimento comuni.

(…)

MicroMega: Affrontiamo la questione del rapporto fra movimento e partiti/elezioni. Chi deve decidere sulle opzioni del movimento, e tali opzioni devono essere vincolanti? Quanto alle opzioni (…): estraneità totale, «per noi alla fin fine i partiti sono tutti uguali». Oppure: i partiti non sono tutti uguali ma noi non crediamo che si possa cambiare le cosedando importanza al momento elettorale. Oppure, totale estraneità ai partiti nel senso della partecipazione alle liste, ma un appoggio mirato e selettivo ai partiti che hanno preso posizione coerente in parlamento sulle questioni per le quali il movimento si batte. Oppure, chi non vuole partecipare al momento elettorale non partecipa, ma chi vuole partecipare partecipa, anche come candidato. Oppure, ulteriore passo, pensiamo che i partiti, anche i meno lontani, non siano credibili per mancanza di coerenza fra il dire e il fare, per cui preferiamo appoggiare delle liste civiche che nasceranno, purché condividano alcuni valori, e ci sarà qualcuno di noi che entrerà come candidato. Oppure, passo ulteriore di massimo coinvolgimento, delle liste viola, direttamente di movimento. (…)

Mascia: L’atteggiamento che abbiamo tenuto fino ad ora – e che ha caratterizzato la stessa manifestazione del 5 dicembre – è stato quello di dire: «I partiti esistono, noi non siamo contrari ai partiti, ma siamo estranei ai partiti». (...) Secondo me dovremmo agire come una specie di lobby. Il 5 dicembre sono venuti tanti parlamentari; noi dovremmo dire: «Non pensate di essere passati di qua per fare una passerella davanti alle televisioni, vogliamo impegni precisi! Impegni precisi sulle nostre parole d’ordine, cioè sul “Berlusconi dimettiti” o comunque sul riconoscimento dell’anomalia italiana». Ciò significa che se per esempio domani ci fossero le elezioni noi dovremmo fissare tre temi, tre punti – uno dei quali dovrebbe essere senza dubbio la legge sul conflitto di interessi – e chiedere alle forze politiche di inserirli nel loro programma. Dobbiamo mettere in campo tutta la forza della nostra comunicazione, tutto il peso del Popolo Viola nella rete. Credo che i tempi siano ancora troppo immaturi per modalità diverse da queste nell’interlocuzione con le forze politiche. L’unica spinta che potrebbe davvero accelerare una maturazione verso altre forme di utilizzo della rappresentanza – un utilizzo meno mediato e più diretto da parte del movimento – sarebbe data proprio dalle dimissioni di Berlusconi. (…)

Mazza: Sin dall’inizio questo movimento ha rappresentato il superamento delle classiche dinamiche di partito. Noi non abbiamo cercato interlocutori tra i partiti: sono i partiti che hanno deciso di aderire alla nostra manifestazione. Qualsiasi altro discorso sui rapporti tra noi e i partiti credo debba essere spostato più in là. Non è il momento di affrontare certi discorsi.

De Santis: Credo che non rientri nello spirito di questo movimento l’idea di creare liste o addirittura un «partito viola». Quando penso al Popolo Viola io lo immagino un po’ come un’università prestigiosa, per esempio Harvard. Se uno si laurea ad Harvard, è molto probabile che sarà un bravo professionista. Allo stesso modo, una persona che si forma con una cultura e una sensibilità del Popolo Viola, in qualunque partito vada spero possa essere un politico prestigioso. Non mi sentirei di qualificarci con un’ideologia politica precisa. (...) Quando io come cittadino-elettore voto un politico che sposa l’idea del viola, mi aspetto che tenga fede a quell’idea e la porti avanti all’interno della propria collocazione ideologica, qualunque essa sia. Io non sono contraria alle connotazioni ideologiche. Anzi, credo che al giorno d’oggi sarebbe positivo se tornasse un po’ di sana demarcazione fra le opzioni politiche. Con il bipolarismo abbiamo assistito alla progressiva omologazione dei programmi politici e questo non è certo un bene per la democrazia. (…)

Tuffu: Rispetto alle varie alternative che ci sono state prospettate poco fa, io credo che tutti qui possiamo essere d’accordo su un punto. E cioè che non vogliamo diventare un partito o una lista. Il nostro problema, oggi, è prima di tutto quello di tutelarci dal rischio che qualcuno si appropri del movimento per portare avanti le proprie campagne. Questa è la nostra priorità. In secondo luogo credo sia fondamentale tenerci alla larga dai meccanismi partitici. (...) Le elezioni non ci sono ogni giorno. Cristallizzarsi in una lista o in un simbolo significa marcare il movimento con quel simbolo per tutto il periodo precedente e successivo ad una determinata tornata elettorale. E questo ci impedirebbe di svolgere quel lavoro quotidiano che dobbiamo portare avanti, pronti ad avere diversi interlocutori a seconda delle battaglie sulle quali di volta in volta vogliamo spenderci.

Toscano: La riflessione sulle forme politiche che il movimento può assumere, rimanda all’interrogativo di fondo: cosa intendiamo quando parliamo di movimento? (…) Perché la signora X e il ragazzo Y sono scesi in piazza? Perché si sono detti: non ce la facciamo più a vedere un presidente del Consiglio che continua ad attaccare i poteri istituzionali, che controlla l’informazione, che attraverso le sue televisioni porta avanti una «politica distrattiva» nei confronti del paese e pratica il killeraggio giornalistico attraverso i giornali di sua proprietà. Detto questo, non so se ricordate la campagna ‘Vuoi vedere che il paese cambia davvero?’ (di Rifondazione, ndr). Secondo me lì c’era questo tentativo di dire: ok, io entro all’interno della coalizione e porto con me tutta la forza e le istanze che ho recepito dal movimento. Quella era una modalità corretta di intervenire sugli orientamenti culturali di questo paese . Poi, certo, il tentativo è fallito anche perché hanno pesato altre dinamiche interne, fra le quali certi strascichi ideologici…

MicroMega: Perché Bertinotti amava troppo Bruno Vespa e il salotto della signora…

Toscano: Esatto, e la sua carica di presidente della Camera… Però io qui voglio riferirmi a quello spirito che ha portato Rifondazione ad unirsi all’Ulivo. Un altro esempio recente ci può essere fornito dal movimento che si è sviluppato in Svezia in difesa dell’informazione sul web: i piraten. (…) Come possiamo farlo? Dobbiamo eleggere qualcuno di noi al parlamento europeo. E questo hanno fatto. (…) E in un’ottica di lungo periodo secondo me questa potrebbe essere una soluzione. Tuttavia nell’immediato ritengo che occorra lavorare sugli orientamenti culturali del paese, far sì che tutti condividano l’idea del rinnovamento. Allo stato attuale, lo dico amaramente, da ex elettore di Rifondazione, il Pd è l’unica forza che può sobbarcarsi questo compito. Non può farlo la sinistra radicale, non può farlo l’Italia dei valori, che è una formazione dalle connotazioni populiste. (…)

MicroMega: Non per contraddirti, ma non capisco, tu fai due ipotesi in alternativa, o che si assommano? Cioè, uno, i piraten…

Toscano: Sì.

MicroMega: Che è una lista autonoma. E uno invece il Pd.

Toscano: Si potrebbe trovare un punto d’incontro in questo percorso.

(…)

Tuffu: È giusto pensare ad un momento di confronto nazionale nelle prossime settimane dove stabilire le linee guida per il futuro; ma intanto tutti i giorni dobbiamo fare qualcosa, perché i tempi non possono essere così dilatati. Qui ogni giorno succede qualcosa, spesso di molto grave, che ci impone continuamente delle scelte, come singoli e come gruppo. Quindi ben venga la riflessione collettiva, ben venga l’assemblea, ma nel frattempo muoviamoci. Il movimento ha bisogno innanzitutto di…

De Santis: Di movimento…

Tuffu: Di movimento, appunto. Di iniziative continue. E poi abbiamo la «fortuna» che certamente, in questo paese, le sollecitazioni esterne in grado di innescare una reazione non mancano. Ogni giorno c’è qualcosa che ci spinge ad intervenire e a fare di più.

MicroMega: Con questo appello, che il movimento deve innanzitutto fare movimento, possiamo concludere, perché ci ricorda la cosa essenziale, che solo finché c’è lotta c’è speranza.

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