lunedì 21 dicembre 2009

OCCHIO AL GOVERNATORE

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 20 dicembre 2009

di Marco Lillo
(Giornalista)


Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare e il presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo non appartiene certamente alla categoria delle mammolette. Ieri in un’intervista a Carmelo Lopapa di Repubblica ha lanciato l’allarme: “stanno cercando di abbattermi con ogni mezzo. Con la politica hanno capito che sarà dura. Non ho paura, vado avanti determinato, ma temo questo clima da istigazione all’odio nei miei confronti. Qui non siamo a Milano, dove al massimo ti tirano una statuetta del Duomo. In Sicilia, purtroppo, i nemici vengono abbattuti anche a cannonate. Qui si spara”. La dichiarazione merita un approfondimento perché proviene da un personaggio che conosce bene gli umori della Sicilia profonda e anche perché stavolta gli istigatori sarebbero addirittura i politici più importanti del centrodestrasiciliano.

Lombardo drammatizza un po’ ma effettivamente in Sicilia si sta giocando una partita durissima che vede fronteggiarsi due sistemi di potere contrapposti: da un lato gli autonomisti capeggiati da Lombardo e dal sottosegretario all’economia del Pdl Gianfranco Micciché e dall’altro i cosiddetti “lealisti” appoggiati dal Pdl centrale: Renato Schifani e Angelino Alfano. In palio, più che il Governo della Regione siciliana, c’è il controllo del centrodestra siciliano. Raffaele Lombardo ha appena dichiarata “dissolta” la maggioranza che faceva perno sul Pdl e sta per ripartire depurando la sua giunta datutti gli assessori fedeli a Schifani per andare avanti con la benedizione del Pd insieme ai suoi fedelissimi. L’obiettivo è quello di spaccare sinistra e destra lungo una faglia trasversale che non ha nulla a che vedere con le categorie politiche nazionali per proporre tra qualche anno agli elettori una forza autonomista che solletichi l’orgoglio siciliano.

“Il Governo dei migliori” lo ha ribattezzato Gianfranco Micciché. Il Pd, e in particolare Giuseppe Lumia, ci credono anche se nella versione minimalista del “Governo dei meno peggio”. Per capire quello che sta accadendo non ha alcun senso guardare alle formule e ai programmi ma aiuta molto di più rileggere la storia personale dei protagonisti.

Raffaele Lombardo è un vecchio arnese della prima repubblica che ha fatto del radicamento territoriale e del clientelismo la base della sua scalata alla politica nazionale. Arrestato per un’indagine sui concorsi truccati, nel 1992 sembrava avere chiuso la carriera dopo la condanna in primo grado. La corte d’appello ribaltò però il verdetto rimettendolo in pista. Medico psichiatrico forense, con meticolosa precisione, ha costruito un rapporto con i suoi elettori basato sulla soddisfazione dei bisogni degli elettori da parte della sua segreteria e dei patronati (meccanismi mostrati in un servizio memorabile di Exit su La sette). Nel 1994 fu arrestato una seconda volta per un appalto vinto dall’ex presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini pagando una mazzetta. Pellegrini patteggiò ma il reato fu trasformato da corruzione in finanziamento ai partiti e finì prescritto. Da queste vicende Lombardo è uscito con il timbro della vittima e un risarcimento per ingiusta detenzione. Nel 1999 il medico di Catania entra nell’Europarlamento con il Ccd di Casini e nel 2003 viene eletto alla presidenza della provincia di Catania. I suoi voti sono decisivi sotto l’Etna ma Catania gli va stretta. I colonnelli di Casini in Sicilia vorrebbero rimetterlo in riga ma lui reagisce con la sua forza di sempre: i voti. Nel 2005 chiude con l’Udc e fonda il Movimento per l’Autonomia, decisivo con il suo 20 per cento a Catania, ma prezioso anche alle elezioni nazionali. L’asse siciliano con Cuffaro regge fino alla staffetta alla guida della Regione. Appena prende le leve del potere, Lombardo sostituisce gli uomini del suo ex alleato e la luna di miele finisce. Abbandonato da Cuffaro un anno fa, Lombardo si appoggia all’altro uomo forte del centrodestra isolano: Gianfranco Micciché. I due hanno in comune il radicamento territoriale e la deriva autonomista, che nel lontano 1993 era appoggiata anche dalla mafia. Dietro Micciché e la sua operazione autonomista si vede il profilo di Marcello dell’Utri, anche lui insofferente verso i maggiorenti romani che gli preferiscono Michela Brambilla, con i suoi circoli e le sue calze autoreggenti.

Fino a pochi anni fa nessuno avrebbe osato contraddire Marcello e Gianfranco ma Micciché è indebolito dagli scandali (dopo il caso del pusher al ministero nel 2003, l’anno scorso il suo autista è stato fermato con una busta piena di cocaina) e anche Dell’Utri deve difendersi dalle accuse di mafia. Così a Roma l’asse istituzionale Alfano-Schifani per la prima volta ha osato alzare la testa.

I due politici nazionali però non hanno radicamento territoriale e potranno vincere la battaglia solo se Silvio Berlusconi si deciderà a scendere in campo al loro fianco nella terra degli infedeli. Intanto a dare man forte allo schieramento dei siciliani del Pdl delusi dalla politica nazionale è arrivato un alleato sorprendente: Giuseppe Lumia. Appena sconfitto alle elezioni per nominare il segretario del Pd siciliano, l’ex presidente dell’Antimafia ha deciso di appoggiare questo mix di orgoglio e risentimento tipicamente siciliano che sta per prendere in mano il Governo dell’isola.

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