del 8 novembre 2009
di Nando Dalla Chiesa
(Scrittore)
“Da grande mi piacerebbe fare il contrabbandiere. Così guadagno bene, mi compro la motocicletta e non devo faticare troppo”. Scritto su un tema in classe, con la massima innocenza. Brindisi, scuole medie, quartiere Perrino, uno dei più degradati della città. Piccolo segno di un pericolo perennemente in agguato. Perché qui il contrabbando è sempre stata una delle attività più redditizie e allettanti per giovani senza lavoro. Ovvio, in un porto proteso verso l’Albania, la Grecia e i Balcani; cavallo di Troia negli anni passati per una criminalità pronta a tutto, con campi di azione che andavano dalle campagne dell’interno fino al Montenegro.
Per fortuna (ma sarebbe meglio dire grazie alla magistratura e agli investigatori pugliesi) non è accaduto quel che solo dieci anni fa sembrava inevitabile: la trasformazione della regione in una nuova Campania, terra di conquista per camorra e Sacra Corona Unita. Quel che non si sa però è il ruolo che in questa sfida tra il sud della Puglia e la criminalità ha giocato proprio la scuola. Che a Brindisi ha fatto quel che nessuno si sarebbe mai aspettato. In una città dove la sinistra non ha quasi mai brillato, dove non esisteva un movimento degli studenti, ci hanno pensato degli insegnanti a costruire una linea di resistenza, la straordinaria Maginot della scuola pubblica. Insegnanti di liceo, di istituti tecnici e professionali, della scuola dell’obbligo - elementari comprese -, uniti nel costruire un fitto reticolo di iniziative per promuovere tra i propri studenti e nella provincia intera gli anticorpi civili della democrazia.
Chissà come sarebbe andata se proprio a metà degli anni novanta la scuola brindisina non avesse avuto quell’eccezionale colpo di reni che portò in città Gherardo Colombo e Pino Arlacchi, Carlo Smuraglia ed Enzo Macrì. Ora i piccoli segni che tornano, i temi, le frasi smozzicate orecchiate in aula e nei corridoi, il clima generale del paese, hanno indotto quegli insegnanti e altri che allora non c’erano a lanciare una nuova mobilitazione. Ad aprire, per usare le loro parole, una fase 2 nella didattica antimafia. E questa settimana, sotto una scarica infinita di acquazzoni che facevano livido il mare dentro il porto, è partito il nuovo seminario di formazione per docenti. Andrà avanti tutto l’anno, ci si sono iscritti circa centocinquanta insegnanti. Come non accade a Roma o a Milano. E come accade raramente a Napoli o Palermo. Nando Benigno, atipica figura di professore di filosofia e oste, ora in pensione ma ben combattivo con la scuola di formazione politica Antonino Caponnetto, ha spiegato venerdì ai suoi colleghi il senso di questa nuova fase. “Siamo qui”, ha detto nell’aula magna del Liceo Scientifico “Monticelli” dedicata a Mauro, un allievo della scuola ucciso dai clan negli anni novanta, “perché in questo periodo sono cambiate troppe cose. Soprattutto dobbiamo fare i conti con i modelli di vita promossi per quindici anni dalla televisione, e con i messaggi che giungono ogni giorno dalle istituzioni”. Accanto a lui annuivano Raffaella Argentieri docente di italiano e storia al Geometri “Belluzzi” e Sandro De Rosa, critico letterario in forza al Monticelli, tutti e due storici esponenti brindisini delle striminzite truppe della legalità. Di fronte a loro, mentre si stagliava sullo sfondo la sagoma di un maresciallo dei carabinieri, si allineavano volti anonimi ma densi di storia. Quello di Elvira Dalò, per esempio, quasi una veterana della lotta al bullismo, quartiere Cappuccini-Santa Chiara, studi da pedagogista. Ora fa la dirigente scolastica ma continua a seguire personalmente gli incontri “di mediazione ” con i ragazzi -per affermare l’importanza delle regole- o i programmi di cura del verde. Oppure i volti giovani di tre professoresse della Kennedy-Mameli. “Certo, lo sappiamo, è un’esperienza in controtendenza rispetto all’antipolitica, la nostra: quella del consiglio comunale dei ragazzi. Un sindaco e degli assessori eletti dagli studenti, che sono andati anche in Municipio, quello vero, a esporre il loro punto di vista sulla città agli amministratori”. Retorica? Solo chi non conosce lo stato di abbandono e di degrado di tanti consigli comunali del sud lo può pensare.
Ecco poi il progetto Leges, un osservatorio provinciale sulla legalità. Ne fa parte Anna Rosa Lezzi, del Tecnico Industriale Majorana. Si ritrovano insieme dalle elementari alle superiori, lavorano con assistenti sociali per contrastare il bullismo, cercano di valorizzare le buone pratiche giornaliere (pagare il biglietto dell’autobus, rispettare l’arredo pubblico) e di fare incontrare i ragazzi con esponenti delle forze dell’ordine in grado di comunicare loro la forza dell’esempio.
Ma forse il progetto che dipinge meglio i lavori in corso è quello raccontata da Alessandra Lo Tesoriere, Liceo scientifico “Epifanio Ferdinandi” di Mesagne, una specie di Casal di Principe degli anni novanta. “Abbiamo coinvolto le prime classi, sì proprio le prime classi, in un progetto di educazione alla legalità. Abbiamo fatto venire anche personalità come Giuseppe Ayala ed Elio Veltri. Difficoltà con le famiglie? Sì, quando abbiamo portato i ragazzi a visitare i terreni confiscati, quelli in cui lavorano le cooperative. I genitori avevano paura che gli capitasse qualcosa, sa, una volta Mesagne era il cuore della Sacra Corona Unita e ancora l’atmosfera si sente. Invece è andata bene. E anzi, la vuole sapere una cosa? Che proprio i più piccoli, i ragazzi della I° B, oggi in seconda, hanno girato un bellissimo videodocumentario sulla mafia. Ayala quando l’ha visto è rimasto a bocca aperta”.
Ecco, è questo formidabile brulicare di fatti e di idee che si è ritrovato la scorsa settimana a inaugurare la fase 2 della didattica antimafia. Gli ospiti da fuori? Di nuovo Enzo Macrì il magistrato calabrese, ma pure Anna Canepa, magistrata da poco in forza alla Procura nazionale antimafia. E poi Antonella Mascali e Riccardo Orioles, Stefania Pellegrini e don Luigi Ciotti. “Chi c’è dietro di noi? Nessuno,” risponde Nando Benigno, “faremo tutto da soli”. L’idea in ogni caso è di collegarsi con le altre città. Perché qua non c’è da scherzare. Ma nemmeno a Milano”.
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