del 5 dicembre 2009
di Stefano Ferrante
(Giornalista)
Berlusconi entra nella sala del Consiglio dei ministri con un sorriso d’ordinanza, scolpito. Scherza con tutti, come al solito, ma è turbato, nervoso. L’udienza di Torino deve ancora iniziare e la tensione è altissima. Così il premier esordisce attaccando Annozero: “Sono andati in Inghilterra a cercare Mills, hanno realizzato addirittura un film in una trasmissione. È ora di finirla con queste messe in scena, questi processi mediatici…”. Il pensiero dominante del premier però è per un processo vero, per la deposizione di Spatuzza. Berlusconi sbotta: “Nessuno può credere a quelle assurdità. Io il capo della mafia? È una macchinazione”. Poi si rivolge al ministro dell’Interno Maroni e gli chiede di elencare i risultati del governo nella lotta alla mafia. E Maroni, diligente, inizia a snocciolare l’elenco di arresti e sequestri. Ma quando gli comunicano che Spatuzza sta per iniziare a parlare il premier ha uno scatto d’ira. Esce dalla stanza, e decide di andare di corsa a Palazzo Grazioli con Paolo Bonaiuti e Gianni Letta per seguire la diretta della deposizione del pentito. Aveva già deciso di annullare il previsto viaggio in Calabria, per assistere alla caduta dell’ultimo diaframma di una galleria dell’autostrada. Meglio evitare, alla vigilia del No B. Day, ogni rischio di contestazione, ora che per la prima volta i sondaggi riservati lo danno in consistente calo di consenso; meglio ascoltare Spatuzza, cercare di capire le mosse giuste per evitare di finire schiacciato nella morsa dei processi. Per questo accorre subito a Palazzo Grazioli anche l’avvocato-deputato Niccolò Ghedini. Dopo un po’ fa capolino anche Ignazio La Russa. La presenza del ministro della Difesa è un segnale politico, la dimostrazione tangibile che anche gli ex aennini sono con il premier, che la pace di Natale con i finiani è a portata di mano. Man mano che la deposizione di Spatuzza va avanti Berlusconi va in ebollizione. Si gira più volte verso Ghedini. “Dobbiamo fermare questo schifo, ora basta!” – tuona. Ghedini annuisce, prende nota delle parole di Spatuzza. Poi finite le dichiarazioni del pentito il premier fa il punto. Bonaiuti è incaricato di gestire l’aspetto mediatico. La parola d’ordine è: “Nessun governo ha fatto quanto noi contro la criminalità organizzata”. Ghedini invece deve continuare a occuparsi della vera partita, la soluzione del rebus giustizia.
Il processo breve è in pista, ma la strada è accidentata, l’iter rallentato. La sponda del Pd, diviso, sulla riforma della giustizia è assai improbabile e difficile così come il dialogo con l’Udc, ormai candidata a diventare punto di riferimento della magistratura delle correnti più moderate. Berlusconi, poi, resta diffidente nei confronti del Quirinale. Così Ghedini dovrà presto intraprendere una nuova battaglia, quella della legge sul legittimo impedimento – il disegno di legge firmato dal leghista Brigandì – che dovrebbe rendere più semplice per il premier giustificare le assenze ai processi per ragioni istituzionali puntando così alla prescrizione. Una soluzione che sarebbe considerata dai magistrati un male minore rispetto al processo breve. Ghedini conta di emendare il testo in Parlamento in modo che i centristi e una parte del Pd non facciano barricate. La bruciatura del lodo Alfano è recente, i timori di un nuovo colpo di mannaia della Consulta sono da dissipare. Ma l’imperativo per Berlusconi è fare in fretta. Quando Bonaiuti gli dice che saranno ascoltati anche i Graviano, il premier ha un nuovo scatto d’ira. Chiama Ghedini, si sfoga di nuovo: “Perché non siamo riusciti a fermarli prima?”. L’avvocato del premier prende carta e penna per annunciare: “Siamo pronti ad azioni giudiziarie contro Spatuzza”. In fondo per Berlusconi l’unica buona notizia sono le parole di Fini sul pentito: “Senza riscontri rigorosi, le accuse restano soltanto parole”. Forse su questo fronte la tregua è possibile.
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