venerdì 4 dicembre 2009

Ingroia: ''Il Governo vuole disarmare la lotta alla mafia''

Dal Quotidiano Terra
del 4 dicembre 2009

di Giulio Sardi e Susanna Marietti
(Giornalisti)


Antonio Ingroia è uno dei più autorevoli magistrati antimafia italiani. Allievo di Falcone e Borsellino, oggi pubblico ministero a Palermo, ha indagato sui casi giudiziari di mafia più importanti degli ultimi decenni.

Ha appena pubblicato “C’era una volta l’intercettazione. La giustizia e le bufale della politica” (Stampa Alternativa), che verrà presentato a Roma in apertura della Fiera “Più libri più liberi” sabato prossimo alle 19 da Beppe Giulietti, Luigi De Magistris e Michele Santoro.
Un disegno di legge governativo già approvato alla Camera lo scorso giugno interviene pesantemente in materia di intercettazioni. Da molte parti, magistratura in prima linea, è stato ricordato il valore che questo strumento processuale ha avuto soprattutto nella lotta alla mafia e nello svelamento degli intrecci tra mafia, politica ed economia.

Ingroia, cosa l’ha spinta a scrivere il suo libro?
L’intenzione di provare a spiegare ai lettori come stanno le cose. Su questo tema imperano i luoghi comuni e le falsità. Da un anno in qua si è scatenata una campagna di stampa finalizzata a terrorizzare l’opinione pubblica facendole credere che tutti gli italiani siano sotto intercettazione. Nel libro mostro come le intercettazioni non siano una minaccia da cui difendersi ma una risorsa da difendere, uno strumento che ha consentito di arrestare latitanti di mafia, di scongiurare stragi, di evitare omicidi, di sequestrare arsenali di armi, ingenti quantitativi di denaro sporco e di stupefacenti. Di fare dei passi avanti nel garantire la sicurezza dei cittadini, individuando anche le magagne del potere e della politica, le collusioni e le corruzioni.

Però teoricamente le limitazioni previste dal disegno di legge fanno eccezione per i procedimenti di mafia.
Apparentemente. Ma molte indagini di mafia nascono da intercettazioni originariamente autorizzate per reati ordinari. Intercettando, vengono poi fuori nuove notizie di reato per fatti di mafia. Questo in futuro non sarà più possibile. Le intercettazioni servono per trovare le prove, mentre la legge vuole le prove affinché si faccia l’intercettazione. Un paradosso. E non solo questo: nelle indagini per estorsioni, ad esempio, la nuova legge prevede che si possa sottoporre a intercettazione la persona offesa solo con il suo consenso. Ma il minacciato ha paura della ritorsione della mafia ed è ben difficile che acconsenta. Ho fatto due esempi, ma potrei citare molte altre opportunità investigative che ci hanno consentito di mettere a segno tanti successi e che non avremo più a disposizione. Saremo più disarmati.

A volte però le intercettazioni finiscono sui giornali prima di qualsiasi provata colpevolezza, rischiando di trasformarsi in una sorta di giudizio mediatico ex ante sulle persone coinvolte.
È vero.

Come fare allora a impedirlo?
Affrontando con soluzioni adeguate i problemi veri. Che non sono quelli relativi agli abusi nel disporre le intercettazioni ma quelli relativi agli abusi nell’eventuale pubblicazione indebita e prematura di intercettazioni magari neppure penalmente rilevanti. Questo non si risolve abolendo le intercettazioni ma sottoponendo a una più rigorosa tutela i loro risultati. La sola parte che condivido della nuova legge è proprio quella che prevede una rigorosa tutela del segreto investigativo.

Per affacciarci sulla più stretta attualità, quali sarebbero le conseguenze sui processi di mafia se dovesse passare la riforma del cosiddetto processo breve?
Per il processo breve è ancor più appropriato quanto ha detto l’Associazione Nazionale Magistrati riferendosi al testo di legge sulle intercettazioni quando ha parlato di morte della giustizia. Il disegno di legge sul processo breve nasconde una truffa delle etichette: dovrebbe chiamarsi ‘legge della morte breve del processo’. Non si consente in alcun modo un’accelerazione dei tempi della giustizia, dando ciò che i cittadini vogliono, sentenze in tempi brevi. Piuttosto, i processi non arriveranno mai a sentenza. Questo non giova certo all’idea di giustizia né alla lotta alla mafia.

Sempre per restare sull’attualità, il Governo vorrebbe rendere possibile la vendita dei beni confiscati alla mafia, oggi destinati a finalità sociali. Questa forma di riuso ha costituito una fortissima strategia, simbolica ed effettiva, nella lotta alla criminalità organizzata. Lei cosa ne pensa?
Talvolta in terra di mafia il simbolo è sostanza. Dare la possibilità all’organizzazione mafiosa di tornare in possesso, utilizzando dei prestanome, dei beni confiscati avrà il risultato di dare il segnale che Cosa Nostra comunque finisce per prevalere.

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