sabato 21 novembre 2009

LA POLITICA DIFENDE SCHIFANI IL REGISTA DEL PADRINO: SI DIMETTA

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 21 novembre 2009

di Beatrice Borromeo
(Giornalista)


“Se le notizie che mi arrivano dall’Italia sono vere, se la storia di quest’uomo è davvero così, allora è sicuramente improprio per Renato Schifani restare presidente del Senato”, parla Francis Ford Coppola, regista del “Padrino”, il film sulla cupola siciliana che ha cambiato l’immagine della mafia in America.

Tra gli artisti italiani si registrano posizioni anche più dure: “Schifani deve dimettersi. Aver lavorato per dei mafiosi è indegno, soprattutto per portare avanti spregiudicate operazioni edilizie”, dice Franca Rame, già senatrice dell’Italia dei valori e moglie del premio Nobel Dario Fo, dopo aver letto sul Fatto l’inchiesta che ricostruisce gli anni in cui il presidente del Senato era l’avvocato di un esponente di Cosa Nostra. Una storia di quattordici anni fa, senza risvolti penali per Schifani, e per ora senza conseguenze politiche: l’attuale seconda carica dello Stato era il legale di Pietro Lo Sicco, costruttore siciliano poi condannato per mafia, e l’ha difeso davanti al Tar mentre portava avanti abusi e prepotenze nei confronti di persone deboli (le sorelle Pilliu), poi riconosciute vittime di mafia. Nello stesso palazzo (abusivo) di Lo Sicco, si è poi saputo che c’erano nomi noti della cupola: Giovanni Brusca, Stefano Bontate, Leoluca Bagarella. Anche Paolo Borsellino, sei giorni prima di essere ucciso, s’interessò a questo edificio. “Spero che ora che la notizia è uscita, la gente cominci a interrogarsi – dice Daniele Luttazzi , autore satirico e teatrale – perché non bisogna dimenticare che gli avvocati possono rifiutarsi di difendere qualcuno. Si chiama deontologia, è una scelta. I fatti sono due: o Schifani non sapeva, e allora si sarebbe dovuto informare meglio, oppure sapeva. Se io fossi in lui (e per fortuna non lo sono) renderei conto, oggi, di quella storia”. Siamo lontani dall’America di Barack Obama, dove del governo non si fa parte anche solo se nel proprio passato ci sono state amicizie imbarazzanti. S’indigna il grande vecchio del cinema italiano, Mario Monicelli: “La cosa anormale è che Schifani abbia potuto diventare la seconda carica dello Stato. Già questo è al di là di ogni considerazione. Fosse per me, nemmeno deputato, con la sua storia. Ci rendiamo conto che se Napolitano si ammalasse, Schifani prenderebbe il suo posto alla presidenza della Repubblica? Questo è diventato il paese dell’illegalità e della sopraffazione”. Duro anche il filosofo Gianni Vattimo: “Sono così arrabbiato che ormai non me ne importa più niente. Io non sono affatto stupito da questa notizia, è nel normale ordine delle cose. Devo stupirmi se nella maggioranza di Berlusconi c’è l’ex avvocato di altri mafiosi?”. Di parere opposto, molto più moderato, Niccolò Ammaniti, classe 1966, scrittore: “C’è una differenza se Schifani ha difeso dei mafiosi o se era direttamente coinvolto. Se restano situazioni irrisolte, è ovvio che non si debba far parte delle istituzioni. Altrimenti, se non ci sono risvolti penali, non vedo il problema. Se così non fosse, chiunque verrebbe controllato e accusato, potenzialmente, di tutto. Si entrerebbe in una logica da Grande Fratello, anzi kafkiana, che ci toglierebbe la nostra libertà. Tutto è lecito se non c’è un crimine”.

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