mercoledì 20 gennaio 2010

LA MANO STRAGISTA PRONTA A COLPIRE

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 20 gennaio 2010

di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
(Giornalisti)


La nuova offensiva stragista punta anche al Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. C’è una quarta lettera, inviata agli inquirenti di Palermo, che preannuncia ancora una volta un attentato nei confronti di un magistrato impegnato contro Cosa nostra. La missiva, arrivata nei mesi scorsi, individua come bersaglio anche un giornalista: è Lirio Abbate, ex cronista dell’Ansa, oggi redattore dell’Espresso, che già da oltre due anni vive sotto scorta. Anche in questo caso, l’anonimo è molto circostanziato: per agire contro Grasso e Abbate, le cosche avrebbero già a disposizione un quantitativo di esplosivo proveniente da Caltanissetta. Per questa ragione, il procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato, titolare dell’indagine, ha inviato il fascicolo ai colleghi nisseni, dopo avere interrogato i due potenziali bersagli, Grasso e Abbate. Secondo i primi accertamenti, le minacce stavolta provengono dalla provincia di Trapani, fortino mafioso del boss Matteo Messina Denaro, l’ultimo superlatitante da sempre schierato con i corleonesi di Totò Riina, quelli dell’ala stragista.

Il rischio di una nuova stagione di sangue, in queste ore, è dunque al primo punto delle analisi degli inquirenti e dei magistrati siciliani. La lettera contro Grasso e Abbate, e le tre lettere contenenti minacce di morte al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, al suo aggiunto Nico Gozzo, all’aggiunto Antonio Ingroia e al pm Gaetano Paci, entrambi di Palermo (queste erano arrivate tra marzo e giugno scorso alla Dia e ai carabinieri di Caltanissetta), provengono da aree geografiche e da ambienti criminali presumibilmente diversi, ma certamente fanno parte di un nuovo clima di fibrillazione che si registra all’interno delle cosche. Perchè? Dopo l’arresto di Provenzano , Cosa nostra non ha più una direzione univoca. E come fa notare Antonio Ingroia, esaurita la stagione della tregua voluta da Binu, nessuno oggi è più in grado di escludere che una frangia criminale, desiderosa di imporsi o di lanciare messaggi per chiedere o rivendicare qualcosa, “'possa promuovere un nuovo salto di qualità nelle strategie violente”. A Trapani come a Caltanissetta, e a Palermo.

Qui, nel territorio dove più forte si è sviluppato negli anni l’attacco allo Stato, tra gli organigrammi emergenti della cosca di Brancaccio, che fu il regno incontrastato dei boss Giuseppe e Filippo Graviano, si nasconderebbe la mano stragista pronta a colpire, ma anche l’anonimo estensore delle lettere, il '”dissidente”' che ha voluto avvertire i pm antimafia del pericolo di nuovi attentati. La Procura di Catania, competente per territorio, ha aperto un’inchiesta sulle lettere che indicano Lari, Gozzo, Ingroia e Paci come i nuovi possibili bersagli di un ennesimo attacco alle istituzioni, disponendo innanzitutto una perizia calligrafica per verificare l’unicità della mano che ha scritto quelle missive e per riscontrare le indicazioni fornite dall’anonimo sui nuovi organigrammi delle cosche di Brancaccio, la borgata che viene indicata ancora una volta come l’officina degli aspiranti terroristi mafiosi. Nei tre avvertimenti spediti a Caltanissetta, infatti, sarebbero indicati gli autori dei progetti di morte pronti a scattare: nomi e cognomi di uomini d’onore dell’ultima generazione. I riflettori sono puntati sul gruppo di picciotti e gregari che negli ultimi tempi hanno preso in mano il racket delle estorsioni. Gli inquirenti rileggono in queste ore i fascicoli dell’operazione “Cerbero”, coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Ignazio De Francisci, che nel maggio scorso portò in carcere 37 soldati delle nuove leve mafiose, proprio nella borgata che fu al centro dello stragismo con i fratelli Graviano. Alcuni di questi nomi tornerebbero nelle tre lettere anonime che annunciavano gli attentati. Gli investigatori non si sbilanciano, ma forse non è un caso che l’ultimo allarme stragi parta proprio da Brancaccio. E’ il feudo di Gaspare Spatuzza, il pentito che sta riscrivendo la dinamica della strage di via D’Amelio, e che per primo parla di “terrorismo politico-mafioso”, indicando negli attentati del ‘92 e del ‘93 un obiettivo di destabilizzazione che va molto aldilà degli interessi specifici delle cosche. Ed è il quartiere di Giuseppe Graviano, detto “Madre Natura” che l’11 dicembre, nell’aula del processo d’appello a Marcello Dell’Utri ha detto di non poter parlare perchè impedito da ragioni di salute, dovute all’applicazione nei suoi confronti del 41 bis. Quel carcere duro che, cinque giorni dopo, gli è stato “ammorbidito” con la cancellazione dell’isolamento diurno.

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