martedì 15 dicembre 2009

SANGUE, FLASH E BODYGUARD

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 15 dicembre 2009

di Peter Gomez
(Giornalista)


Adesso se lo chiede pure il Copasir che cosa non ha funzionato nella sicurezza del presidente del Consiglio. E proprio per questo oggi a San Macuto il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, ancora presieduto dal dimissionario Francesco Rutelli, ascolterà il responsabile dell’intelligence italiana Gianni De Gennaro. Ma, che prima poi l’incidente sarebbe accaduto, era chiaro da almeno sette anni. Cioè da quando, in barba a tutte le direttive che permettevano solo ai dipendenti pubblici di diventare 007, erano state fatte entrare nei servizi settanta guardie private del Cavaliere.

Ex carabinieri, ex militari e in qualche caso anche ex legionari che, seppure molto preparati, sono da sempre avvezzi a prendere direttamente ordini da chi paga loro lo stipendio. Insomma bodyguard che non si possono permettere di dire di no al capo. La controprova si è vista persino in televisione. Quando il premier è stato ferito dalla miniatura del Duomo di Milano, lanciata da Massimo Tartaglia, immediatamente è stato fatto salire in auto. Ma la macchina blindata non è partita sgommando. Perché Berlusconi ha urlato all’autista di fermarsi. Il capo del governo voleva mostrare a tutti che, anche se ferito, stava ancora bene. Così si è concesso ancora una volta alla sua folla. Commettendo l’ultimo errore, dal punto di vista di chi si intende di security, in una giornata piena di sbagli. Infatti se quello non fosse stato il gesto di un folle, ma, come accade spesso in questi casi, un semplice diversivo in vista del colpo più grave, Berlusconi sarebbe andato incontro alla sua fine. Invece ora è polemica sull’ordine pubblico. Con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che difende i suoi uomini e con tutto il Pdl che attacca con durezza il questore di Milano, Vincenzo Indolfi. Il vicesindaco Riccardo De Corato dice che “i filmati parlano chiaro. Dimostrano che i contestatori dei centri sociali sono arrivati tranquillamente sotto il palco”. E accusa le forze dell’ordine di aver manganellato i ragazzi della “Giovane Italia (il movimento degli juniores azzurri) che cercavano di allontanare chi protestava.

In realtà, il primo problema legato all’assai poco affollato comizio del premier in piazza Duomo (le stime più ottimistiche parlano di non più di 1500 persone) sono proprio state le scelte operative. Da giorni i servizi di sicurezza segnalavano il rischio che Berlusconi potesse entrare nel mirino di un folle. Mentre il presidente del Consiglio, di fronte agli interrogativi suscitati dal processo contro Marcello Dell’Utri, aveva più volte ripetuto che il suo Governo era in prima linea nella lotta alla mafia. In queste condizioni, al termine di un comizio tutto sommato tranquillo – caratterizzato solo da una rumorosa contestazione da parte di circa trecento persone, tra le quali vi erano molti passanti – al premier è stato permesso di affrontare il bagno di folla.

Difendere una personalità, quando accetta il contatto con la gente, è però molto difficile. E diventa quasi impossibile se gli uomini della scorta sono particolarmente stanchi. Non per niente nei filmati ritrasmessi dalle tv è possibile vedere alcune delle bodyguard che invece di monitorare con lo sguardo di continuo la piazza, se ne stanno di spalle con gli occhi bassi o osservano Berlusconi.

Un altro errore è poi stata la posizione dell’auto. La macchina blindata non aveva davanti a sè un percorso libero. Se, come sarebbe stato giusto fare, fosse partita immediatamente, avrebbe dovuto suonare il clacson per farsi largo. Certo, come ha scoperto “Striscia la Notizia”, vi è anche l’incredibile episodio di Tartaglia che viene segnalato come personaggio sospetto a una volante della polizia da due cittadini che però non vengono presi sul serio. Ma i primi a doversi rendere conto che era quantomeno un tipo strano dovevano essere gli agenti segreti e gli uomini in borghese mescolati tra il pubblico. Spiega a questo proposito Emanuele Fiano, che al Copasir rappresenta il Partito democratico: “Intorno a Berlusconi ci sono tre cerchi di sicurezza: quello più diretto intorno alla sua persona, quello un pò più largo e poi quello che dovrebbe verificare le condizioni della piazza”. Però a un certo punto tutto è saltato. Così Fiano ipotizza “Potrebbe darsi che il premier abbia chiesto alla sua cerchia più ristretta di firmare autografi, o di fare eccezioni alle regole stringenti di sicurezza".

Ipotesi, appunto. Perché allo stato l’unico fatto certo è che al Cavaliere è impossibile dare ordini . Un po’ perché è un politico e molto perché è Berlusconi. Se finché erano guardie private, coordinate da un ex graduato dei carabinieri in congedo dal 1986, le bodyguard guadagnavano dieci milioni di lire al mese, adesso il loro stipendio è aumentato di molto. E accanto alla diaria ufficiale spesso ci sono dei sostanziosi fuori busta. Niente di sorprendente. Il Cavaliere è l’uomo più ricco d’Italia e pretende dai suoi uomini fedeltà assoluta. La scorta non solo lo deve proteggere, deve anche tacere su tutto quello che vede. Si spiegano così gli ingressi senza alcun controllo su registratori o macchine fotografiche nelle sue residenze. E la forse anche la decisione, presa da Gianni De Gennaro, di far passare le body guard di Palazzo Chigi dal Dis (la struttura di coordinamento tra servizi segreti civili e militari da lui diretta) all’Asi (l’ex Sisde), guidata dal generale Giorgio Piccirillo. Un segno tangibile di come in molti temessero che prima o poi, la security semi-privata del premier si sarebbe cacciata in qualche guaio.

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