domenica 6 dicembre 2009

Una piazza di gente normale

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 6 dicembre 2009

di Enrico Fierro
(Giornalista)


Ma chi è questa gente, questo popolo viola che in un sabato romano baciato dal sole riempie come da anni non si vedeva San Giovanni? “La Piazza” della capitale, il cuore di tutte le grandi manifestazioni dell'Italia civile. Qui si è lottato per il lavoro, qui si sono agitate le bandiere arcobaleno per dire no alla guerra. Qui si è pianto Enrico Berlinguer. Qui, ora, sabato 5 dicembre 2009, non c'è più un angolo, una strada, un vicolo, un pezzo di monumento liberi. Chi è questa gente che la televisione di Stato ha deciso di cancellare? I giornali del giorno dopo la racconteranno a modo loro. Scenderanno in campo i soliti commentatori a gettone per dire che in piazza c'è l'Italia giustizia-lista, dipietrista, rancorosa, invidiosa, manettara. L'Italia del no. Nei salotti chiameranno la solita compagnia di giro di politici campioni di un realismo che ha ormai perso ogni contatto con la realtà. Saranno di maggioranza e di opposizione, i più cattivi si scambieranno insulti, i più riflessivi diranno che sì la piazza va bene, ma non basta. La politica è un'altra cosa. Chi è questa gente che si commuove quando un uomo mi-te, un ingegnere di Milano con l'accento siciliano, parla di suo fratello Paolo? E' Salvatore Borsellino, che ricorda “Emanuela Loi, il suo corpo di giovane poliziotta ridotto a pezzi in via D'Amelio. Questi sono i nostri eroi. Berlusconi e dell'Utri vadano a portare una corona di alloro sulla tomba del mafioso Mangano. Noi, l'Italia civile, andremo dove sono stati uccisi mio fratello Paolo e gli uomini della sua scorta”. San Giovanni esplode. Chi è questa gente che agita agende rosse, sventola drappi viola, accosta le bandiere dei partiti e dei movimenti d'opposizione più diversi, va in sezione o naviga su internet, frequenta le piazze reali e quelle virtuali? “Siamo gente normale che vuole vivere in un paese normale dove, ad esempio, la legge sia uguale per tutti e uno non sia più uguale degli altri”. Luca Rocchigiani, dottorando in chimica viene da Perugia. Ha trovato la formula giusta per aiutarci a capire. “E' l'Italia che non è rappresentata, che non va in tv, che non ha diritto alla parola. Siamo qui, per fare scoppiare la rivoluzione della normalità”. “Voglio vivere in un paese normale che non ci faccia vergognare”, dirà poi dal palco di San Giovanni Fiorella Mannoia.

Tantissimi giovani, molti giovanissimi . Gli “angeli della Costituzione” sono due ragazze – con le ali viola – e un ragazzo. In tre non fanno sessant'anni, ma hanno scelto di chiamarsi così. Quarant'anni fa lo “Stato borghese” si abbatteva non si cambiava. Oggi tre ragazzini imbracciano la Costituzione della Repubblica come il libretto rosso del Duemila. “Miracolo di Berlusconi se il semplice rispetto delle leggi è diventato in Italia un fatto eversivo”, osserva Piergiorgio, professore calabrese. All'altezza di via Merulana Ettore Scola, ancora una volta, è fermo a riflettere su un'altra giornata particolare di questo sventurato Paese. “Bella manifestazione è proprio in giorni come questi che capisci che le cose possono cambiare”. C'è tutto in piazza. Il signore col cartello “Meno male che Gianfranco (nel senso di Fini, ndr) c'è”. E i ragazzi di “Energia messinese”. “Facciamo un cineforum, organizziamo inziative, diciamo no al Ponte, ci siamo battuti per il risanamento delle baracche del terremoto del 1908. Insomma, facciamo politica”. Ci sono le bandiere rosse dei vari spezzoni della sinistra e i cartelli con la prima pagina dell'Economist (Ora basta), tantissime de “Il Fatto”. I camion che distribuiscono arance biologiche e quello della “Brigata di solidarietà atttiva”. Un ragazzo con la maschera di “teletubbies” e un signore ben vestito che mostra a tutte le telecamere un libro: “Qualunque cosa accada”, di Umberto

Ambrosoli, racconta la vita di Giorgio, suo padre, l'eroe borghese. E' la piazza, la folla, le persone con mille sentimenti e mille pensieri. Tutti diversi , come le età, le storie e le militanze politiche passate. Oggi uniti qui, a San Giovanni. “Un milione”, annunciano a sera gli organizzatori dal palco. “E' il miracolo di gente che non si conoceva, che si è messa insieme grazie a internet, che si è parlata, si è organizzata ed ora è qui per non morire di malinconia. Quella che affligge chi ha perso il lavoro, dei ragazzi che non vedono prospettive. Ai giovani dico non andate via, restiamo qui, battiamoci. Perché anche per noi verrà il momento delle rose e della goia”. Dario Fo ha accanto Franca Rame quando pronuncia queste parole . Lo ammette: “Forse solo tra qualche tempo capiremo cosa è successo oggi, quali forze si sono mosse”. Quella energia che poco prima ha evocato Domenico Gallo, magistrato e membro dell'associazione difendiamo la Costituzione. “La nostra vera patria assediata da una compagnia di ventura”. Gente che non prova vergogna, dice Margherita Hack nel suo messaggio telefonico. “Onorevole Berlusconi affronti i processi. E' una vergogna che per mesi si faccia lavorare il Parlamento solo in funzione di leggi che servono a salvarla. Ministro Alfano si vergogni, ma non ha un po' di pudore a farsi trattare come un dipendente sciocco dal suo capo Berlusconi?” Alle sei della sera non c'è più un metro libero a San Giovanni. Fa freddo ma la gente non muove un passo. Ascolta tutti: le invettive in pugliese di Ortanova di Ulderico Pesce, l'ironia amara di Ascanio Celestini (“il futuro è di merda e lo stiamo costruendo per voi”) e la disillusione di Giorgio Bocca. “In Italia c'è un doppio Stato e il Pd venga fuori dal sistema di potere, faccia finalmente opposizione”. E' una ovazione . Per Mario Monicelli, il maestro, il più giovane di tutti, un grande abbraccio. “Questa è una piazza di vita, di gioventù. Viva i lavaratori, viva la classe operaia”. Parlano le ragazze di Firenze (vent'anni) che quest'estate sono andate a Corleone a lavorare le terre di Totò Riina, la terremotata de l'Aquila che racconta il grande inganno della ricostruzione che non c'è, ma è Salvatore Borsellino che scalda i cuori e infiamma le menti. “E' vilipendio alle istituzioni il presidente Schifani che non vuole parlare dei suoi trascorsi societari con i mafiosi. E' offesa grave alle istituzioni la presenza di Berlusconi ai vertici del governo. Io sono qui perché Berlusconi possa esercitare il suo diritto ad essere processato. Dicono che il Cavaliere non ha rispettato i patti con la mafia, ma cosa avrebbe dovuto fare più di quello che ha fatto attaccando la magistratura, smontando tutte le leggi contro la criminalità organizzata? La verità è che la mafia lo ha portato al governo”. Prima di scendere dal palco l'ingegnere urla “resistenza, resistenza”. Tutta San Giovanni scandisce insieme a lui.

Una grande giornata civile. L'inizio di qualcosa. Ancora confuso, incerto nei suoi passi, ma qualcosa di grande che colma i troppi vuoti lasciati aperti dai partiti d'opposizione. “Viva l'Italia, l'Italia liberata, l'Italia del valzer, l'Italia del caffè. L'Italia derubata e colpita al cuore, viva l'Italia, l'Italia che non muore”. Sono le sette di sera quando Roberto Vecchioni comincia a cantare.

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