del 9 novembre 2009
di Liana Milella
(Giornalista)
ROMA - La leggina, perfetta come la vorrebbe Berlusconi, è pronta da tempo. Via un quarto della prescrizione per chiudere definitivamente i suoi processi. E in più di nuovo alla Camera l'emendamento alla Finanziaria, dopo il fallito blitz al Senato, per sanare il caso tributario della Mondadori con una mancia del 5% rispetto ai 200 milioni di euro dovuti. Dietro c'è, come al solito, il suo avvocato e super consigliere giuridico Niccolò Ghedini. E lo scontro con il legalista Fini raggiunge l'apice, com'è successo per le intercettazioni e la blocca processi. Berlusconi utilizza il Giornale, che titola "Chi non ci sta, fuori dal Pdl", esercita una fortissima pressione politica, minaccia di far saltare il tavolo della maggioranza, chiede a Fini e Bossi di sottomettersi e sottoscrivere un accordo di ferro. Vuole vederli tutti e due mercoledì, per un vertice che sia definitivo. Nel quale chiudere la partita della giustizia e delle regionali. Ma Fini non ci sta. Ai suoi dice: "Io di questo vertice non so nulla, nessuno me ne ha parlato". Disgustato per le pressioni veicolate ancora una volta per il tramite di Vittorio Feltri, stoppa pubblicamente in tv le aspirazioni massime del Cavaliere. Glielo dice chiaramente, niente prescrizione breve, perché "non si può togliere al cittadino il diritto di veder riconosciuto in tribunale, anche dopo anni, se ha ragione o ha torto".
A Ghedini lo aveva già spiegato Giulia Bongiorno. Ma loro, Ghedini in testa, hanno continuato a insistere. Un braccio di ferro durissimo, andato avanti per giorni e giorni, con pressioni mai pesanti come in questo momento. La via della prescrizione breve calza a pennello per il Cavaliere. Azzera d'un colpo il processo Mills. Riduce da dieci a otto anni il tempo in cui si può perseguire il reato di corruzione. Gli otto anni sono già passati. Quindi, con questa regola, quel processo, che è il più temuto da Berlusconi, è prescritto. Ma la Bongiorno ribatte che sarebbe "un'amnistia mascherata". Il premier forza la mano. E, nelle stesse ore, al Senato, manovra per inserire la norma a favore di Segrate, per cui due processi tributari che arrivano in Cassazione con due sentenze conformi a favore dell'imputato possono essere chiusi pagando solo il 5 per cento.
Il Cavaliere non vuole sentire ragione stavolta. Vuole stringere un patto di ferro su giustizia e regionali. Comunque. Per questo ipotizza un "papello per la giustizia", di cui Repubblica scrive già giovedì scorso.
Un "patto di legislatura", un "documento programmatico che avrà la valenza di un atto notarile", sottoscritto dal capo del governo con Fini e Bossi, un "atto politico forte" che chiuda una volta per tutte la querelle sullo scudo per anestetizzare i processi milanesi. Dentro c'è la soluzione della prescrizione breve che i finiani hanno già stoppato. Ma lui insiste. Gli saltano i nervi quando scopre che la Bongiorno s'incontra con il ministro Roberto Calderoli e tutti e due si mettono contro la sua soluzione preferita. Al faccia a faccia è presente Aldo Brancher, da sempre uomo di collegamento tra Lega e Berlusconi, che gli riferisce tutto nei dettagli. Per questo salta il vertice di mercoledì scorso con Fini e Bossi, il Cavaliere tenta con Casini, poi affida al Giornale il suo "ultimatum". Tenterà di forzare di nuovo la mano mercoledì.
Ma Fini lo anticipa e si assume in prima persona la responsabilità di bocciare la soluzione più dura, che salva sì Berlusconi, ma manda al macero centinaia di processi, e su cui il Quirinale ha già pronunciato un secco niet. Apre invece all'ipotesi soft: "Discutiamo della lunghezza abnorme dei processi. Ci sono proposte di legge in Parlamento, anche dell'opposizione". È il disegno di legge del diessino Fassone, vecchio di due legislature, che inaugura il processo breve, non più di sei anni complessivi, poi l'estinzione. Ghedini non è convinto che questo basti per Berlusconi, tant'è sforna l'ultima sua creatura, una prescrizione ridotta tutte le volte che il processo viene interrotto per una sospensione chiesta dalle parti. Ma Fini ha lanciato il suo messaggio: un'apertura all'esigenza giudiziaria del capo del governo ("I suoi processi sono cominciati quando è entrato in politica"), ma l'indicazione netta di una strada da percorrere, il processo breve, che tutti i cittadini potrebbero anche condividere.
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