domenica 6 dicembre 2009

“Guardate cosa abbiamo FATTO”

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 6 dicembre 2009

di Federico Mello
(Giornalista)


“Siamo usciti dalla solitudine degli ideali”. É una frase istintiva e caotica come il popolo viola, quella che ci dice Alessandra durante il corteo. Lei ha 26 anni, viene da Sassuolo, ha la pettorina di Steward (sono 150 i volontari come lei) e i capelli tinti di un rosso acceso. Oggi si è data un compito: fare il mastino contro le bandiere dei partiti. Per carità, i partiti, sono ben accetti, ma “avevamo parlato chiarissimo, l’accordo era: le bandiere in fondo al corteo”. Lei, appena ne vede una, parte, e rimprovera militanti che hanno il doppio della sua età con uno sguardo che è commiserazione mista a rimprovero. Ad un certo punto arriva anche il battibecco: “Ragazzina, voi senza di noi non andate da nessuna parte” le fa uno con un vessillo d’ordinanza falce e martello. Alessandra non ci pensa un attimo, e gli grida in faccia con le vene del collo che si gonfiano: “Cosa? Perchè fino ad ora voi dove siete andati?”. Stende il braccio e aggiunge: “In fondo”. Quello rimbrotta ma obbedisce. “Abbiamo lavorato durissimo, tutto deve andare secondo come abbiamo deciso” dice. “Guarda cosa abbiamo fatto. Se penso che davvero tutto e nato da una pagina Facebook non riesco a crederci”. Vorremmo chiederle altro, ma è già ripartita, inghiottita dal popolo viola.

Viola: è questa la parola che riassume meglio di tutte la giornata di oggi. Cinque lettere, e un colore. Un colore che tracima, sotto il sole di Roma fin dalla mattina presto.

Dalle dieci, intorno a Piazza della Repubblica, gruppi sparsi di persone, di ogni età - con i giovani per una volta, maggioranza. Camminano a gruppi. Potrebbero essere turisti, se non fosse per maglioni, sciarpe, calze da donna, cappellini, fermagli per i capelli, del colore del No B. Day.

Viola anche i ragazzi che hanno preso le redini di questa giornata. Tra loro sono tutti diversissimi, e alle undici già al lavoro in Piazza San Giovani. Vorrebbero godere l’aria da evento che si respira, gioire per i passanti che, a decine, si fermano a fare una foto ricordo davanti al palco: quel palco con sullo sfondo Berlusconi con le mani a mitra incorniciato da uno schermo di televisore. Ma non ne hanno il tempo. Troppe le cose da fare, troppi gli ultimi dettagli da mettere al loro posto.

Sara De Santis, 30 anni, una voce allenata dal palcoscenico - di lavoro fa l’attrice - non si ferma un attimo. Bisogna definire ancora la scaletta, prepararsi per la parte artistica che seguirà gli interventi. “Ci sono anch’io sul palco, con il mio gruppo di musica a cappella”. Lei fin dall’inizio ha seguito la parte artistica: ha raccolto l’appello dei “lavoratori della conoscenza” e quello di artisti più o meno noti (tra i primi Ascanio Celestini). Deve riordinare le adesioni e, soprattutto, completare la versione definitiva della scaletta. Il corteo non lo farà: rimarrà in piazza tutto il giorno a seguire la “macchina” .

Anche Gianfranco Mascia, non sta fermo un attimo. Lui è in piazza da “anni”: nel 1994 inventò i comitati “Bo.Bi”, boicotta il biscione. Alle 11 è a San Giovanni, affabile e rassicurante con tutti: un punto di riferimento. Ha 48 anni, e nel pomeriggio in corteo ci va con la figlia di 16. A metà percorso parte un coro: “Uno di noi, Gianfranco uno di noi”. Lui: “È il giorno più bello della mia vita” dice. “Mia moglie è di Madrid, quando ha vinto Zapatero ero tentato di andare in Spagna, ma poi ho pensato che bisogna restare. Resistere, perchè prima o poi le cose cambiano”. E oggi il cambiamento “ce l’ho sotto gli occhi, eccolo”. Ma-scia qualche anno fa ha aperto un’agenzia di comunicazione politica: “Ma alla fine, quando facevo le mie proposte, i partiti non capivano mai in fondo il loro senso. Qua, invece, coi ragazzi, ci siamo trovati e confrontati costantemente. Ognuno ha imparato dall’altro. É l’intelligenza collettiva, viva e ricca che covava sotto le ceneri in giro per l’Italia e oggi si è ritrovata”.

El Griso, Giuseppe Grisorio, invece, uno dei portavoce, è arrivato a Roma con la fidanzata. Sono tutti e due di Bari, lei è agli accrediti stampa, lui è una trottola impazzita che va su e giù da Piazza San Giovanni a Piazza delle Repubblica. “Glielo ho detto al mio ex datore di lavoro: ‘tu mi hai lasciato a spasso, ma io mica sto fermo: guarda che abbiamo combinato’”. Il corteo per lui è una festa, la sua gioia incontenibile: “È come avevo detto, ci sono le carrozzine. E poi il viola, questo viola è il collegamento tra tutti. Hanno capito il senso anche di questo messaggio, di idee veicolate da un colore”. Ha paura di svegliarsi, e capire che si è sognato tutto: “Ma tu ci pensi che mi ha appena intervistato il New York Times! E non c’è la Rai”.

Infine, ecco Massimo Malerba, impiegato, 36 anni. Con un altro ragazzo , Franz Mannino, che è architetto, hanno messo su a Catania uno dei gruppi locali più coesi e partecipati del No B. Day. A sera, quando tutto è già un successo, ride e urla: “Ma chi si ne fotte” dice Franz davanti agli inevitabili problemi che la troppa affluenza ha creato (ci sono giornalisti che vogliono i pass ormai terminati; fotografi inferociti che non riescono a passare perchè arrivati troppo tardi).

Diverso il sentire di Massimo che, verso le 16, dietro al palco, fa di tutto, forza la voce, per nascondere la sua emozione. A lui è toccato il compito del primo saluto alla Piazza, prima degli interventi. Ha gli occhi bassi, come quelli di chi non riesce davvero a guardarti in faccia, perchè troppo concentrato a pensare ad altro. Pensa a qui pochi passi che dovrà fare, Massimo, davanti a quella piazza strapiena, che mai si sarebbe immaginato di solcare. Ha un attimo di panico, ma poi butta il cuore oltre l’ostacolo, fa qualche basso, ed è davanti ad una marea viola. “Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge” il suo esordio. L’articolo 3 della Costituzione Italiana. “Sappiamo bene - continua - che la volontà popolare non può essere rimossa da una manifestazione. Ma sappiamo anche che la volontà popolare è mutabile. Ed è muta: questa manifestazione è la migliore dimostrazione possibile”. “Come sono andato?” fa appena finito. “Benissimo” lo rincuorano. Ma non è del tutto convinto: “Ho fatto quello che bisognava fare, nel solco di questa incredibile esperienza: ci siamo sempre cimentati con qualcosa di nuovo. Se non siamo dilettanti allo sbaraglio, poco ci manca”. Intanto dalla piazza continuano gli applausi. “Quello che è sicuro - conclude con il suo accento catanese che rende ogni parola più rotonda e più vera - e chè oggi, tutti insieme, abbiamo reso un servizio al nostro paese”.

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