del 17 novembre 2009
di Massimo Fini
(Giornalista)
Sancire attraverso il frettoloso diktat di un disegno di legge che il processo penale non possa durare più di sei anni è pura follia. Per centrare un simile obiettivo occorre una riforma organica che comporta uno studio approfondito (per sostituire il vecchio Codice di procedura penale uno stuolo di giuristi, capitanati da Gian Domenico Pisapia, ci lavorò per due lustri), perché non si tratta semplicemente di dare maggiori risorse finanziarie all’Ordine giudiziario, di organizzare meglio gli uffici, di informatizzarli, ma è essenziale snellire e smagrire drasticamente il processo che attualmente prevede possibilità pressoché infinite di ricorsi, di contro-ricorsi, di impugnazioni, di eccezioni, di rinvii, di incompetenze (per territorio, materia, funzione), molto spesso di valore puramente formale, il tutto spalmato su tre gradi di giudizio dove anche l’ultimo, quello della Cassazione, che dovrebbe limitarsi a un mero controllo di legalità, è diventato anch’esso, attraverso il grimaldello della coerenza della motivazione col dispositivo, un giudizio di merito. Tutti gli altri paesi hanno un solo grado di merito. Noi, in pratica, ne abbiamo tre. La presunzione di innocenza dovrebbe fermarsi al primo grado, o quantomeno al secondo, per diventare poi una più ragionevole presunzione di colpevolezza, altrimenti il sacrosanto principio della presunzione di innocenza “fino a condanna definitiva” si trasforma, come è avvenuto tante volte in questi anni attraverso la prescrizione, in una sostanziale impunità.
Senza questo repulisti preventivo non si avrà il “processo breve”, si avrà un processo che non potrà mai arrivare a definizione, un processo nullo senza per questo essere inesistente perché comporterà un dispendio enorme e inutile di energie, economiche e personali. Scardinare, in nome del “processo breve”, un intero impianto penale, senza aver prima apprestato le misure necessarie a renderlo tale, per le esigenze di una sola persona che, in contrasto col principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, pretende di sottrarsi ai processi che lo riguardano, raddoppia questa follia. Il disegno di legge è infatti tagliato su misura per i reati imputati a Berlusconi. Così reati gravi e gravissimi come la corruzione, la frode fiscale, gli omicidi colposi dei medici, l’aggiotaggio, le truffe ai servizi sanitari e, naturalmente, la corruzione in atti giudiziari (che è al centro del processo per cui è stato condannato Mills) cadranno sotto la mannaia dell’impossibilità pratica di esaurirli in sei anni. Mentre per il borseggio su un autobus, per una truffa di pochi euro sul “gratta e sosta”, per il reato contravvenzionale di immigrazione clandestina, si potrà andare avanti a oltranza.
Ma in realtà il disegno di legge sul “processo breve” non fa che accentuare, e rendere per così dire ufficiale, una tendenza in atto da quindici anni, da quando, dopo la bufera di Mani Pulite, ebbe inizio la “restaurazione”. La tendenza cioè a instaurare in Italia un doppio diritto pena-le: uno per i reati da strada, che sono quelli commessi dai poveracci, e un altro per i reati finanziari, per la corruzione, per la concussione, che sono quelli commessi dai politici e dai “colletti bianchi”. Per questo secondo tipo di reati, il cui accertamento è già di per sé molto complesso, si è inzeppato il codice di un tale numero di norme cosiddette “garantiste” da rendere il processo ancora più lungo di quanto lo sia normalmente in modo da essere pressoché certi di arrivare alla prescrizione i cui termini sono già stati dimezzati dalla legge detta ex Cirielli. In pratica si è garantita a “lorsignori” l’impunità. Per i reati da strada invece non solo le pene si sono fatte sempre più dure, ma queste facce da culo del centrodestra, così “garantiste” con i colletti bianchi, pretendono che gli autori vadano in galera subito, prima del processo, attraverso la carcerazione preventiva. Dimenticando disinvoltamente, i “garantisti” dalla doppia morale, che la carcerazione preventiva, proprio in base al principio della presunzione di innocenza, non è un anticipo di pena, ma può essere disposta solo in presenza di precise esigenze : 1)Pericolo di fuga; 2) Pericolo di reiterazione del reato; 3) Pericolo di inquinamento delle prove.
Questa disparità di trattamento viene giustificata col fatto che i reati da strada creano un particolare “allarme sociale”. Ma qui bisogna intendersi sul concetto di “allarme sociale”. Lo scippo a una vecchietta è certamente odioso e crea allarme sociale. Ma una bancarotta può mettere sul lastrico cento vecchiette. La vera differenza è che i reati da strada sono solo più evidenti, mentre quelli dei “colletti bianchi” sono più nascosti, più subdoli e anche più facili e più vili, ma non sono per questo meno gravi, anzi spesso lo sono di più anche perché, essendo sistematici, inquinano e corrodono la legalità di un intero paese.
In realtà questa doppia legislazione che si sta affermando in Italia, che si è anzi già affermata anche se il progetto del “processo breve” non andasse in porto, non ha giustificazione né legittimazione alcuna. È solo la vecchia, cara, infame giustizia di classe.
www.massimofini.it
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