venerdì 13 novembre 2009

L’IO DI MISTER B.

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 13 novembre 2009

di Bruno Tinti
(Ex Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino)


Thomas Stearns Eliot scrisse, mi pare negli anni Trenta, un dramma “Assassinio nella cattedrale”, ripreso poi da Jean Anouilh negli anni Cinquanta (Becket et l’honneur de Dieu); ne fecero anche un bel film con Richard Burton e Peter O’Toole: “Becket e il suo Re”. Era la storia di Enrico II di Inghilterra e del suo amico, compagno d’armi, di bevute e di donne, Thomas Becket che il Re pensò bene di nominare arcivescovo di Canterbury e dunque capo della Chiesa anglicana. Confidava, Enrico, che il suo amico lo avrebbe aiutato a sottoporre la chiesa ai suoi voleri. Becket però, una volta divenuto arcivescovo, fece “onore” al suo ruolo e difese la chiesa contro il Re; ragion per cui venne ucciso da alcuni baroni proprio nella cattedrale di Canterbury. Una bella storia, come ho detto, che ha a che fare, più che con Dio, con l’onore degli uomini. Ho pensato a questa storia quando, alla fine di uno dei dibattiti a cui talvolta mi invitano, mi hanno chiesto per l’ennesima volta se non pensassi che c’era poco da lamentarsi della nostra classe dirigente visto che essa era l’espressione del popolo che la votava; insomma, tali i cittadini, tali i loro governanti: abbiamo il governo che meritiamo. In genere rispondo a questa osservazione tirando in ballo la mancanza di cultura e di informazioni, il conflitto di interessi irrisolto che attribuisce a Berlusconi il controllo delle televisioni, la mafia e il suo controllo del territorio in 4 grandi regioni; e non ho mai l’impressione di dare una risposta soddisfacente. Finché non mi è venuto in mente Becket.Questo guerriero gaudente e valoroso non aveva nessuna voglia di fare l’arcivescovo; e lo fece solo perché glielo chiedeva il suo amico, il Re Enrico. Ma poi si accorse che il mantello di un arcivescovo non era solo un indumento diverso dalle sue giacche di seta e di velluto, era il simbolo di un nuovo ruolo e, soprattutto, di nuove responsabilità. E il suo onore (per questo è bella la commedia di Anouilh) non gli avrebbe permesso di sottrarvisi. Così fece quello che doveva. E poi morì.

Ecco, mi è venuto in mente che non ha molta importanza chi o cosa fossero i componenti della nostra classe politica prima di essere eletti. Tutti avranno avuto le loro debolezze: gli uomini non sono perfetti e hanno spesso comportamenti meschini, egoistici, anche illegali. Poi però qualcuno di loro accetta un incarico politico: “Serve” il suo paese. Ed è questo che deve renderlo diverso da ciò che era, la responsabilità. I bambini se lo attendono dai genitori, gli studenti dai loro maestri, il popolo da chi lo governa. Sotto questo profilo dunque nessun paese ha “la classe dirigente che si merita”. Se è questa che non riesce a sollevarsi sopra il livello etico e politico del paese che l’ha espressa; se non riesce ad essere di guida e di esempio, il fallimento è suo. Così, quando Berlusconi pronunciò la sua celebre (e confessoria) frase: ”Il popolo italiano sapeva chi ero; e mi ha votato”, ammise esplicitamente il suo fallimento. Perché poteva anche esser possibile che una parte dei cittadini (nemmeno tanto grande, fatti i debiti conti si era intorno al 28 per cento) lo avesse votato perché si riconosceva nelle sue peggiori caratteristiche, la spregiudicatezza, l’egoismo, la superficialità, la volgarità. Ma, una volta indossato il mantello dell’arcivescovo, l’onore gli avrebbe imposto di abbandonare il suo “io” precedente e di servire il paese con fedeltà; il che vuol dire, per prima cosa, nel rispetto della Costituzione e delle leggi del nostro paese.

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