del 3 gennaio 2010
di Marco Travaglio
(Giornalista)
Con ‘sta pioggia e con ‘sto vento, chi è che bussa al suo convento? Bartolo Pellegrino, già vicepresidente della Regione Sicilia e assessore della giunta Cuffaro, ex socialista, ora leader di “Nuova Sicilia” (per distinguerla da quella vecchia), celebre per una telefonata intercettata in cui dipingeva un tizio che aveva parlato coi carabinieri come uno che “fa l’infame con gli sbirri”, poi arrestato a Palermo per concorso esterno in mafia e corruzione, infine assolto dalla prima accusa e salvato dalla prescrizione per la seconda, ma sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di firma perché “soggetto pericoloso”. Lo statista trapanese ha fatto una capatina ad Arcore per gli auguri di fine anno al premier convalescente. Ma la Presidenza del Consiglio precisa sdegnata: “Non è assolutamente vero che il presidente Berlusconi abbia ricevuto l’onorevole Pellegrino”: il suddetto “si è recato ad Arcore, ha chiesto di incontrare il presidente Berlusconi, che però era impegnato e non l’ha ricevuto. Pellegrino non è nemmeno entrato nella residenza”. Ecco. Non che il capo del governo ritenga sconveniente ricevere un sorvegliato speciale: era semplicemente in altre faccende affaccendato e possiamo immaginare quali (che avete capito: era al centro commerciale a comprarsi una faccia nuova). Non abbiamo motivo di dubitare della versione di Palazzo Chigi. Sia per la proverbiale sincerità del premier, che mai mentirebbe al Paese. Sia perché Pellegrino è sprovvisto dei requisiti minimi per accedere alla reggia: infatti è stato assolto dall’accusa di mafia, dunque è inaffidabile. Fosse stato condannato in tribunale come Dell’Utri, l’avrebbero fatto entrare. Ma per gli assolti non c’è posto: c’è un limite a tutto, perdìo. Chissà cos’è saltato in mente a un politico navigato come il povero Bartolo di lasciare il sole della Sicilia e percorrere 2mila chilometri per sfidare le brume e le nevi della Brianza, presentarsi a sorpresa al cancello di Arcore, suonare il campanello e vedersi respingere, insalutato ospite, dallo sgarbato padrone di casa. Forse, sopravvalutandosi, aveva pensato: se lì ha risieduto per due anni un mafioso camuffato da stalliere, un posticino lo troveranno anche per me. O contava di mescolarsi all’incessante pellegrinaggio di pregiudicati, inquisiti, papponi ed escort che tradizionalmente allieta le residenze presidenziali. O pensava che aver definito “sbirri” i carabinieri e “infami” quelli che ci parlano gli valesse la fama di eroe già tributata dal premier all’impavido Mangano. O si era lasciato illudere dal clima festoso che in Lombardia circonda Craxi e i suoi cari accusati di tangenti: non che pensasse di meritare addirittura una strada, una piazza, un giardino, ma in un tetto e in un pasto caldo ci sperava. Invece niente. Quando l’usciere gli ha chiesto la parola d’ordine (“Quante condanne, figliolo?”), ha allargato desolatamente le braccia: “Nessuna, per la mafia mi hanno assolto. Però ho una prescrizione per corruzione e un obbligo di firma”. E l’altro: “Eh, dotto’, dicono tutti così. Sapesse quanti prescritti vorrebbero entrare. Spiacente, ma senza condanne non si va da nessuna parte”. Respinto con foglio di via come un clandestino e costretto a dormire all’addiaccio come un terremotato. Resta da capire perché il piccolo fiammiferaio abbia dichiarato ai carabinieri (pardon, agli sbirri) del suo paese e di Arcore di essere in missione per portare gli auguri al Presidente, se nemmeno l’aveva avvertito. Forse ci teneva tanto a visitare comunque la ridente località brianzola, piena di attrazioni turistiche e ricca di capolavori d’arte. O forse voleva evitare la figuraccia. O magari nella tenuta è riuscito a entrare davvero, ma dalla porta di servizio, accolto segretamente da James Bondi che l’ha poi ricoverato nelle scuderie travestito da stalliere. Al Cavaliere, quando l’ha scoperto, è parso di tornare bambino: l’ha persino perdonato per quella brutta assoluzione.
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