del 21 novembre 2009
di Paola Zanca
(Giornalista)
Un avvocato può difendere chiunque. Anche uno che costruisce abusivamente un palazzo su un terreno che non è suo, e che poi verrà condannato per mafia e corruzione. Un avvocato può farlo. E poco importa se poi diventerà presidente del Senato. Parlando con i parlamentari italiani, è difficile scalfire il muro tra la professione di una persona e le ricadute sulle sue responsabilità pubbliche. Quasi impossibile sfatare il mito della “vita privata” diventata alibi per giustificare qualsiasi incoerenza. Soprattutto quando quella vita si è trascorsa in Sicilia . “A Palermo è indiscutibile che esista una zona grigia, che coinvolge le professioni, la borghesia, gli imprenditori e la mafia – dice Fabio Granata, parlamentare siciliano del Pdl – Non ne faccio una questione di merito: Schifani faceva l’avvocato, il punto è chi difende i clan, non chi difende i singoli. Anche Enzo Trantino difese un Santapaola, ma come persona non come esponente della cosca. Sarebbe grave se Schifani intrattenesse rapporti con Lo Sicco adesso, ma all’epoca era ben lontano dal fare politica. Detto questo, rimango dell’idea che chi ha responsabilità politiche e fa il penalista in alcune regioni del sud dovrebbe autosospendersi dall’Albo, come ho fatto io”. Anche un altro avvocato prestato alla politica, il senatore Idv Luigi Li Gotti, è della stessa idea. Lui ha difeso i pentiti Brusca e Buscetta, e pensa che “chi svolge una professione può occuparsi di qualsiasi cliente” e che “non si può costringere un avvocato ad assistere solo alcune categorie di imputati”.
Diversa l’opinione del presidente Idv Antonio Di Pietro, secondo il quale “una cosa è il diritto di un avvocato di difendere i prepotenti, un’altra è che sia indicata come seconda carica dello Stato. Schifani ha messo a disposizione la sua scienza per trovare scorciatoie e cavilli. La politica di Berlusconi – spiega Di Pietro – ha rovesciato i ruoli: i criminali sono diventati vittime, i giudici assassini, i favoreggiatori dei mafiosi parlamentari”. Confida invece “nel garantismo” il deputato Udc Luca Volontè, che non ha nulla da eccepire sul passato di Schifani che “sta dimostrando un comportamento adeguato al suo ruolo istituzionale” e “non ha mai dato adito a sospetti di nessuna natura”. In realtà, non è la prima volta che il presidente Schifani rimane coinvolto in vicende del genere. Lo ricorda l’europarlamentare Idv Luigi De Magistris: “La vicenda non si può ridurre semplicemente al mandato professionale di Schifani ma va inserita in un contesto più complesso che riguarda l’establishment siciliano di Forza Italia: non solo la difesa di Lo Sicco, dunque, ma anche la vicenda societaria che lo ha coinvolto, la figura di Dell’Utri, Mangano eroe...Passaggi significativi non possono essere liquidati come fatti passati, ma che attengono al periodo della nascita di Forza Italia”. Insomma, i trascorsi di Schifani sono una “pagliuzza” a confronto di ben altre travi. Lo sostiene Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera: “Cosa vogliamo dire al povero Schifani, quando Berlusconi si è tenuto in casa per anni una persona che ha commesso due omicidi di mafia ed era referente di Cosa Nostra in Lombardia? Fossimo in un paese normale dovremmo chiederne le dimissioni, ma siamo in Italia e dobbiamo chiederci perché c’è ancora qualcuno che li vota”.
Già, di questi tempi, dice Nando Dalla Chiesa, chiedere le dimissioni sarebbe più che altro “un atto di testimonianza”, ma “ogni volta che le abbiamo chieste, il destinatario ne è uscito rafforzato”. Quel che è certo, spiega Dalla Chiesa, è che la vicenda Lo Sicco non si può giustificare come “una storia vecchia”: “Riguarda gli ambienti che si frequentano, e in questo caso non sono ambienti in odore di, sono il gotha della mafia. Ognuno si sceglie i suoi ambienti e i suoi clienti, ogni avvocato può scegliere di usare il diritto per difendere le persone o per commettere delle prepotenze. Non so se Schifani possa rimanere al suo posto o no – aggiunge Dalla Chiesa – so che rimanendoci indebolisce la seconda carica dello Stato. A tutti coloro che hanno il senso delle istituzioni, vederlo lì fa male”. È uno sfregio all’articolo 54 della Costituzione, dice la deputata Pd Livia Turco, che chiede “prove di specchiata moralità”, ma non pensa alle dimissioni: “Innescherebbero una polemica che alla fine insabbierebbe la questione centrale: non si parlerebbe più della moralità, ma di persecuzione, dell’opposizione che fa politica per via giudiziaria”. “Il punto – dice la Turco – è che non te lo ordina il dottore di fare politica: se scegli di farlo, devi assumere una condotta personale esemplare”. Ne è convinto anche il coordinatore nazionale di Sinistra democratica, Claudio Fava: “In punta di diritto non si può chiedere nulla a Schifani, ma in punta di decenza sì: la trasparenza è un imperativo categorico per il decoro e l’autorevolezza delle istituzioni, anche se non è scritto in nessun codice. Aver scelto di difendere personaggi che hanno avuto ruoli pesanti nella storia di Palermo la considero una coincidenza che non dà lustro alla seconda carica dello Stato, che dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto. Ma non mi faccio illusioni”. In fondo, era solo un avvocato.
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