mercoledì 20 gennaio 2010

CRAXI, OPERAZIONE COMPIUTA: “UNA VITTIMA SACRIFICALE”

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 20 gennaio 2010

di Luca Telese
(Giornalista)


Venite, qui si riabilita il martire. Entri nella sala della biblioteca del Senato, stipata fino all’ultima poltrona nel giorno del rito, e ad un certo punto ti chiedi se Bettino Craxi avrebbe apprezzato questa liturgia stanca, claustrale e vagamente mummificata. Silvio Berlusconi, alla fine, ha scelto di non parlare. E così, il colpo di teatro è mancato; la scintilla che poteva illuminare l’anniversario non c’è stata. Lui che aveva mandato tutti al diavolo tra invettive e rifiuti, finisce celebrato in una messa vagamente soporifera, un rito di oratoria mediocre e piatta come un encefalogramma terminale, se solo non ci fosse l’elettrochoc di Renato Brunetta. Almeno lui prova a disegnare un profilo epico: “Ricordo ancora la notte del decreto di San Valentino. Quella sera salvammo l’Italia dal disastro economico e dal declino!”.

Berlusconi sonnecchia. Ma il ministro della funzione pubblica la passione la mette anche se parla di tornelli. Sono gli altri che non funzionano. L’occhio corre sulle pantere grige delle prime file. Silvio Berlusconi ha gli occhi che si chiudono per tutto il tempo: una battaglia eroica (ma più volte persa). Il premier si emoziona solo per la verve rapsodica di Beatrice Lorenzin: “Craxi è stato il leader della modernità degli anni ottanta, come Berlusconi è stato il leader della modernità degli anni novanta. E Silvio fa sì-sì con il capo. Gianni Letta invece è pietrificato nella sua impassibilità: chissà quante emozioni represse, sotto quella maschera di cera. Qui si riabilita il martire: ed Emilio Colombo ha un viso senza tempo, appoggiato al bastone, come del resto Giuseppe Ciarrapico. Fantastico il Ciarra. Tutti saltano in piedi, quando esce Berlusconi alla fine della prima tavola rotonda. Solo lui resta immobile: “ Ma che devono fà? Qui non s’emoziona nessuno”. Poco più indietro c’è donna Assunta, e quell’ombra diafana invece è Francesco De Lorenzo. Vittorio Sgarbi apostrofa ironico un signore dal viso asciutto: “Ma questo non è Forlani?”. Sorriso: “Sì, sono io”. Seconda stoccata: “Bravo. Non potevi mancare, tu che di Craxi sei stato la effe.... Viva il Caf”.

Nel palazzo Venite nella biblioteca di Palazzo Madama: un meandro di cunicoli infilati nello stomaco del Palazzo per arrivare alla sala. Luogo elettivo di convegni sulla forma stato. Forse Craxi avrebbe voluto essere riabilitato in una piazza, non nel fortino del Palazzo sorvegliato da bodyguard e commessi, tra i suoi ex portaborse promossi a principi, e nel coro dei leader che aveva oscurato, imbiancati dagli anni (o dalle condanne).

De Rita e i soldi. C’è Giuseppe De Rita, tra i relatori, che prova a cesellare i suoi piccoli distinguo cautelativi: “Ho frequentato Craxi senza essere nella cerchia dei craxiani...”. E che si incarta malamente in un discorso sulla capacità di Craxi di assecondare l’onda della società: “Lui sapeva cavalcare la società senza provare a cambiarla”. Poi ad un certo punto il cristallo che si rompe, gli scappa detto: “Aveva capito la necessità della mediatizzazione, della leadership personale, del controllo verticale del partito. Per questo servivano soldi. Ma lui non era ricco di suo”. Ecco, poverino. Il premier che invece èricco di suo, però, non afferra il riferimento, e continua a sonnecchiare, in prima fila. C’è Renato Schifani, al suo fianco. Uno che quando Craxi sfidava gli americani a Sigonella faceva pratica legale. Sono questi i convitati che si sarebbe scelto Bettino, se avesse potuto curare la regia? Per Schifani “Craxi è stato vittima sacrificale della tragedia di Tangentopoli, abbandonato al suo destino da un ceto politico intimorito ed esausto”. Quello lì è Enzo Scotti. Ed ecco Carlo Tognoli. Sandro Bondi è un po’ più indietro, ascolta. La bocca aperta si muove, e sembra che stia sillabando le parole di chi parla, o recitando un rosario. Forse sta componendo una poesia. Chissà quanto avrebbe sofferto Bettino per una poesia di Bondi. Stefania la pasionaria. Certo, di questa giornata resta il discorso di Stefania, la figlia che si è fatta custode dell’eredità politica: “Craxi - dice ha cambiato la cultura del Paese opponendo la tradizione riformista liberale all'egemonia del marxismo comunista”: Pausa: “Forse la tragedia di Craxi sta tutta qui, nell'imparità delle forze contro un pensiero che aveva occupato le università, sedotto gli intellettuali, persino contagiato frange del mondo cattolico”. Poi Stefania prova a cesellare un ritratto magnanimo: “Mi auguro , come è negli auspici del presidente Napolitano, che in suo nome si potrà lavorare per oltrepassare quella sorta di cultura di guerra, che e' alla base, oggi, del linguaggio politico italiano”. E’ questo il Craxi che si può offrrire alla cultura italiana? L’uomo della pacificazione e della concordia? “Nell'esilio di Hammamet - spiega la figlia - Craxi dirà di aver cercato per tutta la vita, senza trovarla, una maggioranza in grado di realizzare la Grande Riforma. Oggi il momento sembra arrivato: auguriamoci che il risultato sia pari alle attese”. Senti queste parole e ti viene in mente Ghino di Tacco, il leader con gli stivaloni disegnato da Forattini, il segretario che parlava sotto il tempio greco e nel vertice delle piramidi disegnate da Panseca. Si sta celebrando Bettino, ma non è il vero Bettino: “Craxi - prosegue Stefania - aveva la visione di un'Italia pacifica, tollerante, dove prima di dare del criminale a un avversario politico ci si pensa due volte, dove si lavora per creare sviluppo e progresso, dove si ha alto e forte il senso della comunità e della Nazione”. Sarebbe bello che fosse vero, e che si emozionasse qualcuno. Invece, in questa occasione solenne, si viene per presenziare e per vedere chi c’era. Se Craxi potesse assistere, forse non gradirebbe, e darebbe di certo del pirla a qualcuno.

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